Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 24 Domenica calendario

IL VECCHIO CON GLI STIVALI


FINALMENTE Berlusconi lo ha detto: non teme la prigione ma «i cessi». E vuole dire che è terrorizzato dalla fine dei miserabili e degli immiseriti.

I gabinetti sono infatti l’ossessione dei potenti italiani, degli arricchiti, come benissimo racconta la letteratura industriale, da Volponi a Ottieri sino a Parise (“Il padrone”). Insomma i cummenda sono tali anche perché dispongono di molti gabinetti, nelle case e negli uffici. E però al tempo stesso li temono come destino finale.
Lucio Colletti mi raccontava, stupito e divertito, che Berlusconi aveva in casa più bagni che camere. Ebbene, per lui è quello il servizio sociale. «Pulire i cessi» è in metafora l’espiazione, è l’umiliazione, è la rieducazione. Tanti anni fa quando riceveva in casa l’amico Craxi che, soffrendo di prostata, andava spesso in gabinetto e qualche volta sporcava, era lo stesso Berlusconi che andava poi a pulire «per evitare — raccontò — che i camerieri si accorgessero che Bettino aveva sporcato». Ecco, di quel che un giorno fece vanto adesso Berlusconi fa esorcismo. I servizi sociali, in questo senso, sarebbero peggiori di una galera. È quella la degenerazione terminale alla quale vuole sfuggire: il bagno (penale).
Il sogno del moribondo è la rigenerazione. L’ultimo approdo della sua cosmesi è questo mito della rigenerazione che sempre prevede l’arruolamento dei giovani più ingenui e più ottusi, persino dei bambini nel caso di Salò, ed è tipico dei potenti in decomposizione. Certo Berlusconi e Dell’Utri più che ad Hitler e a Mao, più che a Mussolini e a Ceaucescu, somigliano ai retori imbolsiti che Brancati chiamava “vecchi con gli stivali”, gli ex papaveri che sognavano ancora la prestanza eroica ed erotica degli avanguardisti, e cercavano conforto alla loro desolazione reclutando ragazzi che nominavano generali. Li imbottivano di fanatismo, gli mettevano in mano un mitra e una bandiera e li mandavano a sparare sul quartier generale.
Ma qui non ci sono grandezze piegate dalla Storia, duci con gli occhi spiritati, timonieri ridotti a monumenti, Führer che accarezzano imberbi nibelunghi, ma c’è invece, alla testa dei falchetti, un pregiudicato gonfio di botulino e avvelenato di tinture, e c’è un altro pregiudicato, Dell’Utri, nel ruolo del padrino “posato”, come si dice nella mafia, il papa absconditus del diritto ecclesiastico, ormai inutile e ingombrante anche nella Sicilia delle coppole.
Sono di nuovo insieme, e importa poco quel che Berlusconi ha detto ieri, nel suo ultimo discorso da senatore, non vale la pena smontare le solite enormità con le quali ha cercato di sedurre, riscaldare e caricare questi suoi nuovi ragazzini, quel che conta è il tono bellico, la messinscena, la dichiarazione di guerra all’Italia, all’Europa, al Mondo. Ormai infatti Berlusconi, che pure è ancora potente e ricchissimo con tutte le sue tv e i suoi giornali, vede solo nemici: dai magistrati ai quotidiani, dalla polizia giudiziaria al Parlamento, dal capo dello Stato alla Corte costituzionale, dalla Merkel sino ad Obama, e dunque la nuova Forza Italia è contro la moneta unica, contro la Germania, contro le tasse, contro i comunisti...
E torna la beatificazione di Mangano: «Aveva ragione Dell’Utri, è un eroe» ha detto ieri. Dell’Utri gli stava accanto come ai tempi in cui Berlusconi smise di esibire la pistola sul tavolo per spaventare i sequestratori: gliela sostituì proprio Dell’Utri con la protezione di quello stalliere mafioso e maestro di vita che divenne il precettore di Piersilvio. A quel Mangano, con il quale trattava per telefono partite di misteriosi “cavalli”, Dell’Utri disse: «Berlusconi non suda» e voleva dire che non sgancia, non paga sotto minaccia. In realtà, a Dell’Utri, l’amico Silvio ha dato un fiume di danaro. L’ex impiegato di banca palermitano gli ha portato in cambio «la Sicilia come metodo» direbbe Sciascia, la sostanza di un antico “saperci fare” per compensare le inadeguatezze del brianzolo, una scienza di vita dunque, un rapporto con uomini che «ad uno come te possono togliere le scarpe ai piedi; e tu cammini scalzo senza accorgertene». A Dell’Utri Berlusconi deve anche la costruzione prima di Pubblitalia e poi di Forza Italia «su modello maoista in versione palermitana».
D’altra parte, mafiosamente parlando, Mangano è davvero un eroe, il solo che non lo ho mai tradito, un vero uomo d’onore che si è tenuto tutto nella panza, l’unico che lo ha protetto veramente ed è morto di cancro in galera, condannato per mafia e per omicidio. E probabilmente è vero che se avesse parlato sarebbe stato premiato con la liberazione. Non lo ha fatto. Quale altro esemplare eroismo ha da indicare ai giovani Silvio Berlusconi?
Ieri ha anche detto che la sua condanna e la conseguente decadenza da senatore è un golpe. Berlusconi infatti prepara la piazza mentre Alfano continua a servirlo al governo. La scissione come raddoppio, la divisione che nasconde una moltiplicazione è la versione berlusconiana dei due forni di Andreotti, del partito comunista di lotta e di governo, insomma dell’antica doppiezza italiana. La doppia identità è l’estrema furbata, stare al governo e stare all’opposizione è il disperato tentativo di sopravvivere, per truffare il destino di cui parlava Goffredo Parise. «Non andrò a pulire i cessi», ha detto. Non vuole fare la fine del vecchio con gli stivali di Brancati: «Una sola qualità lo vestiva dalla testa ai piedi, di fuori e dentro, ne involgeva ogni atto e parola: insignificante».