Vittorio Sgarbi, il Giornale 24/11/2013, 24 novembre 2013
QUANDO L’ARMONIA DEL DIPINTO CI FA SENTIRE LA MUSICA DI DIO
[Raffaello – L’Estasi di santa Cecilia (1514-1515) – Museo del Louvre di Parigi]
Cambia il volto dell’arte in Emilia Romagna, e di buona parte del Settentrione d’Italia,con l’arrivo a Bologna della pala di Raffaello, l’Estasi di Santa Cecilia. Siamo tra il 1514 e il 1515, e la grande tavola (trasferita su tela a Parigi dopo le spoliazioni napoleoniche) fu commissionata per la cappella consacrata alla Santa nella chiesa di San Giovanni in Monte dalla casta nobildonna, Elena Duglioli dall’Olio. È molto eloquente, per intenderne la rivoluzione estetica determinata dal dipinto nel contesto artistico bolognese, il racconto, forse inventato, del Vasari, romanticamente ripreso dal Wackenroder.
Raffaello dipinge la tavola a Roma, e per garantirsi delle sue buone condizioni dopo il viaggio, avverte il suo collega e corrispondente bolognese, il raffinato «pictor et aurifex» Francesco Francia, e gli chiede di controllarne lo stato ed eventualmente provvedere a qualche ritocco per la miglior presentazione. La richiesta è anche prova della considerazione che Raffaello aveva del Francia. Ma l’effetto che dovette fare nel bolognese fu di tale esaltazione ed euforia, che, per qualche tempo, il Francia si ritenne grande come Raffaello e degno di toccare e ritoccare una sua opera. Così, lusingatissimo, convocò i suoi allievi nel giorno stabilito per l’arrivo dell’opera. Possiamo immaginare con quale ansia e apprensione, mista a soddisfazione, egli iniziò e provvide allo sballaggio, lentamente, vedendo emergere disegno e colore fino alla sublime natura morta musicale nella parte inferiore della tavola. Man mano accertava che non vi fossero cadute di colore o scalfitture ma, sul dettaglio,prevalevano l’essenza e lo splendore dell’opera. Quando il Francia fu di fronte all’intero dipinto, avvertì l’infinita distanza da Raffaello, dalle sue travolgenti novità compositive e formali, oltre alle capacità esecutive. Non resistette alla propria inadeguatezza, e il suo cuore si arrestò di colpo davanti agli allievi.
Morto sul campo, ucciso da Raffaello. L’aneddoto è illuminante non perché indica l’incommensurabile differenza tra Raffaello e gli altri pittori, ma perché segnala un passaggio epocale, di visione, nel rapporto con il sacro. La vera e propria estasi ritornerà coerentemente in quella del Bernini. Si osserva, infatti, che rispetto alle sacre conversazioni della tradizione precedente, di ispirazione veneta o umbra, che si riflettono, quasi dogmaticamente, anche a Bologna, nelle opere del Francia e del suo collega Lorenzo Costa, entrambi riguardevoli pittori, l’Estasi di Santa Cecilia prescinde dalla presenza del divino. Ci sono i quattro santi ma non c’è la Madonna, e neppure il bambino. Tra i santi non vi è gerarchia, benché Cecilia sia al centro. Ognuno sta per sè. Non conversano. Anzi manifestano la loro incomunicabilità tanto più sono vicini. Cecilia, protagonista, è una di loro e si distingue soltanto perché,rispetto agl’altri,il suo sguardo è rivolto al cielo. È nei suoi occhi che vediamo Dio che lei vede. Anzi lo sentiamo. Perché il dipinto ha un esplicito carattere musicale, con la disposizione di strumenti posati a terra, meravigliosi ma dismessi, impari, nonostante l’arte sublime dei liutai, a sostenere il confronto a concorrere con la musica celeste indicata in alto dal coro di angeli nello squarcio delle nuvole. La musica celeste è la musica di Dio. Santa Cecilia sublima quella umana rivolgendo verso il basso il suo stesso strumento. Lei sola la intende e si innalza. In estasi, appunto. Dandoci la prova che Dio è in noi, anche se non si mostra. Dopo quella sua condizione nuova e distinta, gli altri santi sembrano sordi, non sentire le note celesti, ognuno concentrandosi nei suoi pensieri (in particolare San Paolo) o guardandoci come per richiamare la nostra attenzione (in particolare la Maddalena). L’idea estetica dell’armonia nel rapporto fra forma, colore e musica è, in tal senso, sia monofonica per ciò che riguarda la musica, intesa dalla sola Cecilia, sia polifonica per ciò che riguarda la relazione interiore tra un santo e l’altro. L’opera, oggi conservata alla Pinacoteca di Bologna, determina non soltanto un definitivo mutamento della pittura del tempo(riflessi immediati se ne avranno in due ferraresi educati da ben altri maestri,Ortolano e Garofalo)ma anche l’inizio di quella concezione manieristica che avrà il suo più alto rappresentante nel Parmigianino chiamato a Roma subito dopo la morte di Raffaello per esserne l’erede.
Con l’Estasi di Santa Cecilia Raffaello compie una rivoluzione concettuale e formale, grazie all’impianto monumentale e statuario delle cinque figure, nelle quali il mondo classico trova nuove vesti. L’inserto di natura morta in primo piano, che sarà ammirato e ripetuto dall’Ortolano, gli conferisce una evidenza realistica che sembra contraddire perfino il bello ideale di cui la poetica di Raffaello è la più alta espressione. Il realismo si spinge fino all’evidenza delle due canne sconnesse dell’organetto portatile della Santa. Sempre di più questi elementi di contrasto favoriscono il tema teologico del dipinto, di cui Anna Maria Brizio diede la sintesi: «La divinità non appare agli occhi. Essa è nel cuore della Santa Cecila, così come la musica non risuona materialmente al suo orecchio ma solo alla sua anima ».