Filippo Facci, Libero 26/11/2013, 26 novembre 2013
PER GLI STESSI FATTI GIA’ ASSOLTO DUE VOLTE
È vero, Berlusconi è stato prosciolto a Roma per le stesse accuse che l’hanno inchiodato a Milano. Si potrebbe anche aggiungere, a esser pignoli, che è stato inchiodato a Milano per le stesse accuse che l’avevano prosciolto ancora a Milano: ma qui la questione si complica, anche se la morale resta che i gradi di giudizio viaggiano per conto proprio e che, soprattutto, nei palazzi di giustizia basta cambiare stanza e orientamento - e periodo storico, forse - per far rovesciare il destino. Ora, al di là di nuove carte provenienti dagli Usa, va detto che le passate sentenze di proscioglimento del filone Mediatrade sono state citate dalle difese per anni: nel luglio 2007 il gup romano Pier Luigi Balestrieri dichiarò in minor parte una prescrizione per fatti del 2003 e in prevalenza un’assoluzione per fatti del 2004, mettendo nero su bianco che l’ormai mitico Farouk «Frank» Agrama non era stato per niente socio occulto di Berlusconi; nell’ottobre 2011, pure, il gup milanese Maria Vicidomini assolse Berlusconi «per non avere commesso il fatto» e le accuse erano le stesse, solo che - nel rinviare a giudizio altri - fu messo nero su bianco che Berlusconi con certe operazioni non aveva nulla a che fare. Entrambe le sentenze sono state confermate in Cassazione: a Roma il ricorso della Procura è stato dichiarato inammissibile e a Milano è stato respinto.
E allora come hanno potuto, i giudici che hanno inchiodato Berlusconi l’estate scorsa, rovesciare il tavolo? Si può, cioè, processare due volte un cittadino per gli stessi reati? Verrebbe da rispondere che sì, in Italia è possibile, ma la versione ufficiale, semplificata, è che i giudici milanesi hanno approfondito maggiormente il caso in un procedimento unico, esteso a un periodo più lungo, inoltre hanno trovato prove - a loro giudizio, naturalmente - che hanno sancito la colpevolezza definitiva: in pratica hanno fatto un riassunto arricchito e l’hanno rititolato. Il precedente del proscioglimento a Roma, del resto, era già stato affrontato dal giudici d’Appello milanesi pur in giuridichese stretto: «Tali decisioni (i precedenti proscioglimenti, ndr) non esimono questa corte dalla puntuale verifica del quadro probatorio offerto e discusso dal Tribunale, con la sentenza oggetto del presente gravame, e all’esito della quale dovranno essere prese le conclusioni che tale materiale imporrà, senza pedissequamente seguire gli altri accertamenti giudiziali, che, è dato pacifico posto che altrimenti vi sarebbe decisione di proscioglimento per il divieto di giudicare due volte la medesima condotta, riguardano condotte ulteriori, che attengono a un diverso periodo di tempo, e che sono fondate su un substrato probatorio che nulla prova essere identico». Ecco. Chiaro. Insomma, gli altri giudici non avevano capito bene: «Non risulta che le pronunce abbiamo posto un’analisi più complessiva della vicenda così articolata come quella proposta dal Tribunale, solo all’esito della quale si può affermare di essere, compiutamente, riusciti a comprendere i reali contenuti dell’intera vicenda e a comprendere, adeguatamente, le ragioni». Dopodiché gli stessi giudici, per ridimensionare le sentenze precedenti - questo sempre nella sentenza d’Appello, praticamente ricalcata in Cassazione - ne hanno citate delle altre: una del 2008, dopo un ricorso di Agrama, e poi le varie sentenze Mills, tirando in ballo anche le tangenti Gdf, altre di Craxi e materiale vario condensato in una sentenza sola, quella finale.
In assenza di prove regine, o semplicemente di prove, i giudici milanesi hanno sommato centinaia di indizi - reperiti in innumerevoli procedimenti per quasi vent’anni - e li hanno trasformati in prove più o meno logiche. E la differenza tra un’opinione e un fatto provato è tutta nell’interpretazione di legge, o meglio, per dirla con Dante, in «chi pon mano a esse».