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 2013  novembre 26 Martedì calendario

I GOOLARABOOLOO IN LOTTA CONTRO LE MINIERE DI JAMES PRINCE POINT


È guerra tra lo Stato australiano del Western Australia e una tribù aborigena, i Goolarabooloo, per lo sfruttamento minerario della Kimberley Coast, un paradiso naturalistico e area sacra per le popolazioni indigene. Dopo aver combattuto per quattro anni il gruppo minerario Woodside per impedire la costruzione di uno dei più grandi impianti di gas in Australia, il rappresentante degli aborigeni, Phil Roe, si trova ora di fronte un nuovo nemico, il premier dello Stato australiano Colin Barnett. Oggetto del contendere è ancora una volta James Price Point, un tratto della Kimberley Coast sacro alla sua tribù, dove Woodside (con la partner Royal Dutch Shell) intendeva construire il suo impianto.
Di giorno, per quattro anni Roe ha cercato di convincere le persone coinvolte a desistere dal progetto. Di notte, adottando tecniche di guerriglia, ha spaventato i contractors giunti sul luogo per ispezioni. Alla fine ce l’ha fatta: ad aprile Woodside ha optato per un impianto galleggiante, Browse Basin, al largo della Kimberley Coast. Ufficialmente l’opposizione di Roe non ha avuto effetto sulle decisioni della società mineraria che ha dichiarato di aver scelto la soluzione commercialmente più appetibile, ma il desiderio di evitare contenzioni con le popolazioni locali non può non aver giocato un ruolo nella decisione finale.
La guerra, tuttavia, non era destinata a finire cosí rapidamente. Nelle settimane scorse Barnett ha acquistato in via forzosa l’area della disputa e negli ultimi giorni ha cercato di convincere Woodside a costruire una base per le forniture dal valore di due miliardi di dollari australiani (pari a 1,35 miliardi di euro). Non riuscendo nel tentativo, ha proposto la costruzione di un hub di trasformazione per altri giacimenti di gas, minacciando, in caso di un secondo no, il ritiro dello Stato australiano dal progetto Browse, per il quale ha coperto tra il 5 e il 15% delle spese, 40 miliardi in totale (27 miliardi di euro).
In gioco ci sono due scuole di pensiero: quella della tribù aborigena, che si sente investita della missione di proteggere il patrimonio naturale e che vorrebbe far diventare l’area una destinazione turistica per amanti della natura e dell’archelogia (nell’area sono state scoperte impronte di dinosauri), e il Governo locale, appoggiato da altre tribù dell’area, che vorrebbe sfruttare le risorse naturali dell’area per innalzare il livello di vita degli aborigeni (stime parlano dell’erogazione alle comunità locali di 1,5 miliardi di dollari nei prossimi trent’anni, pari a un miliardo di euro, di cui 26 milioni di dollari già versati da Woodside). Kimberley, insomma, è a un crocevia tra il diventare o un magnete per l’ecoturismo o una nuova Pilbara, grazie alla concessione di licenze anche per le sabbie minerali e il carbone e all’apertura al fracking di shale gas. Roe permettendo.