Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 27/11/2013, 27 novembre 2013
IRAN, GLI OSTACOLI DOPO L’ACCORDO
Festeggiare l’accordo con l’Iran e al contempo preparare un round di sanzioni appare, a prima vista, un’inspiegabile contraddizione. Eppure è quanto sta accadendo in questi giorni negli Stati Uniti.
Salutato dal presidente americano Barack Obama come un successo della diplomazia, lo storico accordo sul dossier nucleare firmato domenica scorso tra il gruppo "5+1" (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) e i negoziatori iraniani non ha convinto gran parte dei senatori repubblicani e diversi democratici. Si sta dunque formando un’inedita alleanza bipartisan sul fronte interno che si oppone agli sforzi della Casa Bianca. Insidiosa quanto l’altrettanto inedita alleanza sul fronte estero rappresentata da Israele e Arabia Saudita.
L’opinione prevalente è che sia stato un accordo troppo sbilanciato, fragile e, per i più critici, perfino pericoloso. Perché concederebbe altro tempo prezioso a Teheran, già vicina alla capacità di sviluppare un ordigno atomico. D’altronde i precedenti giocano a sfavore di Teheran. I sette anni di negoziati tra il gruppo "5+1" sono stati un cammino tortuoso fatto di annunci e aperture clamorose da parte dell’Iran seguiti da altrettanto clamorose smentite. Sette anni di rinvii, vertici finiti nel nulla, proposte mai seguite dai fatti che, alla fine, nonostante le sanzioni occidentali, hanno permesso all’Iran di guadagnare tempo. Ecco perché buona parte del Congresso, convinto che la Repubblica islamica sia tornata al tavolo dei negoziati solo perché stremato dalle sanzioni, vuole mantenere la linea dura. «Continuerò a lavorare per una legge che imponga nuove sanzioni economiche all’Iran, se non rispetterà l’accordo o se lo smantellamento delle infrastrutture nucleari iraniane non sarà stato avviato alla fine dei sei mesi (previsti dall’intesa. Ndr)» ha affermato il senatore Mark Kirk. Il suo collega, Lindsey Graham è stato ancor più diretto: «Il Congresso voterà nuove sanzioni, che saranno però ritardate di sei mesi». Posizioni in parte condivise da influenti esponenti democratici, come il leader della maggioranza democratica al senato, Harry Reid, sostenitore del presidente ma orientato a discutere il nuovo pacchetto di sanzioni già in dicembre. Un’operazione vista come fumo negli occhi dalla nuova leadership iraniana: «Se ci sono nuove sanzioni, allora non c’è accordo. Fine dell’accordo a causa dell’incapacità di una controparte di rispettare la propria parte del contratto», ha ribattuto il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif.
Preoccupata che le nuove sanzioni possano avvelenare il clima di intesa raggiunto dopo anni di trattative, la linea della Casa Bianca è chiara: nessun nuovo pacchetto misure punitive, nemmeno nell’ipotesi che vengano approvate prima per poi entrare in vigore alla fine del periodo di prova (sei mesi) previsto dall’accordo.
Sull’altra sponda dell’Atlantico, il clima sembra più disteso. Bruxelles ha seguito a ruota gli Usa con una serie di sanzioni finanziarie e commerciali. Tra cui quelle che hanno reso virtualmente impossibile effettuare transazioni elettroniche con le banche iraniane. L’embargo contro le importazioni di greggio dall’Iran, entrato in vigore il 1° luglio del 2012, è stato pienamente rispettato. Ma non è stato indolore, soprattutto per quei Paesi più esposti energeticamente verso Teheran, che sono anche quelli più in difficoltà nella zona Euro: Italia, Spagna e Grecia.
Dopo l’accordo, Bruxelles sarebbe orientata ad alleggerire alcune sanzioni (non quelle petrolifere) già in gennaio. E presto potrebbe attenuare l’embargo alle compagnie di assicurazione europee nei confronti delle navi che trasportano greggio iraniano. Ma già prima dell’accordo nel sistema delle sanzioni europee si cominciava a intravedere qualche crepa. Nel 2010 diversi asset della Bank Mellat, uno dei maggiori istituti di credito iraniani, furono colpiti dalle sanzioni del Consiglio europeo perché sospettati di finanziare il processo di arricchimento dell’uranio. Non esistono prove di un legame con il programma atomico, aveva ribattuto la banca nel suo ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Che nel 2013 le ha dato ragione. Per lo stesso motivo la stessa revoca fu deliberata il mese successivo anche nei confronti della Saderat, altra banca iraniana. Sempre per la stessa ragione il 16 settembre 2012 la Corte generale ha revocato le sanzioni contro la Irisl, la compagnia nazionale iraniana di spedizioni marittime. Ci sarà tempo per i ricorsi, ma sono precedenti significativi.
La strada verso un’intesa finale con l’Iran resta comunque in salita e piena di incognite. Su tutti i fronti. Anche quello iraniano, dove la fronda dei falchi sta attendendo l’occasione propizia per vanificare l’accordo .