Ilaria Vesentini, Il Sole 24 Ore 24/11/2013, 24 novembre 2013
LE SCARPE VANNO SEMPRE PIÙ ALL’ESTERO
Quante Bottega Veneta ci sono in Italia capaci di passare da una trentina di milioni di fatturato a un miliardo senza perderne la proprietà? E quando capiremo che non possiamo farci scippare un made in Italy vincente sui mercati globali da francesi e asiatici? Sono le due domande con cui il presidente di Assocalzaturifici, Cleto Sagripanti, chiude la mattinata di lavori al Teatro dell’Aquila di Fermo dove ha riunito i colleghi di tutta Italia per affrontare il tema "Produrre calzature. Produrre valore. L’unicità del made in Italy".
Due domande che tirano le somme di una un’industria calzaturiera che continua a perdere pezzi importanti di aziende e competenze, ma non smette neppure di correre sui mercati internazionali e di attirare investitori stranieri. «Un made in Italy senza Italy» – lo definisce il presidente di Confindustria Fermo, Andrea Santori – che deve ritrovare al suo interno, e in fretta, la strada per salvare produzione e filiere locali.
«Non dobbiamo avere paura di crescere e quella del made in Italy non è una battaglia retorica – sottolinea Sagripanti di fronte alla cifra di 9,2 miliardi di fatturato di scarpe italiane oggi in mano a gruppi stranieri, presentata prima del suo intervento da Carlo Pambianco – ma è la via per salvare lavoro e innovazione anche di chi non produce più direttamente qui. Dobbiamo fare sistema con il resto del mondo della moda, dobbiamo salvaguardare l’unica filiera calzaturiera completa che il Fermano ancora possiede, dobbiamo fare rete con le banche, con il mondo della formazione, con l’Ita (ex Ice, ndr), con le ambasciate. Noi calzaturieri non abbiamo perso né l’energia né il sorriso né la passione, ma dobbiamo crescere».
I numeri congiunturali parlano di crisi senza tregua e la ricerca Pambianco di un sistema calzaturiero che deve ancora imparare che internazionalizzazione fa rima con capitalizzazione, che sia patrimonio proprio o di terzi, l’ingresso del private equity, il frutto di aggregazioni o di quotazione. Intanto nei primi nove mesi del 2013 non si è arrestata l’emorragia di calzaturifici (142 aziende chiuse, il -2,7%, restano 5.214 attività) e di addetti (1.455 posti di lavoro persi, il -1,8% a 77.799 occupati), con la cassa integrazione salita in media del 2,7% mentre nel resto del manifatturiero è scesa (e le ore sono il 140% in più di cinque anni fa). Da inizio anno a fine agosto la domanda interna è calata di un ulteriore 6,8% in valore, la produzione è stabile e l’unico segno davvero positivo, il +4,9% di export (4,9 miliardi nei primi sette mesi) nasconde un’eccessiva polarizzazione in Europa (oltre il 60% dei flussi oltreconfine) e una perdita di volumi del 7,5% rispetto al dato pre-crisi, compensata sì da un aumento del 21% del prezzo medio della scarpa made in Italy, ma che significa anche meno lavoro diretto e indiretto sul nostro territorio.