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 2013  novembre 26 Martedì calendario

POVERA POLIZIA – [NOI AGENTI COSTRETTI A PAGARCI LA BENZINA]


La bancarotta umana e finanziaria della Polizia di Stato è un Capo che alza le mani («Con 15 mila agenti in meno non garantiamo più», Alessandro Pansa). Ma è anche la voce di un uomo solo nel pomeriggio di Apocalisse della Sardegna. Quella dell’unico agente che la “pianta organica” prevedeva in servizio al centralino del 113 del commissariato di Olbia, mentre il cielo veniva giù e la terra sprofondava sott’acqua fino alla Gallura. Racconta uno dei suoi colleghi: «Ha lavorato su una sola linea fissa che continuava a collassare per il sovraccarico di chiamate in entrata. Finché non ha deciso che l’unico modo per non chiudere il numero di emergenza e intanto continuare a comunicare con il personale in strada era usare il suo cellulare privato. E siamo stati fortunati che quel giorno le quattro macchine che abbiamo erano tutte in condizione di essere in strada». In un Paese in caduta libera, le sue Forze dell’Ordine e il diritto alla sicurezza ne sono lo specchio. Né deve ingannare in queste ore il silenzio del comandante generale dell’Arma Leonardo Gallitelli che, pur godendo di una situazione di bilancio meno plumbea, negli ultimi 12 mesi, ha tagliato costi per 113 milioni di euro, privando il Corpo di 9.000 auto e mettendo in disarmo la metà delle imbarcazioni impegnate nella sorveglianza costiera.

La verità è che la solitudine dell’agente di Olbia equivale allo svuotamento dei commissariati di Roma, alla morìa di volanti a Milano, Napoli, Palermo. Agli agenti che mettono benzina nelle auto di servizio anticipando di tasca propria. A uffici denunce aperti a singhiozzo, con stampanti senza toner o carta per fotocopie riciclata perché già utilizzata su una facciata. O, ancora, alla media di chilometri percorsi dalle auto della Polizia di Stato in servizio a Caserta, terra di Camorra: 200 mila. Non c’è più parata, calendario, politica del sorriso e della “presenza tra la gente” che consenta di dissimulare la durezza dei numeri e le storie che raccontano. Due su tutti: in sette anni, i poliziotti in servizio (dal Capo all’ultimo dei piantoni) sono passati da 110 a 94 mila. La loro età media è arrivata a 46 anni. Mentre da quest’anno, anche l’Arma conoscerà il blocco significativo del turn-over con l’obbligo di arruolare non oltre il 20 cento dei militari messi in congedo.
Lo sbirro è diventato un mestiere per vecchi e di vecchi. E lo sarà sempre di più nei prossimi anni. Quale che sia il colore dell’uniforme che indossa. Blu o nera. Dal 2008, per ogni 3 mila agenti di polizia collocati ogni anno a riposo, ne sono stati arruolati una media appena superiore ai mille. I “nuovi” hanno tra i 25 e i 26 anni (dieci anni fa, ne avevano tra i 19 e i 20). E a 30, quando hanno raggiunto una prima anzianità di servizio, dovrebbero rimpiazzare colleghi con cui non condividono neppure un quinto della maturità professionale e che dunque continuano a essere spremuti come limoni. Un destino che ora conoscerà appunto anche l’Arma, dove peraltro il buco organico è già di circa 9 mila uomini.
Racconta un funzionario del Servizio volanti di Roma: «Se vuoi tenere in strada le già poche macchine a disposizione, ti devi arrangiare con quello che hai. Non esiste alternativa. E quello che hai, oggi, è un terzo abbondante, se non la metà, dei colleghi delle pattuglie che ha superato i 50 anni. A 50 anni, la strada ti ha già irrimediabilmente segnato. Nel corpo e nella testa. Quando alle 2 di notte devi decidere in una frazione di secondo cosa fare con chi hai davanti, la differenza tra avere 25 anni o 50, è quella da cui può dipendere la vita e la morte». Né la musica cambia se dalle volanti si guarda alla Celere.
Dice il comandante di un reparto mobile del Centro-nord: «Due anni fa, il capo della polizia Antonio Manganelli firmò una direttiva che fissava in 35 anni l’età massima per i colleghi già in servizio o da assegnare ai reparti di ordine pubblico. Ed era un’indicazione sacrosanta. Sei hai 40 o, peggio, 50 anni, e devi correre su un marciapiede con i 20 chili di attrezzatura che hai addosso, nella migliore delle ipotesi non riuscirai mai a prendere chi insegui. Nella peggiore, a cedere di schianto sono i muscoli o il cuore. È già successo e continua a succedere con sempre maggiore frequenza. E comunque, nonostante quella direttiva, io, nel mio reparto, ho colleghi la cui età media è di 43-44 anni. E i miei ultimi arrivi avevano tutti compiuto i 45». Manca sangue fresco ma, soprattutto, è plumbeo l’orizzonte dei “vecchi” perché sono esangui le pensioni. Quindi, in una logica capovolta, a fare domanda per i servizi di ordine pubblico sono tutti quelli cui mancano pochi anni per restituire basco, pistola e tesserino. Più straordinari, più indennità, dunque retribuzione e pensione più alte. Fino al paradosso di reparti mobili come quello di Taranto, la cui età media supera i 50 anni, e per questo battezzato “Geriatria”.
Con una coperta corta e lisa, i miracoli non sono di casa. Al punto da mettere alla prova anche la proverbiale compostezza militare dell’Arma («Basta all’ennesima grassazione perpetrata ai danni del personale in divisa - ha scritto in un comunicato del settembre scorso il Cocer dell’Arma - Basta con le elemosine, basta con l’una tantum su avanzamenti di grado e assegni di funzione. Questo governo provveda urgentemente a reperire i necessari fondi, facendo, magari, economia sui noti scandalosi sprechi e sulle vergognose prebende delle varie caste»).
L’arte è diventata quella dell’arrangiarsi, in un mix di commovente orgoglio e frustrante autocommiserazione. Per un album di famiglia che, in Polizia, racconta storie così: a Napoli, il questore per tenere aperti uffici investigativi e amministrativi ha dovuto arrangiarsi con tagli lineari sugli straordinari. Alla Stradale di Massa, chi non è in servizio esterno provvede con stracci e scopettoni alla pulizia della caserma. A Pontedera, quando manca uno degli uomini in organico nei diversi turni, il commissariato chiude, perché questo è l’unico modo per consentire che l’unica macchina in servizio possa continuare a circolare in strada. Nel basso Lazio, tra Anzio, Nettuno e Ardea, litorale ad alta densità mafiosa, una sola volante “copre” un territorio per il quale ne sarebbero necessarie almeno quattro.
Enzo Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di Polizia, dice: «La scelta che è stata fatta in questi anni è stata in qualche modo obbligata. Concentrare le poche risorse di uomini e mezzi nelle grandi aree metropolitane. Con una conseguenza, però. Nella grande periferia italiana si è nelle mani di Dio». E per giunta, senza che per questo città come Roma, Milano, Napoli, Palermo non abbiano pagato un prezzo.
A Roma, per dirne una, le volanti in servizio, tra Questura e commissariati, sono 60, una ogni 50 mila abitanti. Che diventano 30 a Milano, 24 a Palermo, 33 a Napoli. Sulla carta, di auto ce ne sarebbero di più. Ma o mancano gli uomini per farle circolare o sono macchine da rottamare. Spesso inutili persino da mandare nelle officine, per le quali o mancano i soldi o i tempi di riparazione sono biblici (da tre a sei mesi per un pezzo di ricambio). Accade così, sempre per restare a Roma, che su 103 auto del Reparto volanti, siano solo 27 quelle in grado di marciare. E per questo girino h24, come gli aerei. L’equipaggio che smonta il turno cede la macchina ancora in moto a chi prende servizio. Finché l’auto regge.
Ci si arrangia anche con le auto civetta che ormai, come a Caserta e Palermo, non vengono più acquistate ma sono solo quelle confiscate alle cosche o a chi viene ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza. Anche queste, marciano finché durano. Al primo cambio gomme, vengono accatastate in un deposito giudiziario. E dire che, ancora qualche anno fa, si raccontava del ritorno della Polizia di prossimità. Sostenuta dall’iconografia rassicurante e gentile del Poliziotto di quartiere, figura ormai dismessa o comunque specie rara, perché appendice di chi ha pagato il conto più salato della bancarotta della Polizia: i commissariati. Per citare il solo dato di Roma, i 3450 poliziotti in servizio nei quartieri hanno perso un terzo dell’organico negli ultimi cinque anni. Con effetti che il dirigente di uno dei più importanti commissariati della città racconta così: «Ho 60 uomini che devo far giostrare tra 4 turni, ferie e malattie incluse. E ho competenza su tutto. Denunce, indagini, intercettazioni telefoniche, rilascio passaporti, notifiche, sorveglianza di detenuti ai domiciliari, controllo del territorio, ordine pubblico. Ogni mattina devo decidere cosa non posso fare. O cos’è la cosa che posso fare peggio e con minore danno». Al commissariato di Spinaceto, periferia sud-ovest della città, hanno risolto a modo loro. Finite le macchine e con gli uomini contati, pedinano in scooter o sulle proprie automobili.