Monica Guerzoni, Corriere della Sera 24/11/2013, 24 novembre 2013
«MA CON I VINCOLI AVREMO INCENTIVI E AGEVOLAZIONI»
ROMA — «Nessun commissariamento, nessuna imposizione, nessun regalo alla cancelliera Merkel».
Con i contratti nazionali che l’Italia firmerà con l’Europa, non rischiamo di dover cedere sovranità, ministro Enzo Moavero Milanesi?
«Nessuno ci impone nulla, ricordiamoci che l’Europa siamo noi. Ho sentito molte deduzioni e idee sbagliate che vorrei contribuire a chiarire».
Non è vero che l’Europa vuol metterci sotto schiaffo per costringerci a fare le riforme?
«Premesso che ancora non esiste nulla e che non facciamo riferimento a una categoria giuridica già nota, i contractual arrangements non verrebbero imposti. Lo strumento sarebbe rigorosamente volontario. Inoltre non vive solo nella sua parte di impegno vincolante, ma vive, parallelamente, nell’attivazione di un meccanismo di solidarietà. L’idea per noi è percorribile solo se al vincolo si affianca l’incentivo».
Però i vincoli ci sono e ci impegniamo a un percorso molto stringente...
«Il rapporto del dicembre 2012 in cui i quattro presidenti, Van Rompuy, Barroso, Draghi e Junker, indicavano la via per un miglior governo dell’eurozona, parla della possibilità di rendere vincolanti gli impegni degli Stati verso determinate riforme chiave, indispensabili per far decollare la crescita e l’occupazione. L’idea è ancora fluida e sarà discussa per la prima volta a dicembre dai capi di Stato e di governo. Non c’è dunque proprio nessun contratto pronto alla firma per l’Italia».
Altri sacrifici in arrivo?
«L’elemento del vincolo fa pensare a un ulteriore indurimento da parte dell’Europa sul fronte del rigore. Ma non è così. Essendo associato a un meccanismo di solidarietà, io lo vedrei piuttosto come un’opportunità. All’impegno che uno Stato assume, si affianca un meccanismo di incentivo o sostegno che agevola quel Paese nel fare una certa riforma».
L’Italia è di nuovo nel mirino per via della legge di Stabilità?
«No di certo. Al di là di quanto sento dire, non si tratta di un’idea pensata per l’Italia. Parliamo di impegni e riforme che toccano l’economia reale e non riguardano parametri macroeconomici. Nelle raccomandazioni specifiche adottate a luglio per ogni Stato della Ue, cinque delle sei per l’Italia hanno a che vedere con le riforme del sistema Paese ed è di queste che stiamo parlando».
Per quale riforma pensate di ricorrere agli accordi?
«Davvero troppo presto per dirlo. Lo strumento può essere uno stimolo a realizzare in tempi più rapidi le riforme raccomandate. A noi l’Europa chiede, tra l’altro, di semplificare la pubblica amministrazione e il quadro normativo, di ridurre la durata dei processi civili. E poi scuola, lotta all’evasione fiscale, mercato del lavoro...».
In cosa consiste il «meccanismo di solidarietà»? Soldi?
«È una delle tante questioni aperte. Può essere una sovvenzione, o un prestito a tasso di interesse più basso rispetto al mercato. Ma la domanda che dobbiamo farci è “da dove verrebbero questi fondi?”. La Ue ha un bilancio già impegnato, del quale noi siamo un contributore netto. In estrema sintesi, versiamo più di quanto riceviamo, quindi per noi non sarebbe interessante se i contractual agreements venissero alimentati con una aggiunta al bilancio dell’Unione».
Rischiamo pure di rimetterci?
«Ci sono altre idee sul tappeto, come utilizzare il fondo salva Stati. Ma ce n’è una terza ed è la più interessante. La possibilità di emettere per l’eurozona titoli di debito pubblico, che diventerebbero una fonte autonoma di finanziamento».
Degli eurobond?
«Prima di battezzarli occorre ben definire l’idea. Consentirebbe di finanziarsi sui mercati senza chiedere il contributo agli Stati. Però, per emettere dei titoli di debito, si devono dare garanzie. C’è molto da approfondire. E diversi interrogativi ci sono anche sulla natura giuridica che simili contratti avrebbero».
E i tempi, quali sono?
«Non saranno brevi. Si va avanti in maniera intensa, ma ci sono molti nodi complessi da sciogliere».
Non si rischia di ritrovarsi con un contratto capestro? La Spagna, di fatto, è stata commissariata.
«Non è appropriato fare analogie con Paesi che, a differenza del nostro, sono in un programma di aiuti o in una procedura per disavanzo eccessivo. Se si chiede aiuto, chi salva mette le sue condizioni, mentre nei contratti c’è il fondamentale elemento della volontarietà. Se propongo di impegnarmi per una certa riforma e chiedo l’attivazione della solidarietà, codefinisco le condizioni».
Le condizioni dell’Italia?
«La condizione base è il meccanismo di solidarietà, che deve alimentarsi in modo che non sia un costo, ma un beneficio netto. Ad accordi di questo tipo si accede solo nel rigoroso rispetto delle proprie Costituzioni e dei vincoli interni. In Italia il governo dovrebbe consultare Parlamento e parti sociali. Dobbiamo arrivarci preparati e senza alimentare allarmismi. Insomma, non allarmiamoci, ma prepariamoci».
Non sarà un regalo alla Merkel?
«No, semmai è un regalo a una maggiore coesione europea. Tutti sappiamo, per esempio, che l’Italia deve riformare la scuola, non c’è bisogno che ce lo dicano in Europa. E poi anche la Germania è destinataria di raccomandazioni Ue e si troverà di fronte alla possibilità di sottoscrivere questi accordi. Non è una cosa pensata per chi ha difficoltà di bilancio, ma uno strumento importantissimo per superare le debolezze del Paese, che, sommate a quelle degli altri, causano la persistente debolezza europea».