Miska Ruggeri, Libero 24/11/2013, 24 novembre 2013
L’AZERBAIGIAN È UN PARADISO (CON 7 MILIARDI DI EURO ITALIANI)
La crisi sarà pure, per definizione, globale. Ma qui, nella capitale dell’Azerbaigian, illuminata e scintillante in stile Las Vegas a fare da vetrina all’intero Paese, non sembra essere arrivata neppure una lontana eco. Grandi musei appena inaugurati, come il Centro culturale Heydar Aliyev progettato da Zaha Hadid, o che lo saranno a breve, come il gigantesco Carpet Museum, grattacieli avveniristici come le Flame Towers dai mille giochi di luce, negozi di alta moda con tutti i possibili marchi italiani, palazzi di fine Ottocento costruiti da celebri famiglie (i Nobel, i Rothschild...) e perfettamente conservati, cantieri aperti ovunque, piazze, giardini e fontane di gusto europeo. Del resto, i giacimenti di gas e petrolio, con la benzina a 60 centesimi al litro, e una crescita prevista nel 2013 superiore al 5% consentono questo e altro.
Certo, in un Paese dalla crescita economica tra le più veloci al mondo, posto al crocevia tra Oriente e Occidente, non mancano contrasti e contraddizioni. Gli azeri sono turchi ma sciiti, laici (al punto da ospitare nel 2012 il festival canoro Eurovision considerato antiislamico e sionista dalle frange più radicali) mamusulmani, filo-occidentali ma non ostili ai russi, aperti al mercato internazionale ma statalisti all’interno. Senza dimenticare le oscillazioni politiche del governo di Ilham Aliyev (figlio del padre della patria Heydar), presidente dal 2003: amico dell’Europa e vicino a Israele in funzione antiiraniana, tanto che tra Baku e Tel Aviv è stato di recente stipulato un accordo militare dal valore di 1,6 miliardi di dollari (sistemi di sicurezza anti-aerei e droni in cambio, si dice, anche del permesso per Israele di usare basi operative azere - per esempio l’aeroporto di Sitalcay - per bombardare i siti nucleari iraniani), ma nel mirino per la violazione dei diritti umani e per l’intolleranza verso l’opposizione interna. Se infatti la Repubblica democratica dell’Azarbaijan (1918- 1920) è stata la prima repubblica multipartitica in un Paese islamico (con il diritto di voto per le donne) e un modello di convivenza etnica, oggi la democrazia appare troppo condizionata dalla cultura tribale dei clan.
Tuttavia, e per rendersene conto basta visitare il cimitero - a pochi passi da una monumentale bandiera che viene considerata la seconda più grande del mondo - che accoglie i resti dei martiri della guerra, la popolazione sembra soffrire di più per l’irrisolta questione del Nagorno Karabakh, un quinto dell’intero territorio perso durante il conflitto (1991-1994) con l’Armenia e costato circa 30mila morti eoltre un milione di profughi.
Per il momento, comunque, il senso di rivalsa è dispiegato sul versante economico. E sono numerose le opportunità che si aprono per l’Italia, principale partner commerciale dell’Azer - baigian anche se all’insegna dello squilibrio (importiamo per 7,1 milioni e esportiamo solo per 400 milioni).
I nostri connazionali residenti a Baku - ci spiega l’ambasciatore Giampaolo Cutillo - sono meno di 100, ma i pendolari che affollano i voli della Azerbaigian Airlines da Roma eMilano sono tantissimi, soprattutto artigiani specializzati, falegnami, mobilieri ed enologi che stanno cercando di trasformare in buon vino i vitigni locali (Merlot, Syrah ecc).Ma per rafforzare la presenza tricolore si sono mossi Enrico Letta ad agosto, primo premier italiano ad arrivare qui in forma ufficiale, e più recentemente una delegazione di Confindustria e Ance (Associazione nazionale costruttori edili), composta da 133 operatori in rappresentanza di 75 imprese e accompagnata dal viceministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.
Ovviamente, l’evento che tutti aspettano sarà a dicembre il via libera definitivo al Tap, il Gasdotto Trans-Adriatico che porterà dal 2019 (oggi ne importiamo per altre vie 8,8) circa 10 miliardi di metri cubi annui di gas (espandibili sino a 20) dal Mar Caspio alla Puglia (San Foca, in provincia di Lecce) attraverso Turchia, Grecia e Albania, in alternativa al percorso “nordico-balcanico” del Nabucco (fino a Vienna). Un passo fondamentale per la diversificazione delle fonti energetiche, per non dipendere totalmente dalla Russia e, si spera, per avere bollette più ragionevoli.