Teodoro Chiarelli, La Stampa 24/11/2013, 24 novembre 2013
“I BUS RESTANO PUBBLICI” VIA I BLOCCHI DEI TRANVIERI
E il quinto giorno arrivò l’accordo. Fra non poche polemiche, è vero, ma pur sempre un accordo che pone fine a 120 ore ininterrotte di sciopero selvaggio degli autobus a Genova. Alle 15,30 il primo mezzo, il «740» in servizio sulle alture della Valbisagno, riprende a circolare. Finisce un incubo.
«U purpu u l’e cottu». «Il polpo è cotto». Alle 2,30 di notte i sindacati, il sindaco Marco Doria e il presidente della Regione Claudio Burlando siglano la bozza del sospirato accordo. Burlando, velocissimo, prova subito a metterci il cappello sopra e fa l’annuncio in un «tweet» che rievoca una famosa battuta di Paride Batini, leader storico dei camalli della Culmv, al termine dello sciopero in porto del 1989. Bisognerà però attendere il primo pomeriggio e il termine di un’assemblea infuocata degli autisti proprio nei locali dei portuali per porre fine all’agitazione.
Nell’intesa si ribadisce, prima di tutto, che, in vista della gara regionale per il trasporto pubblico locale che riorganizzerà il settore a partire dal 2015, Amt rimarrà una società pubblica. Burlando si è impegnato a trovare 25 milioni dai fondi europei per il rinnovo del parco mezzi, oltre a investimenti, sempre con fondi Ue, per 200 nuovi bus a Genova in 4 anni.
Nel frattempo, per il prossimo anno, si sono trovate le risorse necessarie a coprire il previsto disavanzo di 8,3 milioni. Il Comune metterà 4,3 milioni pescando nelle pieghe del bilancio 2014 («È un impegno politico», dice Doria). I rimanenti 4 milioni saranno ottenuti attraverso un nuovo subappalto esterno del servizio per le linee collinari (2 milioni), da risparmi, da assorbimento degli straordinari, dall’aumento dei controlli contro i «portoghesi» a bordo dei bus. Soprattutto, come chiedevano i manifestanti, nessun taglio agli stipendi e alle condizioni di lavoro degli autisti. Semmai una (ennesima) sforbiciata al servizio di trasporto a discapito dei cittadini. Nessun provvedimento disciplinare sarà adottato verso gli scioperanti. Però riceveranno le multe (fra 500 e mille euro per ogni giorno di sciopero) per non aver risposto alla precettazione del prefetto.
Poiché il servizio pubblico lavora notoriamente in perdita e il prezzo dei biglietti copre solo una parte dei costi, il paradosso è che, «grazie» ai cinque giorni di stop, l’Amt si ritroverà sul conto economico (fra mancate retribuzioni agli scioperanti e mancati consumi di carburante) oltre un milione di euro in più.
«Un accordo buono e positivo, l’unico possibile», chiosa Burlando. «Era doveroso cercare un punto di equilibrio. È un accordo che poteva essere raggiunto senza un giorno di sciopero», gli fa eco Doria. Poi, però, non spiega come mai solo dopo cinque giorni di città nel caos, paralizzata dai manifestanti, il management di Amt sia stato in grado di tirare fuori un piano per tagliare 4 milioni di costi. Se sono tagli «veri», perché non sono stati messi subito sul tavolo della trattativa? Il vertice dell’azienda riscuote la fiducia del sindaco? Domande a cui Doria evita di rispondere.
«È un’intesa assolutamente soddisfacente», commenta al termine di cinque ore di assemblea in cui non sono mancati momenti di tensione con l’ala degli irriducibili, il «lider maximo» della protesta: Andrea Gatto, 59 anni, dipendente Amt e tra i fondatori del sindacato autonomo Faisa (il più rappresentativo della categoria) di cui ora è segretario nazionale. Il voto (favorevoli e contrari vengono divisi in due zone del salone e poi contati) finisce 60% ai sì e 40% ai no. Le contestazioni, però, sono tante.
Fra i duemila in assemblea si vivono momenti di tensione e si sfiora più volte la rissa. E comunque si farà un referendum fra tutti i dipendenti. Arriva la notizia di una busta con un proiettile e un messaggio di minacce indirizzata al presidente di Amt, Livio Ravera: «Tagliamo te e tutti i supermanager saluti anche a B. e M., ladro». Durissima la condanna dell’assemblea: «Vergogna. I tranvieri non fanno queste cose».
Da oggi si torna alla normalità, mentre la città si lecca le ferite. Le «cinque giornate di Genova», lamentano i commercianti di Ascom e Confesercenti, hanno portato a un calo tra il 30 e il 40% degli affari.