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 2013  novembre 24 Domenica calendario

QUEL MISTERO DI CHI VA A FUOCO «SENZA

RAGIONE» –

Un attimo prima, seduto in poltrona tranquillo. Un secondo dopo, una torcia umana. Chi crede alla combustione umana spontanea pensa possa accadere e sia possibile prendere fuoco senza cause apparenti, morendo bruciati da fiamme appiccate dall’interno. Materia esclusiva per indagatori dell’occulto? No, schiere di biologi hanno provato a trovare un perché a decine di morti apparentemente inspiegabili: le vittime di combustione umana spontanea sarebbero state circa 120 in tutto il mondo, a partire da un milanese morto così nel quindicesimo secolo. Di lui e di una donna francese, di cui fu ritrovata solo l’impronta carbonizzata su un materasso, riferì a metà ‘600 il medico danese Thomas Bartholin, il primo a raccontare questi avvenimenti che paiono usciti da un film dell’orrore.

Perché del malcapitato spesso non rimane molto se non gli arti, mentre gli oggetti vicini restano incredibilmente intatti. Nel ‘700 era opinione che l’autocombustione fosse provocata da eccesso d’alcol. Poiché i casi registrati allora avevano sempre coinvolto alcolisti, si pensava che un corpo impregnato di una sostanza tanto infiammabile potesse andare a fuoco da solo. L’ipotesi, che aveva solleticato pure la fantasia degli scrittori (Krook, alcolista del romanzo “La casa desolata” di Charles Dickens, muore per combustione spontanea), è stata esclusa già nell’800 dal chimico tedesco Justus von Liebig, che dimostrò come un tessuto intriso d’alcol non sia in grado di infiammarsi da sé. Nel secolo scorso gli scienziati hanno cercato spiegazioni più convincenti e i casi di presunta combustione spontanea sono stati documentati meglio. Per chi ci crede la morte di Mary Reeser nel 1951, in Florida, non lascia dubbi: fu trovata carbonizzata sulla sua poltrona, senza che in casa vi fossero grossi danni. Pure Michael Faherty, pensionato irlandese morto nel 2010, sarebbe stato vittima di autocombustione spontanea: perfino il coroner che aveva studiato carte e indizi si era spinto ad affermarlo. Ma come può prendere fuoco un corpo da solo, escluso che sia l’alcol di troppo a innescare la fiamma? Secondo Gavin Thurston, autore di uno studio pubblicato nel 1961 sul Medico-Legal Journal, il fenomeno potrebbe essere spiegato dal cosiddetto effetto stoppino : il grasso umano sciolto sarebbe in grado di bruciare a temperatura ambiente in presenza di uno stoppino, cioè di qualcosa che possa accendersi, come capelli o vestiti.

Thurston per provarlo avvolse del grasso con una garza e mostrò che il calore di una fiamma nelle vicinanze bastava a farlo bruciare con continuità, proprio come fosse una candela. Secondo Brian J. Ford, biologo inglese che ha affrontato di recente la questione sul New Scientist, anche questa spiegazione scricchiola: servirebbe troppo tempo per innescare una simile combustione e in molti casi le vittime sono state divorate dalle fiamme in pochi minuti. Ford, studiando l’argomento, si è però accorto che il pensionato morto nel 2010 era un diabetico. «Il diabete porta alla formazione di una gran quantità di corpi chetonici come l’acetone, una sostanza altamente infiammabile: basta che nell’aria ve ne sia poco più del 2% perché possa andare a fuoco anche a basse temperature, inoltre è solubile nei grassi e può quindi renderli estremamente infiammabili. Molte vittime di presunta combustione spontanea erano obese, e l’obesità spesso provoca il diabete», scrive il biologo.

L’ipotesi è che le “torce umane” avessero in corpo una quantità di acetone molto superiore al normale per colpa di problemi come diabete, alcolismo, diete sballate o altro; Ford ha perciò “marinato” tessuto di maiale nell’acetone, gli ha dato la forma di un essere umano vestendolo di tutto punto e poi ha acceso una fiammella. Nel giro di mezz’ora il manichino è stato ridotto in cenere ed erano rimaste intatte solo le gambe, come accade spesso alle vittime «perché nelle gambe si accumula poco grasso e quindi anche poco acetone a renderlo ultra-infiammabile» spiega Ford. Secondo il biologo questa è la spiegazione più ragionevole per la combustione spontanea: se una persona ha molto grasso e una chetosi, l’acetone può concentrarsi in forma gassosa a livello della pelle, sotto ai vestiti. A quel punto il soggetto è altamente infiammabile e basta poco a scatenare l’incendio, che però non parte certo dall’interno: fanno da “innesco” le micro-scintille statiche che si formano dai vestiti sintetici o dal semplice pettinarsi, per non parlare di una sigaretta accesa o una stufa o un camino nelle vicinanze, che potrebbero essere stati causa delle autocombustioni nelle epoche in cui i vestiti erano in fibre naturali.

Niente fiamme paranormali che escono dalla carne insomma, ma sfortunate coincidenze; tuttavia i genitori che sentono il caratteristico odore di acetone nell’alito dei loro figli, perché magari non hanno digerito o si sentono poco bene (l’acetone si forma anche in caso di malattie croniche o digiuni prolungati) non devono temere che vadano a fuoco a breve. «L’autocombustione umana è un fenomeno più che raro: semmai, se la mia ipotesi fosse corretta sarebbe un motivo in più per chi soffre di chetosi per smettere di fumare o, almeno, per non indossare abiti sintetici in giornate in cui l’aria è molto secca» conclude Ford.

MA RESTA ANCHE VALIDA L’IPOTESI CHE SI TRATTI SOLTANTO DI SEMPLICI INCENDI DOMESTICI –
Diversi indizi fanno pensare che si possa fare a meno anche dell’ipotesi «acetone». Infatti,
in quasi tutti i presunti episodi
di autocombustione, le vittime sono state trovate vicino a una sorgente di fiamme. Inoltre, quando i corpi sono stati danneggiati poco alcuni organi interni si sono salvati, a riprova del fatto che il fuoco non era divampato da dentro. La maggior parte dei casi si è verificata
in stanze poco ventilate: la scarsità di ossigeno non consente a un incendio di propagarsi,
così una volta consumato il corpo le fiamme si spengono; le gambe restano spesso intatte perché quando la vittima cade rimangono orizzontali, quindi bruciano peggio. E quando il fuoco si propaga, pensateci, il caso viene derubricato come incendio domestico. Ma com’è possibile che le vittime non abbiano reagito se le fiamme si sono sprigionate dai loro abiti, si chiedono i fautori del paranormale? Innanzitutto, nel panico molti perdono la capacità di reagire razionalmente; inoltre, per la maggior parte delle vittime recenti si sa che facevano uso di alcol o farmaci, oppure erano anziani con malattie o difficoltà di movimento, avevano perciò capacità di reazione assai ridotte.

BIZZARRIE –

Le supposizioni più bizzarre si sprecano, fra coloro che sono convinti che la combustione umana spontanea sia possibile. C’è infatti, per cominciare, chi sostiene che un’infezione batterica massiccia potrebbe essere in grado di «scaldare» il corpo umano addirittura fino a farlo infuocare (ma la vittima morirebbe assai prima di arrivare alle fiamme). C’è poi chi ritiene che l’autocombustione spontanea sia dovuta a enormi quantità di metano infiammabile prodotte nel tratto gastrointestinale, che verrebbe poi «acceso» da processi enzimatici. Oppure, ancora, non manca chi si è spinto perfino a dare la colpa al magnetismo terrestre, allo stress eccessivo, nonché a idrogeno e ossigeno rimasti allo stato gassoso nelle nostre cellule e per questo, quindi, superinfiammabili.