Paolo Mastrolilli, La Stampa 26/11/2013, 26 novembre 2013
“SONO CAMBIATI GLI EQUILIBRI NELLA REGIONE A DAMASCO SI PUÒ FERMARE IL MASSACRO”
«Il Medio Oriente, inteso come la regione che va dal Libano al Pakistan, è arrivato ad una svolta storica. È in corso uno scontro tra Arabia Saudita e Iran, cioè tra sunniti e sciiti, che deciderà il futuro dell’intera area. Le alternative possibili sono due: la composizione tra queste due potenze come pilastri responsabili di un nuovo equilibrio, o la guerra diretta. L’accordo sul nucleare di Teheran, e ora la conferenza di pace sulla Siria a Ginevra, sono due passi iniziali verso la prima soluzione». Poche persone al mondo conoscono questa regione come Giandomenico Picco, e nessun diplomatico occidentale conosce meglio di lui Javad Zarif, il ministro degli Esteri iraniano diventato braccio operativo del nuovo corso a Teheran. «Insieme - dice l’ex assistente segretario generale dell’Onu - abbiamo salvato molte vite». Si riferisce ai primi Anni 90, quando proprio lui e Zarif, allora emergente funzionario trentenne della diplomazia iraniana, negoziarono il rilascio degli ostaggi occidentali presi da Hezbollah in Libano. Ma parla anche del periodo successivo, e forse della sua stessa vita, perché quando Picco venne catturato da Hezbollah, probabilmente si salvò proprio grazie all’intercessione dell’attuale ministro degli Esteri.
Come ha conosciuto Zarif?
«Nel 1984, quando era assistente dell’allora ministro Velayati. Io e lui eravamo gli operativi, quelli che dovevano far accadere le cose decise dai politici».
Tipo la liberazione degli ostaggi in Libano?
«Esatto. E non solo».
Che persona è?
«Una di quelle persone con una ricchezza interna, che consente loro di capire le storie degli altri. Fu questo che mi salvò, quando fui preso da Hezbollah».
Perché ora sta avvenendo questo dialogo tra Usa e Iran?
«L’architettura del Medio Oriente è ferma agli accordi Sykes-Picot, del 1916. I leader più coraggiosi hanno capito che non regge più e va cambiata».
E lo strumento non è la «primavera araba», ma la composizione dello scontro tra Arabia e Iran?
«Questo confronto è iniziato 35 anni fa. Il primo teatro fu l’Afghanistan, poi ci fu un evento poco conosciuto in Asia centrale, e ora la guerra in Siria. Dalla sua soluzione dipende il futuro dell’intera regione».
Il negoziato israelo-palestinese è passato in secondo piano?
«Se si risolverà lo scontro fra sunniti e sciiti, i Paesi vicini accetteranno e sosterranno qualunque intesa verrà raggiunta da israeliani e palestinesi».
Quali sono gli altri fronti aperti?
«Oltre alla Siria, dove l’attentato all’ambasciata iraniana di Beirut ha dimostrato il livello del confronto, ci sono Afghanistan e Pakistan, e la regione compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, cioè l’Iraq, da sempre terra di confine fra Arabia e Iran».
Come giudica l’accordo preliminare sul nucleare di Teheran?
«Un primo passo nella direzione giusta, frutto di un lungo lavoro sotterraneo. Ma chi lo giudica ora, in positivo o negativo, sbaglia: la sostanza è ancora tutta da costruire».
Alcuni analisti temono che l’Arabia si prepari alla guerra.
«Arabia e Iran vogliono evitare lo scontro diretto».
Il successo della conferenza di Ginevra sulla Siria dipende dall’abbandono di Assad da parte di Teheran?
«Quella guerra non finisce solo perché un’alleanza smette di esistere. Ci vuole un accordo complessivo tra le parti, e bisogna smettere di ragionare nell’antica ottica degli stati nazionali».
L’amministrazione Obama sta anticipando la trasformazione in corso, lavorando per la composizione tra Arabia e Iran, o sta distruggendo le sue alleanze?
«L’accordo di Ginevra è stato un primo passo costruttivo».
L’Italia può ancora giocare un ruolo in questa partita?
«Non lo so. Però bisogna tenere a mente una cosa: la soluzione dei conflitti oggi passa dai rapporti bilaterali. Questo è il terreno su cui, chi può, deve dare un contributo».