Sergio Romano, Corriere della Sera 24/11/2013, 24 novembre 2013
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA LE SCELTE DI GIOLITTI E ALBERTINI
La recente richiesta del consigliere Pizzul per una adeguata celebrazione della Guerra, mi ha riportato a due dilemmi. Albertini schierò il Corriere della Sera sul fronte interventista per mera vendetta nei confronti di Giolitti? Indipendentemente dal rovesciamento delle alleanze, gli imperi ci avevano offerto le terre rivendicate?
Aldo Fantoni
Caro Fantoni,
L uigi Albertini non amava Giovanni Giolitti. Per il direttore del Corriere della Sera , l’«uomo di Dronero», come veniva spesso definito dalla stampa, era un abile manipolatore della politica italiana, un maestro nell’arte del compromesso, un personaggio sfuggente e incline a patti opachi con forze politiche illiberali. Ma il Corriere aveva approvato la conquista della Libia, decisa da Giolitti nel 1911, e non avrebbe mai abbracciato la causa dell’intervento soltanto per regolare i conti con un avversario.
La scelta interventista, dopo l’inizio del conflitto, fu comunque piuttosto rapida. Albertini aveva buoni rapporti con Antonio Salandra, presidente del Consiglio, e ne sosteneva il governo. Ma riteneva che un grande giornale nazionale dovesse avere, su una questione di tanta importanza, la propria linea. Nella introduzione a un grande libro che riproduce le prime pagine del Corriere dal 1914 al 1918 (ed. Rizzoli Fondazione Corriere della Sera), Paolo Mieli cita un articolo di Andrea Torre, corrispondente romano del giornale, apparso sull’edizione del 24 agosto 1914. Torre scriveva che «la neutralità è un’attesa, non una soluzione dei nostri bisogni, dei nostri interessi, dei nostri diritti». Ancora più esplicito, in quei giorni, fu Giovanni Amendola, da poco assunto alla direzione romana del Corriere . In una lettera ad Albertini scrisse di temere che si lasciasse «addormentare il Paese nel pregiudizio della neutralità» e aggiunse che l’Italia non doveva rimanere estranea a «un travaglio cui partecipa fin la Serbia, e donde uscirà la nuova Europa». Albertini, dal canto suo, dovette ritenere, in quei giorni, che il posto di un grande giornale liberale fosse nel campo delle grandi democrazie occidentali. Giolitti aveva ragione e la neutralità sarebbe stata probabilmente la migliore delle soluzioni possibili. Ma i suoi argomenti si scontravano con una singolare alleanza fra nazionalisti, liberaldemocratici, anarco-sindacalisti, socialisti mussoliniani, futuristi e una parte del mondo industriale, sotto lo sguardo benevolo della monarchia.
Non sarebbe giusto dimenticare, tuttavia, che l’Austria-Ungheria contribuì a rendere la scelta neutralista di Giolitti poco attraente. Nonostante la volonterosa mediazione di un ex cancelliere tedesco (Otto von Bülow), i negoziati di Vienna con il governo italiano dettero risultati modesti. L’Austria avrebbe ceduto il Trentino fino al confine linguistico, ma soltanto alla fine del conflitto, e avrebbe autorizzato Trieste a costituirsi in città libera sotto lo sguardo vigile dell’Impero. Nel frattempo, a Londra, la Francia e la Gran Bretagna erano molto più generose.