Fabrizio Salvio, SportWeek 23/11/2013, 23 novembre 2013
SBAGLIANDO SI IMPARA
[Mattia Perin]
Allora, Perin, è contento? Questa intervista esce in coincidenza con un suo ottimo momento di forma e con una partita speciale come quella col Milan, stasera a San Siro...
«Ecco. Mo’stai a vede’che...»
Cosa fa, si tocca?
«Sì. Posso?».
Cercate di capire: 79 reti subite in 37 delle 42 partite giocate in A, a un’età in cui i suoi colleghi infilano i guanti solo in allenamento, ammazzerebbero anche un portiere che al posto delle mani avesse due ventose. Mattia Perin, 21 anni appena compiuti, “1” del Genoa di numero e di fatto, nel campionato scorso a Pescara e all’inizio di questo sembrava possedere invece alle estremità delle braccia due cubetti di burro. Non sempre, ma abbastanza spesso perché affiorassero dubbi sul suo reale valore, al netto delle bande del buco che suo malgrado ha avuto a protezione della porta.
Poi, un mese fa, il vento è girato: prima, contro la Juve, miracoli in serie che hanno permesso al Genoa di contenere il passivo in un accettabile 0-2; quindi 3 partite di fila senza prendere gol, con Parma, Lazio e Verona, e quelli che storcevano il naso stavolta hanno strabuzzato gli occhi e si sono chiesti: vuoi vedere che questo è davvero il piccolo fenomeno che due anni fa prometteva di essere? Se dunque adesso il giovane Mattia allunga le mani sotto al tavolo in un gesto scaramantico, bisogna comprendere e perdonare: finiti sul fondo, ci si aggrappa a tutto pur di risalire.
In Serie A è la prima volta che le capita di restare imbattuto per 3 gare consecutive. Si è messo davanti allo specchio e si è preso a schiaffi per essere sicuro di non sognare?
«Se non me lo avessero detto manco me ne sarei accorto».
Quando invece ne prendeva 4 o 5 a partita, soprattutto a Pescara, ha mai pensato di aver sbagliato mestiere?
(ridacchia) «Ho appena iniziato, ci sarà tempo per vedere se ho sbagliato mestiere. Io dico che Pescara mi è servita: ho fatto delle cose buone, a un certo punto sono stato anche premiato come il portiere che aveva parato più tiri; e, se ti tirano tanto contro, ci sta prendere parecchi gol, qualcuno per colpa tua. Ho forgiato il carattere, ho accumulato esperienza che metto a frutto adesso».
Ma chi l’ha messa, in porta?
«I bambini del mio condominio a Latina, dove sono nato. Giocavo in cortile ed ero il più piccolo, avrò avuto 4-5 anni. Insomma, ogni volta che mi arrivava la palla, la fermavo con le mani e poi la calciavo. Mi hanno detto: tanto vale che stai in porta. E mi è piaciuto. Quando sono entrato nella scuola calcio del Latina ho chiarito subito che volevo fare il portiere. Risposero: accomodati, tanto quel ruolo non lo vuole nessuno».
Questi capelli lunghi che le cadono quasi sugli occhi non le hanno mai impedito una parata?
«Al contrario. Se lo ricorda Jigen, il pistolero di Lupin III che spara prendendo la mira col cappello? Ecco, io paro prendendo la mira coi capelli».
L’errore più clamoroso finora?
«Quest’anno con la Fiorentina a Marassi, sul primo gol di Giuseppe Rossi: quando ti tuffi pensando di deviare la palla in angolo e all’ultimo cambi idea e decidi di bloccarla, è la volta che combini il pasticcio. Io ho fatto così (il pallone gli è sgusciato dalle mani e, scavalcandolo, è entrato). Ho imparato che la prima cosa che decidi di fare è sempre quella giusta».
Alla sera, cosa ha fatto? Si è infilato nel primo bar a ubriacarsi, si è stordito di musica in disco o ha messo la testa sotto al cuscino?
«Sono andato a cena con Donnarumma, il mio vice. Abbiamo parlato un po’ della partita, poi, dato che all’epoca dividevamo lo stesso appartamento, siamo andati a dormire».
Tende a rimuovere l’errore oppure, dopo, ne parla con amici e parenti per cercare conforto?
«Quando sbaglio è logico che ci pensi su. Ma non ho bisogno di spalle su cui piangere. Sono andato via da casa, a Latina, che avevo 13 anni: ho imparato presto a sbrigarmela da solo, nel bene e nel male. Così, cerco di far vedere che riesco a superare gli errori in fretta. Qui al Genoa, coi preparatori dei portieri rivedo in settimana gli errori commessi. Mai le cose buone, sempre e solo gli errori».
Non è deprimente?
«No. Anzi, mi aiuta a non rilassarmi».
Ha bisogno di essere stimolato?
«Sì. Mi piace».
A 18 anni Dal Canto l’ha fatta esordire in B a Padova. A 19 era titolare a Pescara in A. Dodici mesi dopo, il Genoa l’ha richiamata. È troppo bravo, troppo simpatico o troppo ruffiano?
«Sono troppo simpatico. Scherzo, faccio battute, cerco di divertirmi. Ma non prendo più le cose sempre alla leggera come facevo prima, quando ridevo anche nei momenti meno opportuni. Ora ho un comportamento più professionale. Ma ridere è la cosa più bella che ci sia».
Il cazziatone più grosso che ha preso per la sua leggerezza di spirito?
«Non posso raccontarlo... Non potrei raccontare niente, in realtà: le ho fatte troppo grosse! Vabbè, mi hanno tolto la pelle quella volta che ho fatto tardi all’allenamento della vigilia del mio esordio in A, a maggio di due anni fa. E dire che sapevo che avrei giocato. Ma, invece di essere teso, russavo».
È vero che ha perso il posto nell’Under 21 per qualche atteggiamento sopra le righe?
«Forse sì. Un ritardo, qualche frase un po’ da guascone... Non si piange sul latte versato, ma se avessi un’altra occasione mi comporterei in modo diverso».
Buffon le ha consigliato di conservare la spensieratezza. Ci riesce?
«Sì (convinto). È una qualità che mi riconosco: gioco a vent’anni nel Genoa – che considero casa mia – con la Nord alle spalle, una squadra e un allenatore che mi sostengono; perché non dovrei essere spensierato?».
Anche fuori dal campo?
«Meno. Nella vita di tutti i giorni mi trovo ad affrontare situazioni che...».
Con chi?
«Le donne».
Ha in piedi due storie?
«Nemmeno una. Questo è il problema».
Ha detto: sono fantasioso, estroverso, scansafatiche. Iniziamo dal “fantasioso”: la follia più grossa che ha fatto?
«Quest’estate in America, bungee jumping da quasi 200 metri».
Quella che vorrebbe fare e non ha ancora trovato il coraggio?
«Lanciarmi col paracadute. Ci penserò a fine carriera».
La fantasia segreta?
«Giocare a basket in Nba».
Estroverso: lo è con tutti?
«Ho imparato a diffidare. Troppi finti amici. Ma con le donne resto estroverso. Mi butto».
Scansafatiche: cosa odia fare?
«Mettere a posto l’armadio. Pulire. Stirare. In casa so far tutto».
Accetterebbe di fare il “secondo” al suo idolo Buffon o alla sua età è giusto giocare?
«Alla mia età bisogna giocare».
Palleggia ancora col chewing-gum?
«Non ci ho più provato» (ride).
Perin, è vero che, per essere bravo, un portiere deve essere un po’ matto?
«È vero: ma in campo, non fuori. Il mio allenatore alla Primavera del Genoa, Chiappino, mi diceva sempre: c’è un filo sottile che separa l’essere matto dall’essere scemo. Tu ci cammini proprio sopra».