Enrico Mannucci, Sette 29/11/2013, 29 novembre 2013
LA RICETTA VINCENTE? RUTA, SAMBUCO E ALTRE 28 ERBE
Un colonnino sulla rivista dei carabinieri, trent’anni fa. Una ventina di righe sotto un’immagine in bianco e nero. Anche un po’ retoriche. Eppure, lì c’è tutta la filosofia di una serie di campagne pubblicitarie fra le più riuscite nell’Italia dell’ultimo mezzo secolo. Più che una réclame pare un promemoria aziendale, a uso interno della ditta che produce l’Amaro Lucano, “Semplicemente genuino dal 1894”, viene fatto notare.
Nel colonnino si legge come la ditta abbia deciso che bisogna “snellire al massimo” la propaganda: «Eliminando tutti quei complementi discorsivi che, in genere, accompagnano le campagne pubblicitarie degli amari, quali erbe e radici rare, formule segrete, proprietà toniche, digestive, aperitive e dissetanti». La conclusione è pignola, quasi pedante: «La ricetta del cav. Vena è ancora rigorosamente rispettata anche nei minimi dettagli, salvo naturalmente la moltiplicazione delle quantità degli ingredienti».
Questa è la casa che poi ha inventato un tormentone fantastico, una specie di luogo comune nella conversazione nazionale. Con al centro una domanda retorica immutabile e immediatamente accattivante: «Cosa vuoi di più dalla vita?», si chiedono, complici, due ragazze sorseggiando l’amaro in una dolce serata mediterranea. E poi successive variazioni sul tema, senza discostarsi molto, quasi sempre azzeccate.
Ma, prima degli spot in tv, c’è la lenta e lunga affermazione di un prodotto. La ditta nasce a Pisticci, in una zona non troppo fortunata, la cui storia evoca inevitabilmente innumerevoli frane che, nel corso del tempo, hanno segnato il paesaggio. Dipendono dalla natura argillosa della collina su cui sorge l’abitato. La più drammatica capitò la notte del 9 febbraio 1688 e fece 400 morti, ma la popolazione rifiutò l’offerta di ricostruire il paese più a valle. A cavallo tra Otto e Novecento, c’è la prima grande ondata migratoria, soprattutto verso l’America. È in questo periodo che nasce l’Amaro Lucano. Sono tante, all’inizio, le difficoltà che Pasquale Vena, non ancora cavaliere, deve superare: i trasporti sono complicati, è dura sia far arrivare le materie prime sia distribuire i prodotti anche se questi, per ora, vanno prevalentemente nell’Italia meridionale. Dalla ditta di Pisticci, comunque, escono diverse specialità di liquori. E anche biscotti, come si deduce da una delle prime pubblicità, con un cavaliere che arranca su un sentiero di montagna e intravede dietro una curva la bottiglia di Amaro Lucano (“Basilicata”, precisa la didascalia) come un miraggio. Poco dopo, la Premiata Distilleria Fratelli Vena, “Provveditore di S.A.R. il Duca d’Aosta”, reclamizza, oltre all’Amaro, “liquori di ogni genere, crema mandarino, vermouth”. Per l’Expò di Milano del 1906, si punta sull’etichetta della bottiglia, quella, mantenuta fino a oggi, con la contadinella sorridente.
Il rapporto con le banche. Negli archivi aziendali si trovano tracce di una scalata laboriosa, come la lettera di Vena al direttore della Banca d’Italia di Potenza del 15 dicembre 1902: «Per i molti acquisti in zucchero, spirito, bottiglie vuote ed altro fatto in questi giorni, derivanti sempre dal nostro crescente sviluppo di affari, massime nelle Province Meridionali, mi prendo la libertà inviarvi un altro effetto di L. 1500, affinché vogliate usarmi la cortesia volermelo scontare per maggiormente incoraggiare il mio commercio e la mia azienda…».
Oppure, dei problemi imprevisti appena si superano le frontiere nazionali, come quando le prime esportazioni negli Usa vengono bloccate perché lì non sono ammesse etichette col nome del produttore stampato sul retro. J. Kaplan, l’avvocato che rappresenta la ditta a Washington, scrive che bisognerà rifarle.
Si trovano, però, anche le gratificazioni, come il messaggio del ministero dell’Agricoltura, datato 6 maggio 1916, con cui si comunica a Vena la nomina a cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
E, sempre nei rapporti con oltreoceano, non manca una fiera rivendicazione: «In Italia – nelle città come Potenza, Taranto, Napoli ecc. – ogni cassa di bottiglie di Amaro Lucano si vende da L. 25/28/30 – ed è, si può dire, sul posto. Non è quindi esagerato se, in America, dopo tanto rischio e spese, ogni cassa si vende 3 dollari, e ciò anche ad essere un liquore di Marca da non confondere con altre miscele del genere».
Concorrenza spietata. Con la Prima guerra mondiale, però, le difficoltà aumentano. Vena deve ridurre l’attività, limita la produzione all’amaro. Quando muore, nel 1937, e la direzione passa ai figli Leonardo e Giuseppe siamo alla vigilia, addirittura, di una sospensione dell’attività. Risalire la china sarà dura, anche perché, nel secondo dopoguerra, si contano 1.300 amari in Italia. La concorrenza è spietata. Fra le leggende del settore, si ricorda spesso quella delle grandi convention organizzate da questa o quella ditta che radunano baristi a centinaia in qualche albergo di provincia: agli ospiti vengono garantite serate assai “allegre” e, in mezzo ai bagordi, i generosi ospitanti circolano facendo firmare ai gaudenti gestori spensierate ordinazioni di bottiglie a centinaia.
L’Amaro di Pisticci (che, con gli anni Cinquanta, ha aperto un nuovo stabilimento abbandonando definitivamente la dimensione artigianale) continua a battersi abilmente sul fronte della pubblicità. Un’inserzione coglie al balzo il centenario della Gazzetta del Mezzogiorno: «100 anni di buon giornalismo, 93 anni di buon amaro». Un manifesto da affissione, gioca sulla ricorrenza di San Valentino: «A volte l’amore è amaro; auguri a tutti coloro che sanno apprezzare il gusto dell’amore». Ma è con gli spot che Lucano dà il meglio. Si parte, negli Anni 80, con un Michele Placido praticamente imberbe che fa un po’ lo scemo con una ragazza in una villa antica, parla di fantasmi e mette in scena apparizioni, poi cambia registro: «L’unica vera leggenda, qui, è Amaro Lucano».
A cavallo del 2000 parte il tormentone memorabile. Prima in un biglietto mandato dalle amiche alla ragazza che cena con il presumibile cavaliere azzurro (è qui, peraltro, che sparisce il termine “amaro”, lei risponde estasiata: «Un Lucano»). Poi con tante variazioni. Da «Cosa vuoi di più dalla vita? Fare la prima mossa o la mossa vincente?» alle due ragazze scompagnate che trovano nel brindisi un’allegra consolazione. Passeranno dieci anni prima che lo slogan venga abbandonato e, dal 2012, Lucano punta sull’identità nazionale con la rima “…Quel tocco italiano”.
Trasgredendo l’impegno dell’antica pubblicità ricordata all’inizio, l’attuale sito internet parla di “formula ancora segreta”. Salvo poi, aprendo un’altra schermata, rivelare quasi tutto. Si scopre così che per fare il Lucano ci vogliono ben trenta erbe. E alcune vengono indicate così: sambuco fiori mondi, scorze dell’arancio dolce, angelica semi, ruta pianta, cardo santo sommità fiorite, aloe del capo, achillea moscata, assenzio gentile, salvia sclarea, assenzio romano forte, genziana radice. La lavorazione, poi, prevede sei fasi: soluzione ed essiccazione delle erbe; macerazione in una soluzione idroalcolica; pressatura ed estrazione degli infusi; miscelazione degli infusi con oli essenziali, alcol puro e acqua pura e decantazione; ora all’estratto vengono aggiunti acqua pura, zucchero, alcol puro e caramello e, dopo il controllo in laboratorio, il prodotto viene stoccato; infine si passa al filtraggio e al controllo qualità. Con questi sistemi e con cinquanta dipendenti, la capacità produttiva dell’azienda – oggi in mano all’omonimo nipote del fondatore, Pasquale con moglie Rosistella e figli Leonardo e Francesco – arriva a 30.000 bottiglie al giorno per un fatturato annuo di 25 milioni di euro, che vale al Lucano il secondo posto in Italia col 12% del mercato.
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