Paolo Siepi, ItaliaOggi 27/11/2013, 27 novembre 2013
PERISCOPIO
In Italia fingono persino alla Bocconi di non conoscere il professore Monti, ricomparso come se nulla fosse, dopo la notizia che l’Inps (dal suo governo sovraccaricata dei debiti dell’Istituto dei dipendenti pubblici) rischia di fallire. Piero Ostellino. Corsera.
Berlusconi: «Contro Renzi ho un colpo segreto». La Leopolda è minorenne! Spinoza. Il Fatto quotidiano.
Se scrivi un articolo in dissenso dagli antiberlù, vieni aggredito da una sequela incivile di insulti e volgarità davvero «paranoidi» (Ostellino) e «rancorosi» (Renzi). C’è una canea di esagitati sul web, da antirabbia. Non sospettano che ci possano essere idee diverse dalle loro: no, lo dici solo perché sei un servo. Né Ostellino né io siamo berlusconiani. A me spiace ammetterlo perché, per sfregio alla canea, vorrei dire il contrario. Ero di destra prima che arrivasse B., sarò di destra dopo di lui. Così Ostellino, era liberale prima di B., lo sarà anche dopo. Essere di destra è stato, e lo è ancora, in Italia, un handicap da uomini liberi, altro che da leccapiedi: i cani ti azzannano, le volpi ti cancellano. Ho una mia storia, le mie idee sono nei miei libri, e non sarà un branco con la bava alla bocca a rovesciarla. Marcello Veneziani. Il Giornale.
Berlusconi - Prévert aveva capito tutto: «Non bisogna guardarlo / non bisogna ascoltarlo / conviene andare avanti / fingere di non vederlo / fingere di non sentirlo?». Jena. La Stampa.
Il governo Letta, imbrigliato dai compromessi a cui lo costringe la sua composizione spuria, si muove per piccoli passi quando invece ci sarebbe da correre. Non solo. Smaccatamente indisposto a tagliare realmente la spesa pubblica, e palesemente refrattario a cambiare la legge elettorale e il finanziamento ai partiti, è un governo che, in pratica, si limita ad arrancare dietro a dei trattati o a dei processi economici decisi altrove. Filippo Facci. Libero.
Joseph Roth dice che «il comunismo ha prodotto il fascismo e il nazional-socialismo e la rabbia contro la libertà dello spirito. Chi approva l’Urss approva, di fatto, anche il Terzo Reich». Stefan Zweig/Joseph Roth, Correspondence 1927-1938. Bibliothèque Rivage.
La dizione genitore «1» e «2» adottata da liceo Mamiani di Roma ha un suono orrendamente burocratico. I numeri si appiccicano agli individui nelle istituzioni spersonalizzanti e non si capisce perché sia necessario introdurli a scuola. Io sono il padre di mio figlio e non il «genitore 1 o 2» e voglio essere riconosciuto tale dai miei interlocutori. Esiste da tempo immemorabile la dicitura: «Padre, madre o chi ne fa le veci». Se si voleva, si poteva cambiare in «... o chi ha cura dell’alunno». Perciò è assolutamente fuori luogo citare la complessità dei nuovi nuclei familiari, perché la vecchia dicitura copre ogni situazione e risponde sia all’esigenza tecnica di depositare una firma sia a quella di qualificare il partner della coppia che si cura del figlio altrui. Con affetto, amore, senso di responsabilità, ma sapendo tutti, a partire dal ragazzo o la ragazza, che è figlio o figlia di altri. Marco Politi. Il Fatto quotidiano.
Non per mancare di rispetto all’autorità, ma la mia fidanzata è latitante dal 1996. Motivo? È ricercata per aver fatto ballare un orso nel mezzanino del metrò della stazione Precotto a Milano. Orso con museruola, vestito da scemo. Maurizio Milani, Uomini che piangono per niente. Rizzoli.
Era il 1966. Il mio primo impatto con Peggy Guggenheim fu meraviglioso. Entrai in casa con Fabrice e udii un rumore di piccoli campanelli in avvicinamento. Erano i suoi quattro cagnolini tutti muniti di pendaglio sonoro al collo, che non la mollavano mai e annunciavano sempre il suo arrivo. Infatti, dopo pochi attimi, apparve Peggy, vestita con un lungo caftano orientale, circondata dai cani. Le baciai la mano, come mi aveva consigliato la mamma. Lei sorrise e mi disse: «Guarda che sono una vecchia signora, ma a me i giovanotti piacciono ancora». Era già molto anziana ma stravagante e un po’ matta. Insomma, le feci buona impressione e, da quel momento, nei miei vari soggiorni a Venezia in casa sua, Peggy con me fu sempre incredibilmente affettuosa. L’accompagnavo a passeggio per le calli. Le raccontavo aneddoti del cinema italiano che la facevano ridere fino alle lacrime. Le leggevo degli articoli sui settimanali americani. E qualche volta lei si addormentava. Enrico Vanzina, Commedia all’italiana. Newton Compton.
Le tre donne ripresero a trafficare fra le pile di indumenti accatastati sul letto, nei cassetti aperti, aiutate anche da Silvia. Le loro mani smistavano con sicurezza il soffice tesoro dell’inverno, volando nell’aria della stanza senza scontrarsi, cose se fossero uccelli sapienti. Spiegavano le maglie, i panciotti multicolori, le vestaglie color crema o vinaccia, per liberarli dalle scaglie di canfora e verificare che le tarme non vi avessero fatto qualche guasto. Li ripiegavano con una delicata pressione, e li riponevano nei tiretti, dove, nel frattempo, Silvia aveva sostituito sul fondo la carta a fiorami. Quando un cassetto era colmo, tutte e quattro si fermavano il tempo di un sospiro ad ammirare l’ordine, si scambiavano un’occhiata di approvazione e richiudevano. Luigi Santucci, Il Velocifero. Mondadori. 1963.
Andiamo a Cave con un furgoncino che si chiama Porca Miseria perché è un catorcio che si rompe sempre. Allora tutti girano la manovella sotto il muso della macchina dicendo la bobina e il carburatore. Dopo mamma canta in francese lavienrose. Giuliano Zincone, Tempo di guerra. Rizzoli.
Si è soliti parlare molto male della vita borghese. Io non ho mai avuto una vita di quel tipo, però mi piacerebbe moltissimo averla o averla avuta. Ciò che intendiamo per vita borghese è esattamente quello a cui deve tendere qualsiasi rivoluzione futura. Una vita borghese per tutti. Cioè, una vita tollerante, aperta a qualunque corrente culturale, laica, saldamente ancorata ai principi dell’illuminismo. Gabriele Morelli, Interviste con Roberto Bolaño. Medusa.
A vent’anni andavo allo stadio; e lì capii definitivamente di essere finocchio, perché mi piaceva più il momento delle docce che quello del campo. Luca Scarlini, Alfabeto Poli. Einaudi.
Mi spogliai, mi distesi e spensi la luce con la peretta che pendeva dalla testata di ferro del letto. Piero Chiara, Il cappotto di astrakan. Mondadori. 1978.
I ricchi diventano tali a spese dei poveri che, al posto dei ricchi, farebbero altrettanto. Roberto Gervaso.