Anna Meldolesi, La Lettura, Corriere della Sera 24/11/2013, 24 novembre 2013
TRADIRE CONVIENE AL TRADITORE MA COLLABORARE CONVIENE A TUTTI
Due traghetti stanno evacuando Gotham City. Il primo trasporta detenuti, il secondo comuni cittadini. Ogni equipaggio scopre di avere un detonatore per far esplodere l’altra barca. Il perfido Joker detta le regole. Numero uno: i passeggeri dell’imbarcazione che per prima deciderà di premere il pulsante condanneranno gli altri alla morte, ma avranno salva la vita. Numero due: se entro mezzanotte nessuno si sarà deciso, salteranno tutti in aria. Le cose sono complicate dal fatto che tra i civili c’è chi non ha scrupoli, mentre tra i galeotti (e sulla imbarcazione ci sono anche secondini e poliziotti) c’è chi ha dubbi sul da farsi.
La scena è tratta da Il cavaliere oscuro, penultimo episodio della saga di Batman. I cinefili ricordano questo film soprattutto per la tragica morte dell’attore che interpretava Joker. I nerd per la trasposizione cinematografica di un grande classico della teoria dei giochi: il dilemma del prigioniero. Nella versione di base ogni giocatore è costretto a compiere una difficile scelta, senza sapere cosa farà l’altro. Nel migliore dei mondi possibili i due si fidano abbastanza per collaborare (nel film questo equivale a non premere il pulsante, sperando nell’arrivo di Batman). Ma la voglia di cooperare deve fare i conti con la paura di essere traditi: la barca con i passeggeri buoni potrebbe essere distrutta da quella dei passeggeri egoisti. Se l’egoismo prevale, ci perdono tutti. Se prevale l’altruismo, ci guadagnano tutti (non nei piani di Joker...).
Il fascino della teoria dei giochi è che cerca di spiegare come dovrebbero comportarsi dei soggetti razionali per fare il proprio interesse nella variegata casistica delle interazioni umane, dalle simulazioni di guerra alle trattative commerciali. Per questo la branca di studi fondata da John von Neumann e sviluppata da John Nash appassiona psicologi, economisti e studiosi di scienze politiche oltre ai matematici. Il dilemma del prigioniero, in particolare, ha sessant’anni di vita, ma continua a occupare le pagine delle riviste scientifiche. Può sembrare assurdo, ma solo recentemente qualcuno ha pensato di studiare le strategie di gioco dei carcerati (i veri prigionieri). Ecco le regole usate: scegliendo entrambi di collaborare i giocatori ottengono 7 punti ciascuno, chi tradisce un avversario collaborativo prende 9 punti, chi collabora mentre l’altro tradisce si ferma a 1, se entrambi tradiscono hanno 3 punti a testa. La logica suggerisce il ragionamento seguente: «Se il mio avversario sceglie di collaborare mi conviene tradirlo. Se mi tradisce, mi conviene tradirlo lo stesso». Le detenute arruolate per lo studio pubblicato sul «Journal of Economic Behavior & Organization» in agosto, però, hanno sorpreso tutti scegliendo di collaborare nella maggioranza dei casi e più spesso delle studentesse che sono servite da paragone. L’esiguità del campione non consente facili generalizzazioni, ma la tentazione c’è. Forse in carcere i tradimenti vengono puniti più duramente che in un campus universitario.
Lo schema ricalca quello degli interrogatori. Due sospettati vengono portati in stanze separate e il poliziotto li incalza: «Se parli per primo avrai uno sconto di pena. Il tuo complice sta già crollando». Che fare? Soluzione: se uno dei due confessa evita il peggio e mette nei guai l’altro. Se tutti e due confessano finiscono in carcere entrambi. Se nessuno dei due confessa, possono sperare di farla franca.
Quando nel 1950 Merril Flood e Melvin Dresher della Rand Corporation hanno inventato il gioco, osservando molti match in rapida successione, c’è stata mutua cooperazione sessanta volte su cento. Negli anni Ottanta Robert Axelrod, dell’università del Michigan, ha sostituito le persone con dei programmi per computer, svelando l’efficacia della strategia del colpo su colpo.
Consiste nel cooperare alla prima mano e poi proseguire copiando sempre l’ultima mossa dell’avversario. Se lui collabora, troverà collaborazione. Se tradisce sarà ripagato con la stessa moneta. La morale è: mai tradire per primi, vendicarsi sempre, non prolungare la rappresaglia oltre il dovuto. Non sembra la strategia ottimale ma funziona bene: è «matemagica».
Un’altra sorpresa è arrivata da William Press, dell’Università del Texas, che stava macinando il dilemma del prigioniero al computer quando ha iniziato ad andare in crash. Ha scoperto così che una delle premesse generalmente accettate era sbagliata e, con l’aiuto del poliedrico Freeman Dyson, nel 2012 ha pubblicato su «Pnas» le equazioni per una nuova classe di strategie.
Con la strategia del ricattatore la simmetria di gioco si rompe e il dilemma si trasforma in un ultimatum. In sostanza il ricattato deve accontentarsi di poco o perdere tutto pur di punire il prepotente avversario. Se l’emozione non prende il sopravvento sulla razionalità, «l’intelligenza e l’ingiustizia trionfano» ha commentato William Poundstone, autore del libro Prisoner’s Dilemma. Il messaggio consegnato da Press è meno nero: «Fidati, ma verifica sempre». Ovvero, se ti accorgi che il tuo avversario gioca pesante fallo anche tu. Se entrambi i soggetti usano una strategia estorsiva, possono arrivare a un compromesso in cui ciascuno assesta il punteggio finale dell’altro su una quota cooperativa. La diplomazia può vincere sul conflitto. Vi ricordate la guerra fredda?
Se il gioco si sposta nel campo della biologia evoluzionistica, infine, i prepotenti possono diventare vittime del loro successo. La vittoria infatti consiste nel vedere le proprie caratteristiche diffondersi nella popolazione, con il risultato che i ricattatori si troveranno a competere con altri ricattatori. Paradossalmente può affermarsi anche una strategia generosa, che consiste nell’accettare meno di quel che ci spetta. Commentando la variante darwiniana del dilemma sul numero di «American Scientist» di novembre, Brian Hayes ricava l’ultimo insegnamento: «La misericordia è più grande della giustizia». Le persone però non sono algoritmi, forse è meglio non farsi illusioni.
Prendiamo il caso esaminato sull’«International Journal of Astrobiology». Il dilemma del prigioniero viene usato per stabilire se a noi terrestri convenga cercare attivamente gli alieni, correndo il rischio che si rivelino ostili, oppure aspettare che siano loro a trovarci. Voi che fareste?
@annameldolesi