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 2013  novembre 25 Lunedì calendario

I GIOCHETTI DI LORD D’ALEMA PROTETTORE DEI COMUNISTI PD


Visibilmente sotto schiaf­fo per la spavalda offensi­va lanciata da Matteo Renzi, Massimo D’Alema si è au­toproclamato Lord protettore dell’anima antica e comunista dei Democratici.
Max non fa vita di partito. In Largo del Nazareno, sede del Pd, neanche si affaccia. Corruc­ciato per come va il mondo, il sessantaquattrenne ex premier - oggi neanche più deputato - ­trascorre la giornata in sdegno­sa solitudine nello studio della sua Fondazione Italianieuro­pei, con lo sguardo su Piazza Far­nese. Si è fatto e gli hanno fatto il vuoto attorno. Con l’ex segreta­rio, Pier Luigi Bersani, ha sostan­zial­mente chiuso dopo l’affron­to di non rican­didarlo in par­lamento e l’in­cap­acità dimo­strata in prima­vera di fare il governo. Sulla sua cerchia, meglio stende­re un velo: Ve­lardi, Rondoli­no, Latorre, - i D’Alema boys dai crani rasati - lo hanno mol­lato per Renzi. Resterebbe Gianni Cuper­lo sul quale conta molto per arginare Matteo l’8 di­cembre, ma il condizionale è d’obbligo. Da un lato, Cuperlo marcia ormai da solo, dall’altro, per quanto sal­damente comunista, è troppo fi­losofo per dare davvero batta­glia a Renzi come intende darla lui.
Come tutti gli uomini soli, Max colloquia tra sé. Come inve­ce lui solo può, è tanto compia­ciuto di ciò che dice a se stesso, che in segno di ossequio, si dà del lei. Sicché, quando esce dal­la sbornia solinga per andare in tv, ha una così enorme opinione di sé da sprigionare quella sac­centeria al cubo - detta, in psi­chiatria, dalemiana - di chi fa la grazia di rivelare, a noi del volgo che non capiamo un tubo, la so­la verità che esista: la sua.
Dunque, terrorizzato da ciò che il Renzi vittorioso potrà com­binare con il partito, D’Alema ha deciso di affrontarlo a brutto muso. Giorni fa, a freddo, gli ha ingiunto di non darsi l’aria del «Giamburrasca» poiché, in real­tà, è l’uomo dei poteri forti ai quali in futuro dovrà obbedien­za. Tutta invi­dia, ovvia­mente, essen­do scontato che i soliti marpioni con i soldi appog­gino chi è in auge come fe­cero peraltro con Max quando in sel­la ci stava lui. Lo ha trattato poi da «igno­rante superfi­ciale» soste­nendo che sotto la sua guida il Pd as­somiglierà al­la «peggiore Democrazia cristiana».
Qui, siamo al nocciolo. Max te­me, come un incubo infernale, che la renzizzazione del Pd ne cancelli ciò che resta del Pci gramscian-togliattiano. Un cre­do, maciullato dalla Storia, ma che D’Alema porta caparbia­mente nel cuore e di cui si sente la Pizia. Se anche è trascorso mezzo secolo, il Nostro si consi­de­ra ancora il ragazzino in calzo­ni corti che, in divisa di Pioniere
d’Italia (gli scout del Pci), tenne il discorsetto di benvenuto del IX Congresso comunista, pre­sente Togliatti, terminandolo con uno stentoreo: «Compagni, all’opera! E buon lavoro». Al che, il Migliore, colpito dall’im­medesimazione adulta del dale­mino, esclamò: «Non è un bam­bino: è un nano». Max è fermo lì, a difendere il passato remoto co­munista in nome «di qualche vi­vo e molti morti», secondo una definizione che devo a un giova­ne quadro del Pd che, come di­versi tra loro, considera il marxi­smo una curiosità numismati­ca.
I ferri corti con Renzi sono re­centi. Agli esordi, D’Alema ave­va cercato di mettere il cappello sull’ascesa del brioso fiorenti­no. Non gli ha fatto mancare lo­di e appoggi. Nel 2009, andò a Fi­renze per sostenerne la candida­tura a sindaco. Accolto dal can­didato con un: «Massimo, tu sei un punto di riferimento», l’ospi­te replicò che Matteo era, rispet­to agli avversari, «il ciclista che distacca il gruppo di un’ora» con la sola incognita, aggiunse quasi untuoso, «di sapere se bat­terà il record della pista». Mesi fa andò ancora a Firenze per sen­tire se Matteo si sarebbe candi­dato alla segreteria, pronto ad accordarsi con lui. Lo scaltro gio­vanotto restò nel vago e promi­sero di risentirsi. Poi Renzi, per non impegnarsi, si candidò sen­za a­vvertire D’Alema che se la le­gò al dito. Da allora, gli dà del fric­chettone e ora è preoccupato di ciò che può accadere.
La diffidenza verso Renzi non è solo legata alla ragione «idea­le » della sopravvivenza delle scorie comuniste nel Pd. Ce n’è un’altra più terra terra. Anche il nostro Max è, infatti, di carne. Dando per chiusi i suoi giochi in Italia, D’Alema punta infatti a candidarsi l’anno prossimo alle Europee. Il suo timore è che Ren­zi, una volta segretario, possa ne­gargli il posto di capolista della circoscrizione Sud che gli assi­curerebbe automaticamente l’elezione.
Perché questa voglia di Euro­pa dell’ex deputato di Gallipoli?
In Max c’è un trauma irrisolto: la trombatura nel 2009 come Alto Rappresentante per gli Affari esteri­, vulgo : ministro degli este­ri Ue, ruolo cui aspirava inten­samente. Il Cav, allora premier, si era battuto per lui, ma preval­se a sorpresa Lady Ashton, sco­nosciuta comparsa del Labour Party. D’Alema, che era stato presidente del Consiglio, battu­to da una terza fila! Max se ne adontò, senza più riprendersi. Così, ha attribuito la sconfitta al­la circostanza di non essere sta­to abbastanza presente in Euro­pa, occupato com’era nelle co­se italiane. Ora vuole colmare la lacuna andando a Strasburgo, da­re prova del proprio genio e, nel giro di un biennio, puntare a una carica di prestigio, tipo pre­sidente del parlamento Ue. Va­sto programma che Max sente però alla sua portata purché l’impiastro fiorentino non si metta tra i piedi con la sua fissa di rottamare vecchi arnesi. Soli­dale con D’Alema per ragioni anagrafiche, vorrei però ricor­dargli che se quattro anni fa gli fu preferita Ashton è perché il Pse (socialisti europei) rifiutò di candidarlo ufficialmente. Pesa­va il­ suo passato di altezzoso co­munista e il niet dei Paesi dell’ex cortina di ferro, Polonia in testa. Non mi sembra che qualcosa sia mutato da allora, né che D’Alema abbia pronunciato sul comunismo quelle parole di ve­rità che avrebbero soddisfatto chi ne conobbe il giogo.
Nemmeno depone a favore la sua pregressa esperienza a Stra­sburgo. Max fu deputato Ue dal 2004 al 2006. Due soli anni per­ché, neanche a metà strada, si precipitò a Roma per entrare nel secondo governo Prodi (2006-2008). Questo abbando­no repentino, tipico degli italia­ni che pensano all’Italia come ombelico del mondo, è stato mal sopportato a Bruxelles e pe­serà nel caso D’Alema torni las­sù. Concludo con l’unica impre­sa che si ricordi di quel suo di­stratto soggiorno strasburghe­se: il riuscito tentativo di sfuggi­re alla giustizia italiana grazie al­l’immunità europea che vietò l’utilizzo della famosa intercet­tazione «facci sognare, vai» nel procedimento Bnl-Unipol. Il tutto, assai poco commendevo­le. Comunque, i nostri auguri.