Cesare De Seta, la Repubblica 24/11/2013, 24 novembre 2013
CARO AMICO TI SCRIVO FIRMATO VAN GOGH
Vincent van Gogh fu una fiamma che illuminò l’arte del declinante secolo della borghesia e il suo alone si diffuse ben oltre la breve e operosissima vita. Malgrado le difficoltà d’ogni genere e le malattie che lo tormentarono, nel 1880, a ventisette anni, decise di fare il pittore. Non era stato un enfant prodige, tutt’altro: fu un autodidatta che s’era sfiancato prima a disegnare, poi a dipingere, nutrendo dubbi non sulla sua vocazione ma sulle sue capacità.
Fin dagli esordi il suo segno è indelebile, perché scava nel fondo della sua coscienza con un senso della verità che lascia attoniti, ogni qualvolta s’ha sotto gli occhi un suo foglio o una tela. La vita di pittore brucia in un decennio: un lavoro frenetico, senza un attimo di respiro, che gli consente di dipingere ottocento tele e più di mille disegni. Ma Vincent non è un artista preso dal furor della creazione, come vorrebbe la vulgata di "genio e sregolatezza". È uomo colto per le sue letture ossessive della Bibbia, di Shakespeare, Dickens, Carlyle e i francesi Zola, Flaubert, Hugo, i fratelli Goncourt e Maupassant, come emerge dalle lettere all’amico Émile Bernard e soprattutto al fratello Theo. L’epistolario conta 819 lettere, e oltre 650 sono indirizzate a Theo. Nel luglio 1888 gli scrive da Arles: «Non pensare che io voglia mantenere artificialmente uno stato febbrile, ma sappi che sono immerso in calcoli complicati da cui scaturiscono, l’una dopo l’altra, tele eseguite in fretta ma preventivamente calcolate a lungo». Ogni pigmento di colore posto sulla tela è un gesto meditato cento volte: un artista capace di elaborare una teoria estetica che, consapevolmente, s’interroga sul ruolo dell’arte e per tale motivo il suo epistolario ha un valore essenziale per capirne il destino.
La selezione di duecento Lettere, a cura di Cynthia Saltzman, nella collana dei Millenni Einaudi con un ricco corredo iconografico, è pertanto uno specchio inquietante della sua biografia umana e intellettuale. Per Van Gogh la scrittura è parte essenziale del dipingere, erede in ciò dell’oraziano Ut pictura poësis:e difatti spesso le lettere scritte su grandi fogli ripiegati, sono disseminate di disegni delle tele a cui lavora: come si vede dagli schizzi della Camera da letto ad Arleso del Dottor Gachet. Talvolta acclude disegni a penna. La sua pagina è piena di correzioni, nitidissima ed elegante nella grafia: scrive prevalentemente in francese e olandese, di rado in inglese. La sua dolorosa esperienza di predicatore tra i reietti delle miniere del Borinage, come il padre pastore, non fu tempo perso: perché considera l’arte una missione etica, una religione tesa alla ricerca di un valore assoluto che possa conferire sollievo a chi la pratica e a chi ne gode.
Nei due anni a Parigi va in giro con Bernard, incontra Paul Signac che ammira per la sua ricerca d’avanguardia sul colore: matura l’idea di trasferirsi nel Midìe nel 1888è abbacinato dalla luce e dal colore della campagna. Ad Arles dipinge 170 tele in poco meno di due anni e alcuni capolavori: i cinque Girasoli, Seminatore al tramonto, La mietitura.E la palette s’incendia: gialli, azzurri, verdi, viola. La natura lo commuove, la considera una rivelazione di dio anche se la sua fede vacilla: « L’art c’est l’homme ajouté à la nature », sottolinea in corsivo in una lettera a Theo nel ’79. L’epistolario ci fa capire che dipingeva le tele non come singole unità, ma insiemi tematici: i paesaggi e i cieli stellati sono parte essenziale di questa ricerca. «Spesso mi sembra che la notte sia ancora più riccamente colorata del giorno, colorata dei violetti, dei blu, e dei verdi più intensi»: ed è bellissima la frase per capire come la sua creatività veda colori anche nel buio della notte. Come ritrattista non è da meno, e non esita a considerarsi compagno in spirito di Rembrandt, Hals e Vermeer. Le sue lettere a Gauguin, Signac, Bernard e altri amici sono dense di notazioni sul loro e sul suo lavoro. Quellea Theo sono uno spaccato di un uomo dilaniato dalla malattia e offeso dal mancato riconoscimento. Una testimonianza essenziale l’epistolario, per dissipare l’alone di leggenda che lo avvolge ma che non intacca il mito del pittore.