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 2013  novembre 29 Venerdì calendario

C’È VITA PRIMA DELLA MORTE?


Roma. L’Italia è una democrazia, ma frenate l’entusiasmo: «Questo fatto che in democrazia votano tutti, secondo me non è neanche igienico. Voglio dire: votano prostitute, drogati, politici: scusate la ridondanza». Fondata sul lavoro, si diceva: «Un italiano su tre fa sesso sul luogo di lavoro. Probabilmente perché eccitato dal fatto di avere un lavoro». Un po’ d’attualità, ma soprattutto temi esistenziali. La morte: «Molti sperano di morire nel sonno. Non io. Detesto saltare la colazione». Il sesso: «Io ero e resto fondamentalmente un romantico, un sentimentale: la prima cosa che guardo su YouPorn sono gli occhi». La religione: «Dio è uno e trino, è per questo che in foto viene sempre sfocato». Benvenuti nel mirabolante mondo di Saverio Raimondo, il primo stand-up comedian italiano che sembra vero. Forse il termine si potrebbe tradurre con cabarettista. A patto che il suddetto comico, invece che farsi le ossa nelle balere, nei villaggi Valtur o a TeleTuscolo, fosse venuto su a pane e Woody Allen, leggendo avidamente il New Yorker. Perché, absit iniuria verbis, il comedian sta al cabarettista nello stesso rapporto in cui Un posto al sole sta a Breaking Bad. Il primo piace un po’ a tutti, il secondo tanto a pochi. E va bene così.
«Anche negli Stati Uniti non è un tipo di comicità per le masse» racconta questo ventinovenne con i capelli a spazzola castani e la voce stridula, «solo che lì le nicchie sono molto più grandi che da noi». Il catalogo minimo dei fuoriclasse esemplari, dal già citato regista di Manhattan a Lenny Bruce («Se Gesù fosse sceso in terra nell’America del diciannovesimo secolo i cristiani porterebbero al collo una sedia elettrica»), da George Carlin (che fu arrestato nel ‘72 per aver pronunciato «capezzoli», una delle «sette parole» proibite in tv) a Bill Hicks, da noi aiuta poco nella comprensione. È un pantheon privato che parla solo ai convertiti. Molto più utile è il riferimento a Daniele Luttazzi, che di quella tradizione (o traduzione, considerati i casi di plagio di cui si sarebbe reso protagonista) è stato il primo importatore. Ecco, Raimondo è un Luttazzi con venti anni e qualche centimetro in meno, altrettanto spietato e – fino a prova contraria – tutto farina del suo sacco.
L’ultima volta che l’avevo visto era su un palco dell’Oppio Cocktail Club, un locale che guarda sul Colosseo e che è diventato la sua casa artistica. Aveva addosso solo dei tassel, le nappe del burlesque che faceva roteare in sincrono con la sparring partner Peggy Sue, e un tanga. Ora invece compita la sua poetica in un ordinatissimo appartamento borghese, con arredamento scandinavo e una camicia di un’esclusiva marca danese comprata nell’unico negozio di cui si fida. Dottor Saverio e mister Raimondo. Questo ircocervo di trasgressione e regolatezza è nato a Roma il 20 gennaio 1984 («Lo stesso giorno di Fellini e Lynch. Io ho chiuso la trilogia»). Madre insegnante, padre commercialista, cattolici di sinistra, un fratello e una sorella, asilo ed elementari dalle suore («Non mi hanno neanche molestato: ma come le hanno scelte?»). A 14 anni presenta un concerto di Natale e si scopre capace di far ridere. Bissa con spettacolini autogestiti e, a diciotto anni, gli giunge voce che la direttrice artistica del teatro Ambra Jovinelli Serena Dandini fa provini per nuovi talenti. Si presenta con un numero di strip all’incontrario, che parte seminudo e finisce vestito, e lo prendono come autore di Bra, braccia rubate all’agricoltura, al quale collabora per un paio d’anni. La mattina frequenta il Dams, la sera scrive battute. All’università in quegli anni insegna Carlo Freccero, santo patrono della tv studentesca Nessuno Tv che poi diventerà RedTV, in orbita Ds. Gli offrono un programma clandestino dal nome roboante di Raimondo Visione, smaccatamente ispirato al David Letterman Show. «Eravamo sul canale 981 di Sky. Nessuno poteva arrivarci neppure per sbaglio. Potevo provare tutto, senza ansie». Cambia direttore, finisce lo show. Collabora con Tetris di Luca Telese e fa serate al locale romano Meds con il collettivo Satiriasi inventato da Filippo Giardina con Francesco De Carlo. Sono tutti bravi e cattivissimi. Immaginate di mettere insieme Teo Teocoli, Claudio Bisio e Paolo Rossi, foderarli di carta vetrata e spalmarli di soda caustica. Ma gli altri hanno un accento (romanesco), lui no. Loro cercano il contatto con il pubblico, l’empatia prescritta dai manuali di comicità. Raimondo raggela, ma quando la punch line, la chiusa della battuta arriva, la senti. È il duemiladieci, tra il pubblico c’è il disegnatore Stefano Disegni che gli parla di un programma che sta per partire, Stiamo tutti bene, presentato da Belén Rodríguez. Riassunto dell’esperienza: «Dico solo che le ballerine avevano la cellulite. E le pagavamo tutti col canone! Uno scandalo». È avvilito. «In albergo. Come Tenco» scrive su Facebook dopo una puntata. Unico ricordo positivo, Dipollina che lo cita su Repubblica.
Il debutto vero arriva due anni dopo con Un due tre stella di Sabina Guzzanti, dove coltiva il suo filone italiofobo con collegamenti dal fantomatico Centro Carla Bruni per il recupero degli italiani, in Svizzera. «La mia produzione nasce da un disagio. Molto del quale ha a che fare con un sostanziale disprezzo nei confronti di questo Paese. Di cui faccio ovviamente parte». Non scherza. Dalla Guzzanti senior lo notano. Fa anche La prova dell’otto con Caterina, Guzzanti junior, e il commentatore di Glob di Enrico Bertolino. Prima di finire a La gabbia (la7, mercoledì, 21.10), il programma di Gianluigi Paragone, dove fa una specie di inviato guastatore («mi sforzo di emanciparmi dalle Iene»), in cui tenta di convincere il nuovo ambasciatore statunitense, visto che il raid contro il regime siriano era praticamente apparecchiato, a non sprecarlo e dirottarlo contro l’Italia.
Giornata tipo? Non ce l’ha. Scrive essenzialmente di notte, andando a letto nella seconda metà dell’intervallo tra le 2 e le 4. Vede tanta comicità, oltre ai numi già citati il Larry David di Curb Your Enthusiasm o il micidiale Louis C.K. Il suo browser si apre con Funnyordie. com, la vetrina del meglio da ridere statunitense. Ma l’epidemia umoristica su internet non lo convince: «Siti come Spinoza, dove ogni giorno migliaia di utenti scrivono battute sulla notizia del giorno. Questa non è satira: è un tic». Di Luttazzi riconosce il «grande merito culturale» di aver per primo esposto gli italiani alla stand-up comedy. Quanto ai «meriti artistici, direi non classificato, perché ora non si capisce più quanto fosse suo e quanto copiato». Le cose gli vanno bene, ha la contentezza compatibile con l’essere intelligenti. Soprattutto cerca di campare in modo da poter dare una risposta affermativa al quesito seguente: «C’è vita prima della morte?».