Gianni Barbacetto, Il Fatto Quotidiano 27/11/2013, 27 novembre 2013
DA LIGRESTI A UNIPOL STORIA DEI FURBETTI DELLE ASSICURAZIONI
Una grande storia italiana. Un thriller finanziario da farci un filmone americano. L’ultima grande operazione di sistema. Di più: una “bicamerale degli affari” ai tempi delle larghe intese, propiziata dagli ambienti tremontiani in accordo con il centrosinistra. Questo è la fusione Fonsai-Unipol, un matrimonio che sta per far nascere una compagnia assicurativa seconda solo a Generali, prima in Italia nel ramo danni, e che proietta il colosso delle coop rosse nell’empireo della grande finanza.
Ma no, ribatte Mediobanca, che ha combinato le nozze: è una normale operazione di mercato, messa insieme in tempi di crisi e di poteri deboli. Qual è la verità? Proviamo a raccontare i fatti. Di certo, nel paio d’anni in cui l’operazione è stata realizzata, è successo un terremoto: è crollato l’impero di Salvatore Ligresti, che pure era uno dei perni del sistema politico-finanziario italiano. In perfetta sincronia con il declino del suo vecchio collega palazzinaro e amico politico Silvio Berlusconi. Di certo, le autorità di controllo (la Consob che deve vigilare sulle società quotate, l’Isvap che deve regolare le compagnie assicurative) hanno fatto l’arbitro che in partita si schiera con una delle squadre in campo.
Tanto che tornano alla mente i “furbetti del quartierino”: ricordate che cosa successe nell’estate del 2005? Allora il più importante degli arbitri, il Governatore di Bankitalia, in nome del-l’“italianità delle banche” si schierò con l’allegra compagnia di scalatori impegnati ad assaltare un paio d’istituti di credito e un grande giornale, il Corriere della sera. Era un tentativo di cambiare i connotati del sistema finanziario (e forse anche politico) italiano, con il banchiere Gianpiero Fiorani impegnato, a destra, a conquistare Antonveneta e il presidente di Unipol Gianni Consorte lanciato, a sinistra, all’assalto di Bnl, mentre il “mattonaro” Stefano Ricucci tentava la “mission impossible” di espugnare via Solferino. Allora il segretario del maggior partito di centrosinistra esultò al telefono con Consorte: “Abbiamo una banca!”. L’euforia durò un attimo: gli scalatori furono fermati dalle inchieste giudiziarie e dalla stampa che raccontava quasi in presa diretta le mosse dei “furbetti” e i baci in fronte all’arbitro che non faceva il suo mestiere.
La caduta dell’impero
Oggi, otto anni dopo, in un silenzio assordante, Unipol sta realizzando il sogno di Consorte di entrare nel gran mondo della finanza italiana. Non conquisterà una grande banca, ma un’importantissima compagnia assicurativa. Se anche qualche politico del principale partito di centrosinistra fosse intervenuto nella partita o avesse gioito, questa volta, con un “abbiamo un’assicurazione!”, nessuno lo saprà, perché oggi è molto più bassa l’attenzione critica della stampa, della politica, perfino della magistratura. Il clima di larghe intese permette una ristrutturazione di sistema quasi indolore: fuori i Ligresti, dentro la compagnia delle coop rosse. Così, al termine del processo di fusione in corso, nascerà UnipolSai. Come ci si è arrivati?
Nel 2008, Salvatore Ligresti è ancora un uomo potente e silenzioso. Controlla saldamente la Fonsai, ottenuta sei anni prima grazie alle manovre del-l’allora gran capo di Mediobanca Vincenzo Maranghi. Anno difficile, però, il 2008. L’utile netto consolidato di Fonsai è ridotto a 87,4 milioni di euro, un tracollo rispetto ai quasi 507 milioni di profitti dell’anno precedente. Per distribuire il dividendo (117 milioni), gli amministratori della compagnia attingono alle riserve. Ciò nonostante, Ligresti fa sborsare a Fonsai 50 milioni di euro per entrare nel salvataggio Alitalia voluto da Berlusconi e guidato da Corrado Passera, allora a Banca Intesa: sa che le relazioni politiche valgono più di un buon investimento. Ma negli anni successivi la crisi delle polizze s’incrocia con la crisi del mattone e la situazione del gruppo Ligresti precipita, come ricostruisce Gianni Dragoni nel suo ebook Ligresti story (Chiarelettere). Nel 2009 Fonsai ha una perdita netta di 342,6 milioni. Nel 2010 triplica, arrivando a 929 milioni. Nel 2011 il passivo raggiunge la cifra record di 1 miliardo. Intanto, il 27 gennaio 2011, l’amministratore delegato Fausto Marchionni dà le dimissioni, comunque compensato con una buonuscita di 10 milioni di euro. La compagnia ha bisogno di una ricapitalizzazione di almeno 450 milioni, più altri 350 per la controllata Milano Assicurazioni. La holding che controlla Fonsai, la Premafin della famiglia Ligresti, non ha i soldi. Si attiva allora Unicredit, già forte creditrice di Premafin, che ci mette altri 170 milioni e guida l’aumento di capitale, realizzato nell’estate 2011. Ma dev’essere cambiato anche il management. Ai vertici di Fonsai arriva un dirigente di Unicredit gradito anche alla famiglia Ligresti: è Piergiorgio Peluso, figlio di Annamaria Cancellieri, all’epoca commissario prefettizio del Comune di Bologna, poi ministro dell’Interno nel governo Monti e infine ministro della Giustizia nel governo Letta. Cancellieri è da quarant’anni amica di famiglia dei Ligresti. Anche Peluso arriva dunque come amico. Ma pochi mesi dopo se ne andrà come “traditore”: i Ligresti lo accusano di aver affondato la compagnia, che intanto viene loro sfilata di mano. In realtà, a spolpare Fonsai sono proprio loro, i Ligresti. Il capofamiglia, Salvatore, pur non avendo cariche remunerate (è solo presidente onorario), nei tre anni critici dal 2008 al 2010 riceve ben 21,2 milioni di euro per “consulenze tecnico-immobiliari”. Dal 2003 al 2012 ha incassato complessivamente 42,2 milioni. Anche i figli Jonella, Giulia e Paolo sono nutriti dalla compagnia di famiglia. Oltre ai loro compensi, le sponsorizzazioni: per Toulon, il cavallo di Jonella, Fonsai in cinque anni sborsa 8,4 milioni di euro; poi ci sono i milioni versati alla società Gilli di Giulia, che disegna e produce borse che nessuno compra; e le spese per le auto, le foresterie, il personale dedicato e il Falcon, il jet privato che Jonella pretende per volare al Tanka Village e tuffarsi nel mare smeraldino della Sardegna. Tutto a spese degli azionisti Fonsai. Ma ci sono operazioni che pesano ancora di più. Ligresti fa comprare alla compagnia, e alle società quotate, terreni e immobili delle sue società di famiglia (Sinergia, Imco...). Così nel 2009 nelle sue tasche entrano 14 milioni per alcune aree dell’hinterland milanese, 25 milioni per la Atahotels. Un bagno di sangue: gli alberghi sono in perdita (52 milioni nel 2010) e costeranno a Fonsai svalutazioni milionarie . La famiglia incassa, i soci di minoranza pagano. Un saccheggio. A cui assistono impotenti i piccoli azionisti, che hanno visto il valore delle azioni ordinarie Fonsai crollare, dall’inizio del 2010 alla fine del 2012, del 94 per cento. Metteteci anche la crisi del mercato delle polizze e il quadro diventa cupissimo. Peluso, dopo aver aperto qualche cassetto e visto qualche carta, si rende conto che la situazione è peggio del previsto. L’aumento di capitale dell’estate 2011 non è sufficiente: nel marzo 2012 mette a bilancio per il 2011 ulteriori 800 milioni necessari a rimpinguare la riserva sinistri. Fonsai ha bisogno di un nuovo piano di salvataggio. A questo punto Ligresti, con oltre 2 miliardi di debiti con le banche (di cui 1,2 miliardi con Mediobanca, 470 milioni con Unicredit) diviene un impiccio. È un fusibile che può saltare. Serve qualcuno che prenda il suo posto.
Il salvatore ha i capelli brillantinati: è Carlo Cimbri, il successore di Gianni Consorte in Unipol. Alberto Nagel, l’amministratore delegato di Mediobanca, sostiene di aver cercato altre strade: i francesi di Axa, altri operatori esteri. Ma siamo nel 2012, il rischio Italia è altissimo, lo spread è alle stelle e Fonsai ha nei suoi cassetti miliardi di titoli di Stato italiani. Nessuno vuole sposare la zitella strapazzata dai Ligresti. Si fa avanti solo Cimbri.
I dolori del giovane Nagel
In verità, qualche altro pretendente c’è: si fanno sotto Matteo Arpe, con la sua Sator, e Roberto Meneguzzo, con la sua Palladio. Tentano insieme di prendersi Fonsai. Non c’è partita. Tutto il mondo attorno a loro tifa per Cimbri, che pure non ha i soldi per l’operazione e ha i bilanci che lasciano aperti molti dubbi. Eppure, tifa per lui Nagel, convinto che sia meglio tenere la compagnia in mani amiche e che preferisce avere a che fare con Unipol, anch’essa indebitata con Mediobanca. E questo ci sta: Nagel fa il suo mestiere. Più strano il tifo degli arbitri, l’Isvap presieduta da Giancarlo Giannini e la Consob di Giuseppe Ve-gas. Sembra quasi una manovra a tenaglia. La prima, che per quasi un decennio non aveva controllato Ligresti, di colpo scopre la sua missione e bastona Fonsai, le impone ulteriori rettifiche patrimoniali milionarie e la riduce così a una preda facile da conquistare. La seconda socchiude invece gli occhi sui problemi di Unipol, che così può presentarsi come il cavaliere forte e sano pronto al salvataggio. Sì, perché se Fonsai è malata, anche Unipol non si sente troppo bene. Nell’era Cimbri aveva già dovuto fare due aumenti di capitale, spremendo le povere coop. Per il gran matrimonio con Fonsai, Unipol deve fare ancora di più, uno sforzo eccezionale. Ma ormai sembra fatta. La fusione che farà nascere UnipolSai è vicina.
A disturbare i manovratori sono in pochi. C’è un magistrato, Luigi Orsi, che dalla Procura di Milano apre un’indagine che ha messo sotto accusa (per ora) Ligresti, il distratto dell’Isvap Giannini e Nagel il banchiere, il quale ha siglato un ’papello’ che assomiglia troppo a un accordo per concedere qualcosa ai Ligresti purché si facciano da parte in silenzio. C’è un funzionario dentro l’Isvap, Giovanni Cucinotta, che non ci sta a chiudere gli occhi su Fonsai e per questo viene spostato d’ufficio. C’è n’è uno anche in Consob, Marcello Minenna, che, avversato dal presidente Vegas, cerca di analizzare con rigore i bilanci di Unipol, con la pancia piena di titoli strutturati che potrebbero riservare in futuro sgradite sorprese (come hanno fatto con Mps). C’è poi un consulente, Fulvio Gismondi, che va dal pm di Milano a raccontare che cosa ha visto in Fonsai, che cosa ha intravisto in Isvap e anche che cosa ha calcolato sui derivati di Unipol (poi indagato dalla Procura di Torino, a caccia delle responsabilità dei buchi Fonsai). Un rapporto, chiamato Plinio, redatto nel 2012 per Fonsai dai consulenti di Ernst&Young, arriva a sostenere che Unipol, a causa dei derivati, potrebbe avere un patrimonio netto negativo, o almeno un valore di molto inferiore a quello dichiarato. I pochi giornalisti che lo scrivono non hanno vita facile e un paio, Giovanni Pons e Vittoria Puledda di Repubblica, sono addirittura messi sotto indagine amministrativa dalla Consob per aggiotaggio informativo e la Procura di Milano chiede i loro tabulati telefonici per passarli a Ve-gas, che li userà per cercare di capire chi sono le loro fonti. È una grande storia italiana, con molti punti di domanda ancora aperti, la politica in attesa del finale e due Procure al lavoro.