Antonello Caporale, Il Fatto Quotidiano 24/11/2013, 24 novembre 2013
MANETTE E GUAI C’ERA UNA VOLTA LA VERDE
VERONA –
Finalmente è derby. Anche Verona, la più piccola delle grandi città (o la più grande delle piccole) ha il suo fantastico derby di calcio: Hellas contro Chievo. Scende in campo il ceto dirigente e dominante contro la periferia, la storia contro la cronaca, i vip contro i nuovi arrivati. L’Hellas è Verona, e quest’anno fa sognare, il Chievo -sempre nelle retrovie della classifica del campionato di Serie A- rappresenta una sua porzione minuscola, un’appendice, una escrescenza della città nel pallone. Il sindaco è un ultras e naturalmente sta di qua. E col granduca Flavio Tosi, nella curva degli innamorati pazzi, anche le aziende municipalizzate che sono vagoni merci, lunghe filiere di benessere familiare e clientela politica. L’azienda del gas che nella convenzione cittadina è naturalmente l’azienda del sindaco, sponsorizza l’Hellas: 350mila euro il primo anno con opzione per il secondo. “Aderisci all’offerta di Agsm che ti fa risparmiare e ricevi subito la maglietta originale del Verona”, così il primo entusiastico volantino. Con l’aggiunta di una particolare offerta municipale agli abbonati di Verona e “solamente” a loro: sconto del 5,5 per cento sull’energia elettrica e di un centesimo per ogni metro cubo di gas consumato.
Crisi di un sistema: da ordine e investimenti alle indagini
Eccoci dunque giunti, allenati e in perfetta forma, al cuore del sistema Tosi, la (ex?) voce del Nord Est, un gran conservatore che si è trasformato in un leghista progressista quando la Lega era il ruggito della Padania, la sua pancia viva, stomaco e pelle di una generazione di commercianti e operai, di cittadini qualunque e borghesi benestanti che non sopportavano più l’Italia e ogni sua forma organizzata. Tosi era la versione efficiente, pragmatica, con modi così naif da apparire sinceri e convenienti, e un fare contadino senza lo strazio dei rutti verbali bossiani. Contro gli immigrati le panchine con la sbarra anti sonno, contro le puttane ronde vigili, contro gli sporcaccioni (e qua siamo a ogni segno dell’umanità dolente) multe salate. Ordine, sicurezza, pulizia, decoro. Poi lavoro per gli operai e tanti schèi per le imprese. Rielezione assicurata. La rendita poltica di questa tecnica di costruzione del consenso (a volte in verità anche meritato) adesso è agli sgoccioli. Tosi appare una luna calante, cavallo azzoppato per la coniugazione di una serie di incidenti domestici, con una consecutio temporum giudiziaria delle ultime settimane che annuncia bufera nei prossimi mesi. Le aziende partecipate tutte inquisite per l’attitudine a cooptare parenti, oppure compagni di partito. Arresti, in numero sufficiente a destare scalpore (otto) nell’agenzia che somministra il cibo agli scolaretti. Il topos, la scuola, l’età delle vittime, bambini innocenti, hanno coniugato l’idea che il peggio della malapolitica si fosse trasferito a Verona tutto d’un tratto. E d’improvviso, come le burrasche di questo novembre, è iniziato a grandinare anche sulla testa del nostro granduca. Di una settimana fa un’altra bella tegola: le dimissioni dell’attuale vicesindaco, Vito Giacino, delfino designato alla guida della città quando Flavio si sfilerà la fascia tricolore, anche qui causate da inchiesta della Procura, sulle amicizie e presunte riverenze di una grande impresa edile, la Soveco spa, che nel suo portafogli clienti ha la città di Verona ai primi posti. Siamo nel campo delle ristrutturazioni edilizie. E non c’è nulla di più pernicioso per un politico che lasciarsi trascinare dalla consorte nella cura della casa. Il vice si è dimesso, e a Tosi non è rimasto altro da fare che, oltre la solidarietà fino a verdetto definitivo dell’indagato per corruzione, sparare una raffica di querele (una pare anche contro Il Fatto Quotidiano), nella convinzione che il fuoco come metodo di dissuasione sia elemento pertinente, cautela efficace nella gestione del comando. “L’ufficio del sindaco sembra un fortino dell’avvocatura. Basta un alito di troppo e lui querela. Il clima è insopportabile e così il giornalismo d’inchiesta e di denucia va a farsi friggere”. All’Arena, il giornale della città, la scrittura è sorvegliata e anche le virgole devono essere messe al posto giusto. Nella società editrice gli industriali Vicenza e di Verona richiedono una prudenza notarile e la permanente riflessione sulle complicanze della vita: scrivo e poi che mi succede? Verona tiene alla sua faccia, e Tosi massimamente alla propria. “Un promoter di se stesso, un gran cultore di se medesimo, un democristiano travestito da leghista, un conservatore col turbante dell’innovatore. Tosi è la quintessenza di Verona: vizi privati e pubbliche virtù”. Così Sergio Noto, docente di storia economica, agguerrito contestatore della mistica del buongoverno. L’apparente che si fa reale, il fumo che si trasforma in arrosto, il lupo che si traveste da agnello.
In effetti Tosi tiene così vivamente al suo buon nome che al proprio portavoce, di cui tutti segnalano mostruose capacità propagandistiche, il municipio assegna un’indennità da spin doctor di un leader internazionale. Roberto Bolis, trevigiano, corrispondente dell’Unità nei decenni scorsi, poi traghettato in Regione e infine al Comune, guadagna 152mila euro annui. In raffronto alla dimensione della città (256mila abitanti) e agli emolumenti dello staff del sindaco (tutti inchiodati a 27mila) si conferma un gigante della cassa pubblica. Interpellato, Bolis risponde: “Faccio il mio lavoro e penso di farlo bene. Tosi è una figura che ha segnato il panorama italiano e quello della Lega, anche se oggi si trova a fare i conti col nuovo mondo e non è facile prendere le misure”. Della Lega il nostro Flavio non ha più fiducia, e per la verità sua moglie, Stefania Villanova, gliel’ha sempre detto. “Non gli darei il mio voto”. No a lui, lui proprio.
Nomine a pioggia, truppe cammellate
La moglie, berlusconiana con strizzate simpatie alfaniane, ha parlato chiaro al marito e da tempo. Hanno scritto che sembra Paris Hilton ma veste come Lady Gaga. Può darsi di sì a osservare dalla mise e soprattutto dai trampoli galattici con cui si sposta da un luogo all’altro dell’ufficio. Quale ufficio e quale edificio? La signora Tosi è stata promossa, poco dopo che il marito lasciasse l’assessorato alla sanità del Veneto, a dirigente del settore sanità. Sembra senza concorso, ma con stipendio triplicato: da 25mila lordi a 70mila. E’ un caso. E se oggi a Tosi la sua Lega pare come quelle stoffe sdrucite, corpo senza anima, simbolo senza voti, negli anni belli però ha potuto contare su tanti bravi padani che hanno dato l’anima per la città di Giulietta e Romeo. Un leghista, sindaco di Sommacampagna, è stato presidente dell’azienda dei trasporti (poi un’inchiesta ne ha oscurato profilo e pregio amministrativo), un leghista ex assessore al Commercio della città è sovrintendente dell’Arena, all’Atm la sorella di un assessore regionale, all’azienda della nettezza urbana la moglie di un altro assessore, e poi la figlia di un ex segretario leghista, e poi il fratello di un vicesindaco. Certo, tutta gente assai in gamba, leghista d’elezione e non di necessità. Altrove Tosi come avrebbe etichettato queste assunzioni? Cosa avrebbe detto? Clientele, familismo amorale (sempre che tra le sue letture preferite ci sia stato Banfield)?
Ma ora il punto è un altro. Questo granduca che fine farà? La sua carriera, che a Verona sta per spegnersi, troverà un punto d’appiglio, un gancio al quale appendere la giacca? Come tutti, quando non sanno che pesci prendere, Tosi ha creato intanto una sua Fondazione “Ricostruiamo il Paese” che è a metà tra una lobby territoriale e una lista di partito. Dovrebbe condurlo alla gara, se e quando si farà, per la leadership del centrodestra. Nel suo fare democristiano ha sbandato all’avvio e, come un Mastella qualsiasi, ha condotto in tour lo scorso 6 ottobre al Palabam di Mantova, la sede prescelta per l’avvio della campagna presidenziale, truppe cammellate che un resoconto da foglio balilla del periodico Verona Sette illustra meticolosamente. Migliaia di persone e una interminabile fila di bus provenienti da ogni regione d’Italia. Non solo Veneto e Lombardia, ma anche “Puglia e Sardegna”. Verona, poi… “Verona ha sostenuto il proprio sindaco partecipando alla manifestazione con funzionari e dirigenti”. Tutto il municipio a fare clap clap. Evviva!
Si dice che il Veneto si fermi a Vicenza, e che Verona abbia un po’ di sangue lombardo, un poco emiliano, e anche austriaco. Crocevia, punto d’incontro, centro di raccolta e smistamento delle grandi culture che la fanno una delle più belle città d’arte (la quarta per numero di visitatori). Ci sono stati i romani, i longobardi, poi naturalmente gli scaligeri e Verona è stata della Serenissima. Ma anche l’orgoglio della repubblica di Salò. I veronesi, convintamente fascisti, hanno processato Ciano il traditore. Nera fino alla commozione, lungo l’Adige sono transitati negli anni fior di dirigenti dell’estremismo di destra. Città militare, con una dozzina di caserme in attesa di essere trasformate in altro e luogo in cui la Chiesa si struttura in possenti colonne di fede: ciellini, neocatecumenali, poi focolarini e una squadriglia di tradizione lefebriana, con un gruppo, che si chiama Padania cristiana, di notevole approccio identitario. Malgrado la Chiesa e per colpa dei mililtari la città è stata una meta eletta delle prostitute. Essendo ipocrita, virtuosa in pubblico fino al midollo e viziosa in privato fin nelle tasche, ogni forma di disordine morale ed etico è negato, taciuto o al massimo propalato attraverso letterine anonime. Anche Verona ha infatti il suo corvo, e trattasi di corvo bene informato che ha distillato in una lunga testimonianza d’accusa mezzo chilo di pasticci, cointeressenze, fenomeni corruttivi e anche piaceri della carne non convenzionali. Uno stordimento generale ha accolto l’uccellaccio nero nascondendolo in cantina.
“La città è perbenista e trova modo di occultare i suoi vizi, su questo non c’è discussione. Ma bisogna dire che proprio qui risiede una struttura come la mia che dà assistenza sanitaria agli immigrati. In qualche modo gli utlimi godono di importanti servizi sociali che altrove non esistono”. E’ la voce di Carlo Melegari, un sociologo che ha costruito il più avanzato centro di analisi dei flussi migratori insieme a strutture di servizio, come appunto quella sanitaria, frutto della dedizione di una cinquantina tra medici e infermieri.
Effetto recessione: “I soldi non sono quelli di una volta”
Verona è così. Diritto e rovescio. Ricca, anzitutto. Qui le industrie alimentari e dolciarie (Melegatti, Rana, Paluani, Bauli), qui il polo della termomeccanica con Riello e Ferroli. Marchi di prestigio, firme di antico lignaggio imprenditoriale. I soldi ci sono e tanti, due grandi banche, la Popolare e la Cariverona, confluita poi nell’Unicredit, la Cattolica Assicurazioni, strutturano un polo finanziario di prima grandezza con la Fondazione Cariverona che da sola ha sganciato negli anni circa 250 milioni di euro costruendo questo (l’ospedale) e progettando quello (l’auditorium), e fornendo a Tosi e al suo sistema una forza enorme. Poi la crisi. “I soldi ci sono ma non più come una volta. E si vede. La gente ora guarda a ciò che spende, si interroga sul centesimo, va al supermercato e mira agli sconti. In banca hanno ancora riserve, ma il mercato non è più quello di prima e si vede. Verona come le altre città si è tuffata nei derivati, prodotti finanziari che l’hanno massacrata e Tosi ha fatto finta di non accorgersene. Dal 2009 si sapeva tutto e oltre 15 milioni di euro sono andati in fumo anche perché non si è voluto vedere, quando invece la realtà non dava adito ad alcun dubbio”, dice Nicola Benini, consulente finanziario. I soldi ora mancano? “Io penso che ce ne siano ancora tanti e se la vogliamo dir tutta a Verona forse soggiornano (o godono di buona fama) straordinari campioni dell’evasione e dell’elusione fiscale”, annota Melegari. In effetti va segnalata, giacché si tratta di esempio inarrivabile di furberia italica con elementi di spiccato paraculismo, la storia di Giovanni Montresor, Lolo per gli amici, fortunato imprenditore veronese. Ha avuto il fegato, con un patrimonio che i giornali locali definiscono non inferiore a trecento milioni di euro, di certificare nelle ultime tre dichiarazioni dei redditi un reddito annuo, di media, di 4 euro. Dunque picchi di sette euro negli anni belli dell’economia padana e tonfi da due euro nella stagione buia contemporanea. Ad ogni modo il tribunale scaligero ha disposto il sequestro di nove società, terreni per oltre due milioni di metri quadri, 18 unità immobiliari e sette autoveicoli.