Gianni Perrelli, L’Espresso 29/11/2013, 29 novembre 2013
NIENTE TWITTER SE VUOI IL MARACAN
[Colloquio Con Cesare Prandelli] –
Un Mondiale si prepara come una finale olimpica. Programmando tutti i dettagli con mesi di anticipo. Un lavoro che coinvolge la tecnica, la tattica, la psicologia, la medicina, l’alimentazione, l’ambiente, la meteorologia. E che deve tener conto soprattutto della condizione fisica degli atleti al termine di una stagione logorante e dei carichi di lavoro a cui sottoporli. A certi livelli il calcio non può fare a meno della scienza».
Cesare Prandelli, il ct azzurro che ai mondiali brasiliani del 2014 (12 giugno - 13 luglio) tenterà di rinverdire i fasti di Enzo Bearzot (1982 in Spagna) e Marcello Lippi (2006 in Germania), si accosta al massimo evento calcistico con il rigore del certosino. Ma alla vigilia del sorteggio dei gironi (6 dicembre) confessa di abbandonarsi spesso anche all’onda delle emozioni. «Mi diverto a immaginare come potrei vivere la gioia del quinto titolo italiano la sera del 13 luglio al Maracanà. Mi vengono in mente le figure di Bearzot che si abbraccia con Sandro Pertini e quella di Lippi che si catapulta raggiante verso i suoi azzurri dopo l’altalena finale dei rigori. Sognare non costa nulla. Anzi aiuta a pensare in grande. Lo dico sempre ai miei giocatori. La fantasia dura purtroppo pochi attimi. Subentra quasi subito la consapevolezza che in un Mondiale posso giocarmi tutto in una frazione di partita, in un solo minuto. Sarà una competizione massacrante. Ci saranno forti sbalzi di orario e di temperatura. Insidie non facili da gestire, simili a quelle che affrontò Arrigo Sacchi nel ’94 negli Stati Uniti. Problemi che impongono soprattutto realismo».
Il Mondiale da protagonista per lei è una novità assoluta. Da spettatore che sensazioni le ha regalato questa grande manifestazione?
«Per me il Mondiale è un filo rosso di emozioni. Il primo ricordo è legato a Italia-Germania 4-3, la partita delle partite, nei Mondiali messicani del ’70. Non avevo neanche tredici anni ed era la prima volta che in televisione vedevo un incontro in piena notte. Alla fine tutti gli italiani si riversarono per strada. Un’euforia collettiva che superava i confini del calcio. Nell’82 a Madrid c’erano i miei compagni della Juve, gli amici di tutti i giorni. Io ero rimasto a casa, perché fra i convocati c’erano giocatori più forti di me, ma idealmente mi sentivo in mezzo a loro. Era un po’ come se partecipassi anch’io a un trionfo su cui nessuno avrebbe scommesso dopo l’inizio stentato. Lo stesso effetto sorpresa lo abbiamo vissuto in Germania nel 2006 dopo il ciclone di Calciopoli. È nei momenti difficili che esce l’uomo».
Bearzot non l’ha mai fatto esordire nella Nazionale maggiore, eppure nella sua carriera di allenatore lei lo ha sempre considerato il suo punto di riferimento.
«Bearzot, quando mi chiamava nella "under 21", aveva sempre espressioni affettuose nei miei confronti. Mi colpiva la sua signorilità. Mi piacque poi il modo elegante con cui si allontanò da un mondo convulso come il nostro pur rimanendo sul piedistallo del mito».
In Brasile farà tesoro dell’esperienza di Lippi?
«Lo sentirò, gli chiederò consigli, cercherò soprattutto di capire i risvolti psicologici di un’avventura tanto impegnativa. Marcello è un maestro. È l’unico che ha centrato gli obiettivi massimi in due continenti diversi. Parlando con personalità così vincenti puoi cogliere tanti segreti. Anche quelli piccoli che poi sono i più grandi».
Nel ’50, dopo la tragedia di Superga, gli azzurri partirono per il Mondiale del Brasile in nave. Si allenavano sul ponte e molti palloni finirono nell’Oceano. Oggi lei fa molto ricorso alla tecnologia. Come la userà al Mondiale?
«è un supporto essenziale. è più facile coinvolgere e motivare i giocatori con l’aiuto degli strumenti audiovisivi. Studiando alla moviola gli schemi tattici, i difetti di posizione, le caratteristiche degli avversari, cresce la consapevolezza e si sviluppa l’eclettismo. Un tempo c’erano i campioni che sapevano trovare le soluzioni vincenti e i calciatori normali a cui si richiedeva una cosa soltanto. Oggi tutti devono saper fare tutto. Certo, nemmeno con la tecnologia puoi eliminare gli errori. La partita perfetta, sosteneva Gianni Brera, dovrebbe finire zero a zero. Ma sarebbe probabilmente noiosa, mentre il fascino del football è soprattutto lo spettacolo. Si sono adeguati anche gli arbitri che hanno la consegna di lasciar correre. Gli incontri ad alto livello sono spesso decisi da grandi giocate. A volte però anche da piccoli sbagli. Un allenatore può solo sforzarsi di ridurre al minimo i rischi».
Perché si è orientato ad aprire il ritiro degli azzurri alle mogli e alle fidanzate?
«Perché abbiamo sperimentato nella Confederations Cup che la presenza degli affetti serve a stemperare le tensioni e a prevenire eventuali tentazioni. Lo scorso giugno in Brasile alcuni giocatori di altre nazionali rimasero coinvolti in festini a luci rosse. Se fosse capitato a noi ci avrebbero tagliato a fettine».
Lei però impedirà l’uso dei social network durante il ritiro.
«L’evento è importante ed è giusto attenersi a un regolamento interno che favorirà la concentrazione. Per comunicare ci sono le conferenze stampa».
Secondo una robusta corrente di pensiero la Nazionale dipende troppo dalle lune di Mario Balotelli. Spera che il campionato le dia più ampie possibilità di scelta?
«No, non mi aspetto niente dal campionato anche se quest’anno è uno dei più combattuti. Ma a livello tecnico lo giudico leggermente inferiore a quelli dell’Inghilterra e della Spagna. E anche a quello della Germania, dove si ha il coraggio di investire sui giovani ed è sorto un centro tecnico federale in ogni land mentre l’Italia ha solo Coverciano. Monitoro una rosa di 35 giocatori da cui usciranno i ventitré selezionati per il Brasile. Comprende anche campioni al momento fuori dal giro come Totti e Cassano, per i quali la porta rimane aperta.
Le scelte finali dipenderanno anche dalle condizioni fisiche e dalla continuità. In assoluto è un gruppo fortemente competitivo, dotato di grande carattere, che può puntare al massimo se saprà osare giocando un football offensivo. Durante la mia gestione ha scalato una dozzina di posizioni nel ranking mondiale. Oggi lo giudico ancora un gradino al di sotto di Brasile, Spagna, Argentina, Germania e Olanda. Tutte squadre dotate di protagonisti abituati alla pressione delle grandi finali. Mi auguro che i nostri club facciano molta strada nelle Coppe. Più avanti si va e più si coglie lo spirito delle sfide internazionali».
Per un calo dovuto all’appagamento negli ultimi incontri delle eliminatorie l’Italia ha però fallito l’ingresso nell’élite delle otto teste di serie. Fino a che punto è un handicap?
«Bisogna chiedersi con che criterio la Fifa formula la graduatoria. Con tutto il rispetto per la Colombia, il Belgio e la Svizzera, che sono teste di serie, l’Italia non è sicuramente più debole di quelle Nazionali. Le dirò poi che, sotto sotto, sono contento dell’esclusione. Avremo meno riflettori addosso. E i nostri tifosi non daranno tutto per scontato».
Tornando a Balotelli, in pochi mesi è passato dalla copertina del "Time" a uno scetticismo diffuso sulle sue possibilità di maturazione. Massimiliano Allegri, che lo allena nel Milan, per giustificarne l’accantonamento si è spinto a ricordare che faceva la riserva anche nell’Inter e nel Manchester City.
«Penso che Allegri lo abbia provocato per farlo reagire. Prima o poi Balotelli dovrà mettersi in testa che ha sì un grande talento ma nel calcio non si vince mai da soli. Glielo ripetiamo ogni minuto».
Anche in Nazionale, con le sue intemperanze, ha creato qualche problema. Lei cosa gli dice quando deve metterlo in riga?
«Con me non è mai maleducato. Nel fondo, mi creda, è d’animo buono. Certo, fa le cavolate di tanti ragazzi della sua età. E ci aggiunge del suo, senza rendersi conto che essendo un personaggio pubblico dovrebbe avere una condotta più responsabile. Quando lo richiamo, in genere mi fissa e poi riconosce: ‘Mister, ha ragione’. Con lui ci vuole pazienza. Ma non sono mai stato neanche sfiorato dall’idea di privarmi della sua esplosività per punirlo. Se non lo utilizzassi, quelli che mi imputano un eccesso di tolleranza sarebbero i primi a criticarmi».
Dopo i Mondiali pare che lei voglia andarsene. Una tentazione che ebbe anche al termine degli Europei. Se vince, magari ci ripensa un’altra volta.
«Non ho ancora detto la parola definitiva. Deciderò fra marzo e aprile. Potrei lasciarmi di nuovo catturare dal contatto quotidiano con il campo. Non mi dispiacerebbe fare un’esperienza in qualche paese dove il calcio ha il suo giusto valore e non è come da noi un’ossessione. Siamo messi molto male rispetto ad altre nazioni. Altrove si va allo stadio per lo spettacolo, da noi per tifare contro prima ancora che a favore. Fino alle degenerazioni viste in Salernitana-Nocerina».
Il calcio cosa può fare per isolare i facinorosi?
«Nel mio piccolo con la Nazionale ho cercato di promuovere l’impegno sociale portandola in realtà difficili. Una testimonianza che spero serva ai bambini. Sugli adulti, quelli inquinati, non ho molta fiducia. Sono ormai irrecuperabili».
Lei in politica, dopo un passato ondivago, oggi è vicino a Matteo Renzi. Cosa l’attira del suo programma?
«È un politico al servizio della cittadinanza, al di là degli schieramenti. Un leader più pragmatico che ideologico. Mi aspetto un cambio di marcia basato sulla solidarietà».
Se dovesse selezionare la Nazionale dei politici?
«Assegnerei una sola maglia: la numero dieci a Renzi. Poi posso dire che ho affetto per Giorgio Napolitano, che è sempre stato vicino alla Nazionale e considero un faro per il nostro paese. Dal punto di vista umano stimo anche Beppe Grillo. L’ho conosciuto personalmente quando siamo intervenuti insieme per salvare un bambino in grandi difficoltà. L’ho sentito molto vicino alla gente».
Gianni Agnelli, che era il suo patron alla Juve, sapeva di calcio più di Silvio Berlusconi?
«Aprezzava di più il gesto estetico. A Berlusconi piace invece calarsi nei panni dell’allenatore e disquisire di moduli».
A cosa rinuncerebbe per vincere il Mondiale?
«Ho smesso di fumare già due anni fa. I voti non si rivelano, si custodiscono in gran segreto».