Francesca Paci, La Stampa 24/11/2013, 24 novembre 2013
SIRIA, LA CONTABILITÀ DELL’ORRORE UCCISI OLTRE UNDICIMILA BAMBINI
Quando all’alba della protesta contro Assad i ribelli siriani sognavano piazza Tahrir, ignari della guerra civile dietro l’angolo, i bambini avevano giù cominciato a pagare un prezzo altissimo all’anelito democratico del paese, dove rappresentano il 45% della popolazione. Le prime vittime della rivolta anti governativa sono infatti proprio i 15 ragazzini di Daraa tra i 9 e i 16 anni arrestati e torturati all’inizio di marzo 2011 per aver scritto sui muri della scuola lo slogan della primavera araba «Il popolo vuole la caduta del regime». Un mese dopo fu la volta di Hamza Ali al Khateeb, il 13enne fermato dalla polizia di Damasco durante una manifestazione e riconsegnato alla famiglia senza vita e con il corpo mutilato dalle sevizie. Da allora i morti si sono moltiplicati fino a superare quota 110 mila, combattenti, civili, uomini, donne, bambini.
Il rapporto «Stolen Futures», appena realizzato dalla think tank Oxford Research Group e pubblicato in anteprima italiana da «La Stampa», disegna per la prima volta il cimitero dei più piccoli tra i caduti in Siria in due anni e mezzo di conflitto, 11.420 minori di 17 anni che sono stati inghiottiti dal vortice dell’odio, l’infanzia spezzata, il futuro sepolto nelle trincee avversarie.
I dati, forniti dalle ong siriane Syrian Center for Statistics and Research, Syria Tracker, Syrian Network for Human Rights, Violations Documentation Center (che collaborano anche con le Nazioni Unite) ci dicono innanzitutto come questi bambini e bambine siano morti, dettaglio inutile di fronte alla perdita ma fondamentale per la conservazione della memoria. Sette su 10 sono stati uccisi da esplosivi (mortai, razzi, artiglieria, 2008 solo dai bombardamenti) mentre uno su 4 è stato colpito da proiettili (tra loro, 389 vittime dei cecchini e 764 ammazzati con esecuzioni sommarie, compresi 112 prima torturati). Ci sono poi i 128 soffocati dai gas letali a Ghouta, il 21 agosto 2013, l’attacco che ha risvegliato la coscienza addormentata dell’occidente, impegnato ora nei negoziati per il disarmo chimico di Damasco senza aver interrotto però la conta dei morti.
«Il mio Khaled non vedrà mai il mondo e il mondo non vedrà mai quanto era bello» ripeteva un mese fa Kadija, una mamma di Homs rifugiata nel campo profughi libanese di Baalbek dopo aver perduto il marito e il figlio di 3 anni. Quanti anni avevano? Come si chiamavano? Dove abitavano? Chi erano tutti i Khaled siriani prima che la guerra ne cancellasse le tracce?
Se tra i neonati non c’è differenza, crescendo i bambini muoiono più facilmente delle bambine (4 bambini per ogni bambina tra i 13 e i 17 anni). La maggior parte sono originari del governatorato di Aleppo, dove si contano 2.223 nomi (19,9% del totale), seguono Homs (16,3%), Rif Dimashq, nelle campagne di Damasco (15,9%), Idlib (14,2%).
«Il report conferma che la Siria è diventato uno dei posti più pericolosi al mondo per i bambini» ragiona Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia. Le guerre uccidono, ma le guerre contemporanee hanno spostato la linea del fronte nelle case, nei quartieri, nelle scuole, come prova lo studio del 2012 della ong britannica Action on Armed Violence, secondo cui il 91% delle vittime siriane appartiene alla popolazione civile bersagliata dai raid aerei, dagli attentati kamikaze, dalle bombe. Poi, insiste Save the Children, c’è la violenza aggiunta, quella che annulla la distanza tra un caccia e la indistinguibile città da colpire: «È ancora più terribile che i bambini siano obbiettivo dei cecchini, oggetto di esecuzioni sommarie o di torture. Il report sottolinea la necessità immediata che tutte le parti in conflitto cessino di colpire i bambini e che consentano a quelli di loro feriti o malati di ricevere assistenza umanitaria dovunque si trovino». La Siria si sta dissanguando giorno dopo giorno, ma senza i bambini nessuna trasfusione potrà mai riportarla in vita.