Ugo De Siervo, La Stampa 29/11/2013, 29 novembre 2013
ALLA CONSULTA UN RICORSO INAMMISSIBILE
È noto che fra pochi giorni la Corte costituzionale dovrà affrontare il problema posto dal ricorso di una sezione della Corte di Cassazione, che dubita della legittimità costituzionale di alcune parti della vigente pessima legislazione elettorale: il premio di maggioranza riconosciuto a chi consegua la semplice maggioranza relativa dei voti a livello nazionale per la Camera ed in ciascuna Regione per il Senato, l’impossibilità di esprimere voti di preferenza all’interno dei candidati proposti dalle varie forze politiche.
Gli organi di informazione continuano in genere a sostenere che la Corte possa intervenire in materia, malgrado esista una sua costante giurisprudenza che esclude ricorsi del genere, in quanto non fondati sulla previa lesione di precise situazioni soggettive, e quindi ipotizzano che l’organo di giustizia costituzionale si predisponga a modificare più o meno in profondo la legislazione vigente. Si è così sostenuto che la Corte possa accogliere anche tutte le censure sollevate e perfino che possa eliminare tutta la legislazione del 2005, facendo rivivere il precedente sistema elettorale.
Si tratta però di opinioni sinceramente inaccettabili, a cominciare naturalmente dalla tesi più estrema, che ipotizzerebbe che la Corte costituzionale possa giudicare sull’intera legge del 2005: la Corte, invece, deve puntualmente rispondere ai dubbi sollevati dai giudici che ad essa si rivolgono, mentre non può - sulla base della legislazione che la disciplina - estendere il giudizio a disposizioni la cui legittimità costituzionale non sia stata formalmente posta in dubbio. E ciò al di là del fatto che la stessa Corte, appena l’anno scorso, ha escluso che una legge precedente che sia stata abrogata, possa essere fatta «rivivere» per la scomparsa della legge abrogatrice.
Anche la tesi che la Corte possa far venir meno i (pur assai discutibili) premi di maggioranza va incontro a obiezioni molto serie: anzitutto è evidentemente escluso che la Corte possa manipolare la legge fissando essa stessa le soglie minime (attualmente inesistenti) per il conferimento dei premi di maggioranza, dal momento che un’operazione del genere, altamente discrezionale, non può che spettare ad un organo legislativo. Ma anche la tesi che la Corte possa allora semplicemente far venir meno i premi di maggioranza equivale - come ben noto - a trasformare il vigente sistema elettorale di tipo maggioritario in un sistema proporzionale, realizzando quindi un vero e proprio radicale mutamento legislativo, che però non può che spettare ad organi rappresentativi (così come già evidenziato da non pochi significativi «fuochi di sbarramento» emersi nel dibattito politico).
Allora la tesi che le questioni sollevate dalla Cassazione siano inammissibili non è solo fondata sull’interpretazione costante della legge che disciplina la Corte, ma permette di rispettare una precisa logica istituzionale, che tende a limitare al minimo l’incidenza della Corte nella produzione di nuove legislazioni: se è superata l’antica tesi che la Corte possa essere solo un organo demolitore di norme ( il «legislatore negativo»), però appare davvero impensabile una sentenza della Corte che addirittura produca un nuovo sistema elettorale.
Per quanto sia deplorevole il colpevole immobilismo del Parlamento in materia, la Corte in realtà non dispone della legittimazione a riscrivere i sistemi elettorali. E’ perciò auspicabile che la Corte non si faccia dominare dall’illusione della propria onnipotenza, una sua ricorrente e pericolosa tentazione.
In una democrazia costituzionale il ruolo di ciascun organo costituzionale (le Camere, il Governo, il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, ecc.) viene definito dalle disposizioni che lo disciplinano, anche se certamente i diversi contesti entro cui essi operano influiscono non poco nello spingerli ad esercitare in modo più o meno incisivo i propri poteri. Ma tutto ciò solo in quello spazio di elasticità che è permesso dal sistema costituzionale, non certo oltre, dal momento che altrimenti viene meno la legittimazione di chi opera al di là dei propri limiti, con molteplici possibili conseguenze negative. Per questo si richiede a ciascuno di questi organi un effettivo autocontrollo nell’esercizio dei propri poteri, malgrado tutti gli stimoli, pur comprensibili, a cercare di supplire il colpevole immobilismo di altri poteri.