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 2013  novembre 26 Martedì calendario

ITALIA, IL MARE DEI FURBI. DILAGA LA PESCA DI FRODO

Se l’Italia è la terra dei furbi, fi­guriamoci il mare. Tra le onde i controlli sono più difficili e l’illegalità regna sovrana. La pesca non fa eccezione. Esistono regole e licenze, ma tanti se ne infischia­no e la fanno franca, nonostante gli sforzi della Guardia Costiera, che quest’anno ha già sequestrato 802 tonnellate di pesce. Una cifra in netto aumento rispetto alle 699 dell’intero 2012. Il mare nostrum, per qualcuno, è una risorsa da sfruttare senza scrupoli. A farne le spese sono i pescatori onesti, i con­sumatori e l’ecosistema.
Il ricercato numero uno del Medi­terraneo è il tonno rosso: l’80 per cento viene acquistato dai giappo­nesi, che lo usano per il sushi. Il re­sto è conteso da pescherie, risto­ranti, grande distribuzione. La do­manda non manca mai, ma la ma­teria prima è sempre più scarsa. L’Iccat, l’ente internazionale che protegge la specie, fissa le quote annuali per ogni Stato. Nel 2013 l’I­talia è stata auto­rizzata a pescarne 1.950 tonnellate. Di più non si può. Ma la Guardia Costiera ha già confiscato 94 tonnellate abusive: entro fine anno sa­ranno superate le 114 del 2012. Il ton­no rosso rende parecchio, può ar­rivare anche a 30 euro al chilo. Cal­colatrice alla mano, i sequestri a­vrebbero fruttato quasi 3 milioni di euro. Ma il mercato nero del­l’intera area mediterranea vale 3-4 miliardi di euro. Un business che attira anche la criminalità orga­nizzata, soprattutto siciliana e mar­sigliese. «Esistono importanti aree d’illegalità legate alle specie che hanno un rilevante valore econo­mico » spiegano dalla Guardia Co­stiera. Da Sicilia e Sardegna, il ton­no pescato illegalmente risale lo Stivale e sbarca sui mercati ittici del Nord: due anni fa la capitaneria di porto di Chioggia intercettò 30 ton­nellate destinate a Milano e alla lo­calità veneta. Più difficile stroncare i traffici di tonno rosso all’origine: quasi im­possibile risalire ai ’pescherecci canaglia’ attraverso i documenti, spesso assenti o falsificati. Un altro metodo per dribblare i divieti con­siste nel tagliare il pesce a bordo, così è facile spacciarlo per tonno meno pregiato. Oppure lo si lega a una boa e un paio di giorni dopo si manda una barca da diporto a ri­tirarlo. Restando in acqua, però, il pesce si infetta: chi se lo trova nel piatto rischia l’intossicazione da i­stamina.
«In alcune zone del mondo la pe­sca illegale copre un terzo del mer­cato. Penso al Sudest asiatico e al Mar della Cina. Ma anche da noi, in Italia, ci sono grossi problemi» denuncia il professor Silvio Greco, biologo marino e presidente del comitato scientifico di Slow Food. «Al Sud operano pescherecci fan­tasma che pescano quello che gli pare... C’è anche chi continua a u­sare le bombe». Le acque più pregiate, e dunque più battute dai ’pirati’, sono il ca­nale di Sicilia, le coste della Cala­bria e il Mar Ionio. Nel mirino c’è anche il pescespada. Le spadare ­barriere che si allungano fino a 20 km - sono vietate dal 2001, perché dentro ci finisce di tutto. Ma si con­tinua ad usarle. «I pesci tentano di schivarle, ma la pinna si impiglia ­spiega Alessandro Giannì, capo delle operazioni di Greenpeace I­talia - Dentro ci finiscono anche gli esemplari giovani, con gravi con­seguenze sulla riproduzione della specie. Un anno fa, in Calabria, è ri­masto intrappolato un capodoglio. Ma abbiamo trovato spadare an­che al largo di Pantelleria».
Altri problemi derivano dalle li­cenze per la cosiddetta pesca spe­rimentale, che spesso si rivela un é­scamotage per aggirare le norme. Nel canale di Sicilia la ’sperimen­tazione’ dura da vent’anni. Alcu­ne imbarcazioni praticano in cop­pia la pesca ’volante’: le reti ven­gono trascinate a una velocità di 7 nodi e l’impatto sulla fauna ittica è devastante. «A Sciacca si viveva della pesca di acciughe - spiega Giannì - ma queste tecniche han­no decimato i branchi, perché le reti catturano anche i pesci novel­li. A farne le spese è la marineria onesta, quella delle lampare, che prima di tirare a bordo le prede ne controlla la misura». Negli ultimi tre anni, in media, si sono pescate circa 5.160 tonnellate di acciughe, quasi il doppio del massimo soste­nibile. Si perdono posti di lavoro e il mare si svuota. Secondo la com­missione scientifica dell’Unione Europea, il 95% degli stock ittici del Mediterraneo è ipersfruttato, dun­que a rischio esaurimento.
Se in Italia si cerca almeno di con­trastare il fenomeno, altrove regna il Far west. Nei mesi scorsi è stato scoperto un traffico di spadare ’di­smesse’ verso l’Albania. Si chiude più di un occhio anche sulle coste del Nord Africa: la ’primavera ara­ba’ ha allentato i controlli statali e i pirati del pesce ne approfittano.
Ma l’illegalità tocca anche il Nord Italia. «Nell’Alto Adriatico la situa­zione è tragica - denuncia Greco ­c’è chi raccoglie cozze e vongole anche nelle zone inquinate, infi­schiandosene dei divieti e della sa­lute dei consumatori. Controllare tutti è impossibile». Non è finita. «Un’altra faccia del fenomeno ri­guarda la finta pesca sportiva. Ci sono barche equipaggiate con canne automatiche e sofisticati strumenti elettronici per localiz­zare i branchi: la quantità di pe­scato è molto superiore a quella di una battuta di pesca amatoriale, senza contare che il bottino viene venduto a caro prezzo. Le risorse ittiche sono già scarse: la pesca il­legale distrugge quel poco che è ri­masto ».