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 2013  novembre 26 Martedì calendario

BERNOCCOLI, GUANTI E MATTONI: ROMA SGONFIA LA BICI DI MARINO


Ho un bernoccolo in testa”. E ha quasi sorriso. Questa forma espressiva conduce Ignazio Marino a resistere ai più feroci trattamenti che Roma, la città di cui è sindaco, gli sta riservando. La gomitata che il consigliere comunale dei Fratelli d’Italia ha sganciato (senza alcuna intenzionalità, come ha poi chiarito) nell’aula Giulio Cesare sul tetto della città, nella fattispecie la testa di Ignazio, è il segno che la Capitale promuove nella continuità il libero confronto delle idee. Se si parla di soldi, palazzi e poltrone si tratta con i guantoni. È successo con Alemanno e prima con Veltroni e ancor prima con Rutelli, e con ogni risma di giunta capitolina, ogni fascia tricolore. Loro, più navigati, hanno schivato, lui da inesperto ciclista della politica s’è trovato il bernoccolo alla prima conta del potere. Più di 850 milioni di euro di debiti, soldi già spesi da chi c’era e che lui si trova a rendicontare. Non aveva compreso, o ha capito male, oppure ha capito tardi che Roma è la capitale dell’ostruzione, in senso proprio e metaforico. Gli sono cascati addosso solo dal gruppo capitanato da Alfio Marchini, costruttore di famiglia di antico lignaggio e di vaste relazioni, 150 mila emendamenti, un mare in cui annegare tutti.
A ROMA l’ostruzionismo non è solo consentito dai regolamenti comunali, ma favorito, incoraggiato, sostenuto. E allora Marino, sorridendo, ha riunito la giunta e ha detto: “Bisogna cambiare passo”. E si è diretto, nella coerenza della sua proiezione visiva, (perciò disteso, ben rasato, col nodo della cravatta perfetto), a salutare la Nuvola di Fuksas, qui siamo all’architettura concettuale, che Roma inaugura ogni anno, nell’attesa che si completi. I lavori singhiozzano e giustamente si sincronizzano con l’indole cittadina al dubbio permanente, all’incompiutezza come segno dell’imperfezione umana. È una sorta di allineamento astrale, una condizione necessaria, A Roma ogni prova da completare è una fatica primordiale, ogni consegna dei lavori una ipotesi allo studio, ogni promessa un debito incagliato. Marino col bisturi in mano aveva promesso che no, lui avrebbe inciso e si sarebbe voltato pagina. “Mi sento un marziano. Una definizione che mi si addice”, aveva chiarito agli infedeli perchè fosse chiaro progetto e proposito. Invece, e purtroppo, ogni giorno un guaio. Ha pensato di chiudere i Fori Imperiali, e i commercianti riuniti tra via Labicana e via Merulana, le strade angolari al-l’area interessata alla chiusura, hanno inscenato drammatici sit-in con cartelli apocalittici: “Non vogliamo morire tra i veleni”. Non è stato conveniente cambiare le abitudini e i sensi di marcia. E Ignazio l’ha capito dopo, sempre dopo. Infatti alle proteste è seguito un micro piano di adeguamento della viabilità cittadina. E sempre biciclettando Marino è incappato nei tunnel delle varianti della Metro C, il più grande cantiere italiano, e anche il più buio, il più denso di inghippi e di inguacchi. Il luogo di coagulo del potere eletto della città: le imprese edili, i grandi palazzinari. Senza garbo, o forse senza misura, o anche, e soprattutto, senza ponderazione, la giunta del chirurgo ha preteso di rivedere ogni virgola del progetto e ogni centesimo del suo costo, che era intanto lievitato di alcune centinaia di milioni di euro. Risultato: l’associazione degli appaltatori ha bloccato i lavori, gli operai hanno bloccato la città. E un fiume di inchiostro ha colorato la faccia del sindaco per merito anzitutto del Messaggero, il giornale storico della Capitale, guarda caso di proprietà di Caltagirone, il dominus delle opere, pubbliche e private. Risultato? La Giunta ha corretto gli intendimenti, le varianti sono state accolte, i soldi in qualche modo sganciati. Marino ha capito dopo, tardi e male. E, sorridendo, ha ricevuto l’ingegner Caltagirone nel suo studio. Pace fatta. Ci mette tutto l’impegno che può. Arriva ogni mattina prima delle otto al Campidoglio e indossa i guanti da chirurgo. É così pignolo che non dosa la fatica: con la stessa determinazione duetta su un avverbio, i suoi assistenti hanno dovuto provare lo stupore di vederlo all’opera con la correzione di un comunicato stampa, e sul piano regolatore. “Alla fine della giornata sei stanco morto ma non hai prodotto niente”, confessa uno di loro. “Ignazio è scrupolosissimo, si documenta su tutto. Ma per me la sua destinazione più giusta era il ministero della Salute. Lì sarebbe stato un campione”, dice Felice Casson, suo amico e collega di banco senatoriale. “Che sia onesto non lo discuto, ma che sia ambizioso oltre forse ogni misura è una percezione che si fa più forte ogni giorno che passa”, garantisce Alemanno. É un po’ Forrest Gump e un po’ carogna? “Più carogna che altro”. Questo è il resoconto di un vigile urbano che ciondola nella sala Giulio Cesare. Anche coi pizzardoni, gli storici e dibattuti vigili urbani di Roma che il sindaco vorrebbe rimandare in strada a conquistare la gloria, la questione si è fatta complicata e a tratti così buffa da apparire una piece teatrale.
L’AMORE di Marino verso i curricula, la sua fede incrollabile nel merito (cosa in sé straordinaria se riferita al corso delle nomine italiane) è stata tale che un impappinamento generale ha condotto lo staff a promuovere al comando dei vigili un carabiniere che, in base ai suoi titoli, non aveva i meriti pretesi. E dunque: annuncio, proteste, scuse. Marino, sorridendo, si è ricreduto. É stato scelto un poliziotto e speriamo che se la cavi. Qui dunque la domanda da girare al Pd, il partito che l’ha candidato e poi – vedendolo all’opera – se ne è pentito : è davvero un Forrest Gump o un simulatore professionista? Sorride per inconcludenza o per strategia? Francesco D’Ausilio, quarantenne capogruppo al Comune: “È un uomo che ha rotto l’equilibrio e il patto tra generone e popolo che i suoi predecessori avevano costruito. Per governare Roma devi però trovare una relazione con la città e anche con chi la rappresenta. Io dico sempre ad Ignazio: il potere ce l’hai, adesso trova una grande idea sulla quale organizzare il consenso”.