Cinzia Brandi, Vanity Fair 27/11/2013, 27 novembre 2013
LE TORTURE DI MARINA
LA STELLA
E’ quasi mezzogiorno e Marina Abramovic sta preparando il pranzo. Tagliatelle all’uovo con zucchine. «Mi piace molto cucinare, ma riesco a farlo solo quando sono qui in campagna, con le verdure biologiche che prendo direttamente dal contadino. Molto più difficile a New York, dove il tempo è scandito dagli impegni di lavoro».
Mi parla, via Skype, dalla cucina della casa a forma di stella – Star House si chiama, infatti – dove si rifugia, ogni volta che può, per «rigenerarmi, resettarmi, ritrovare il mio equilibrio». Carismatica, seducente ancora a quasi 67 anni, si rivolge a me con quella voce calda e sensuale, dal forte accento slavo, e intanto continua a giocare con la massa di capelli neri, lunghi fin sotto la vita.
Spontanea e rilassata in un accappatoio bianco, così espansiva e positiva che fatico a conciliarla con la Marina Abramovic che ho in mente io. L’artista delle performance ai limiti del masochismo: quella che davanti agli spettatori si tagliava e si gettava tra le fiamme e si congelava e si faceva frustare e ferire fino a perdere i sensi (nella serie Rhythm); quella che con il compagno Ulay si metteva ai due stipiti di una porta, entrambi totalmente nudi, per sfidare il pubblico che doveva passare in mezzo (Imponderabilia), o a respirare l’uno dalla bocca dell’altro (Breathing In/Breathing Out) fino a svenire per la mancanza di ossigeno; quella che per giorni di seguito restava immobile in una sedia in un museo, invitando un visitatore dopo l’altro a sederle di fronte (The Artist Is Present); quella che nell’opera teatrale The Life And Death Of Marina Abramovic ha impietosamente sezionato la sua vita, gli anni difficili con la madre generalessa, il trauma degli amori finiti, persino il funerale immaginato.
O forse in fondo questa intervista è la stessa cosa, una performance, per giunta privata, e la sua energia buca lo schermo e mi raggiunge. Per Marina arte è questo: esperienza personale e personalizzata, attenzione rivolta a ogni individuo.
IL METODO
la casa a forma di stella a due ore da Manhattan, nella valle dell’Hudson, in mezzo a ettari di boschi e laghi, è meta di colleghi artisti. È passato Jeff Koons, è passata, l’estate scorsa, Lady Gaga. «Una donna molto reattiva e ricettiva: mi ci rivedo molto, quando ero giovane e senza paura. È venuta per una consulenza, per espandere la sua conoscenza artistica, per abituarsi a concentrarsi al massimo, a controllare il corpo e la mente, nelle situazioni più stressanti». Ovvero, a imparare il Metodo Abramovic.
Per esempio: passare tre giorni senza mangiare, lavarsi o parlare, dormendo tutti assieme in una stanza, in un sacco a pelo per terra. Detto così, non sembra il massimo, ma è proprio nel superamento delle difficoltà che avviene la trasformazione, e arriva la consapevolezza del livello di condizionamento che la società ci impone. Esercizi apparentemente senza scopo – nuotare nudi nel fiume gelato, esprimere la propria rabbia a un albero, impiegare un’ora a bere un bicchier d’acqua, camminare senza meta nel bosco – hanno appunto lo scopo di ricondurci al nostro stato primario e liberare la mente da condizionamenti inutili. Funziona per gli artisti, funziona per tutti.
«Si tratta di capire che cosa significhi essere presenti in ogni situazione», mi spiega Marina, «perché un grosso problema della nostra società è la mancanza di concentrazione, anche nel bere un bicchiere d’acqua. Dobbiamo imparare a fare una cosa alla volta, riappropriarci della consapevolezza di ogni nostra azione. Mangiare a occhi chiusi senza distrazioni, per esempio. Soffermarsi sulla consistenza degli alimenti, sugli effetti che producono sulla bocca, le labbra, la lingua: vuol dire essere osservatori consapevoli di quello che ci succede. Spesso ingurgitiamo il cibo senza pensare all’effetto che avrà sul nostro corpo, all’energia che contiene, al beneficio che possiamo trarne: siamo solo preoccupati di perdere peso o prendere peso. Lo stesso vale per la respirazione. Respirare è talmente automatico che a volte ci dimentichiamo di farlo. Se praticata con attenzione, la respirazione diventa quasi una meditazione, una cura contro lo stress».
L’ISTITUTO
lady gaga è arrivata, provvidenzialmente, proprio nel periodo in cui Marina stava raccogliendo fondi per il suo nuovo progetto: il MAI, Marina Abramovic Institute. È bastato un tweet dell’icona pop ai suoi 40 milioni di fan perché esplodesse anche il numero dei follower di Marina, e il ritmo delle donazioni. Così, all’idea iniziale di creare una fondazione, si è sostituita un’idea molto più ambiziosa: una spa per la cultura e per la mente, un’oasi di arte, spiritualità, scienza e tecnologia, un luogo di scambio di energia creativa. Dove Marina mette a disposizione quarant’anni di esperienza (e di performance) sullo studio della consapevolezza umana.
«Per me è importante lasciare un’eredità del mio lavoro e della mia vita. Il ruolo dell’arte, in un’epoca di transizione come la nostra, non è quello di riflettere i problemi della società, ma di elevare lo spirito. Da qui viene la mia idea di costruire un centro per tutte le forme di arte immateriale, concentrandomi soprattutto sulla performance di lunga durata. Un genere ancora poco familiare al grande pubblico, che invece io vorrei riuscire a raggiungere. Perché la gente oggi è disorientata. Soprattutto i giovani, che non hanno più modelli a cui ispirarsi. Grazie alla tecnologia la società si è evoluta a velocità vertiginosa, ma così abbiamo perso il contatto con noi stessi, con il nostro corpo, con la natura. Io vorrei aiutare a ricostruirlo». Attraverso la performance appunto, che trasforma tanto l’artista quanto lo spettatore. Ma serve la lunga durata, e serve uno scambio di energia che solo il rapporto dal vivo consente». Per accedere al Marina Abramovic Institute (organizzazione non profit) sarà quindi necessario firmare un contratto dove ci si impegna a un minimo di sei ore di soggiorno: il tempo è necessario perché la trasformazione avvenga, la fretta è nemica.
All’ingresso bisognerà lasciare in un armadietto gli effetti personali: via l’orologio, via il telefonino, il computer e tutto quello che ci lega al mondo esterno. E indossare un camice bianco, come scienziati, nella speranza di poter poi ripetere l’esperimento per proprio conto, a casa, magari staccando la spina per due o tre ore nel weekend, magari applicandolo a ogni aspetto della propria vita: lavoro, relazioni eccetera. Gli esercizi si articolano in varie fasi, attraverso stanze diverse, fino alla sala principale, dove si assiste allo spettacolo, e se ne diventa parte. Sono a disposizione le long durational chairs, poltrone «a lunga durata» munite di ruote, così, se ti addormenti, ti trasportano da un ambiente all’altro tipo carriola: al risveglio, l’accresciuta consapevolezza è garantita.
I FIGLI
il costo dell’esperienza? 75 dollari, poco più di 50 euro, perché lei non vuole che sia un lusso per pochi. Giuliano Argenziano, direttore del suo studio a New York, racconta che Marina ha chiesto a tutti i collaboratori di sottoporsi all’esperienza del Metodo.
Ci vorranno 20 milioni di dollari per ricavare il MAI da quello che un tempo era un teatro di Hudson, una cittadina sull’omonimo fiume; quasi 700 mila sono stati già raccolti, in un mese, anche grazie a quel tweet di Gaga. Il progetto, curato da Rem Koolhaas e Shohei Shigematsu, prevede che il centro venga aperto al pubblico nel 2015. Direttore Serge Le Borgne, già gallerista di Marina a Parigi, che come lei crede al bisogno di ricostruire i social network reali al posto di quelli virtuali. Non è una religione, non è un culto: al contrario, si tratta di riportare le persone al «qui» e «ora».
«L’idea», dice Marina, «mi è venuta durante The Artist Is Present, al MoMA, nel 2010. Il confronto diretto con lo spettatore mi ha cambiata. Mi sono resa veramente conto che le persone sedute davanti a me erano completamente perse, alla ricerca di una guida. L’umanità si sta evolvendo, c’è una maggiore attenzione per lo spirito, l’arte deve aiutare a soddisfarla. I miei genitori, rivoluzionari ed eroi di guerra, mi hanno cresciuta con l’idea che la causa è più importante di tutto. Per me, l’artista viene prima della donna. È anche per questo che non ho avuto figli: essere artista e madre allo stesso tempo è molto difficile, perché richiedono lo stesso tipo di energia. Il problema di molte donne oggi è proprio quello di non voler sacrificare nulla, di voler essere tutto. Abbiamo perso l’armonia del tempo in cui tutti sapevano che cosa fare. Perché, ripeto, si può fare solo una cosa alla volta».
I CHICCHI
la scelta di lady gaga come testimonial ha suscitato le critiche dei puristi, Marina però se ne infischia. «Se lei riuscirà a trovare un equilibrio migliore nella sua vita, potrà essere di esempio per i giovani che la seguono, giovani che io altrimenti non saprei raggiungere, che hanno bisogno di chiedersi “Chi sono?”, di ritrovare il loro centro». Per trovare il suo, Gaga, tra le altre cose, si è fatta bendare per tre ore, è entrata nella foresta, tra zecche, ragni e serpenti, e ha ritrovato da sola la strada del ritorno. Poi ha mischiato un chilo di riso a un chilo di lenticchie e ha separato chicco da chicco, contandoli. Ci volevano circa sette ore, lei non le aveva. Così si è portata dietro il vaso di vetro. Dicono che abbia finito di contare in aereo.