Sergio Romano, Corriere della Sera 25/11/2013, 25 novembre 2013
I KENNEDY E LA MAFIA MOLTE VOCI, POCHI FATTI
Nel 50° anniversario della morte di J.F. Kennedy si sono lette diverse commemorazioni. Quella sua è sicuramente la più centrata. Mi sfugge però il motivo per il quale ha ritenuto di non accennare ai rapporti che il clan dei Kennedy intrattenne, prima e dopo l’elezione alla Casa Bianca, con la malavita americana per il tramite di Frank Sinatra. Nel dicembre 2000 una corrispondenza di Ennio Caretto sul Corriere ne diede ampia conferma (insieme con la figlia, Tina, del cantante) e Indro Montanelli, rispondendo il 20 dicembre 2000 a una mia lettera, sempre sul Corriere, se ne dimostrò convinto .
Lorenzo Milanesi
Caro Milanesi,
Se qualcuno desiderasse scrivere una nuova contro-storia di Kennedy (ne esistono già parecchie), il materiale non gli mancherebbe. Potrebbe indagare sulla ricchezza della famiglia e segnalare le voci secondo cui il denaro accumulato, soprattutto agli inizi, proveniva dai buoni rapporti che il padre aveva stretto con la mafia. Potrebbe sostenere che quei rapporti facilitarono la carriera politica di John e gli permisero di battere Richard Nixon, nelle presidenziali del 1960, là dove la mafia poteva convogliare molti voti verso il suo candidato preferito. Potrebbe citare altre voci, molto diffuse per qualche tempo, secondo cui la mafia avrebbe fatto una nuova apparizione nella parabola politica della famiglia Kennedy dopo il fallimento dello sbarco nella Baia dei porci. È stato ripetutamente scritto che la Casa Bianca e la Cia presero allora in seria considerazione l’ipotesi di un attentato contro Fidel Castro e ne commissionarono l’esecuzione alla mafia. L’organizzazione controllava i casinò dell’Avana all’epoca del dittatore Fulgencio Batista e si considerava molto danneggiata dalla rivoluzione castrista.
Queste voci hanno avuto l’effetto di alimentare le teorie complottiste che si diffusero negli Stati Uniti dopo l’uccisione del presidente a Dallas il 22 novembre 1963. Chi non voleva credere al gesto individuale di uno squilibrato, sostenne con altre ipotesi quella di una vendetta mafiosa.
Da quando Robert Kennedy era divenuto Procuratore generale degli Stati Uniti, la presidenza era impegnata in una dura battaglia contro la criminalità organizzata. Agli occhi della mafia questa sarebbe stata una prova d’ingratitudine che andava punita con la morte del fratello presidente. Come vede, caro Milanesi, il materiale per un articolo su «Kennedy e la mafia» esiste. Ma non sarei capace di scriverlo per almeno due ragioni. In primo luogo non esiste una convincente documentazione sull’esistenza di rapporti impropri fra i Kennedy ed esponenti della criminalità.
Esistono forse prove di eccessiva familiarità con personalità ambigue e discusse, ma la pistola fumante non è stata trovata. In secondo luogo credo che il bilancio di una vita dedicata alla politica debba essere politico; ed è questo che ho cercato di fare nell’articolo a cui lei si riferisce.
SCISSIONE MOTIVO PER VOTARE? –
Caro Romano, a proposito della scissione avvenuta nel Pdl , dobbiamo ancora una volta rilevare che,come sembra, la Costituzione ammette che parlamentari eletti nell’ambito di un partito possano disinvoltamente passare ad altra coalizione o addirittura formare un altro partito. Questa sarebbe la nostra bella Costituzione come anche esaltata al pubblico televisivo da qualcuno non molto tempo fa? Ma come è possibile che parlamentari eletti nelle file di un partito , quindi destinatari di emolumenti grazie ai suffragi che gli elettori hanno concesso al partito stesso, possano «cambiare sedia» così impudentemente? Non sarebbe almeno più serio che in detti casi si tornasse a votare?
Gino Vercesi,
Arese
Negli ultimi cent’anni (dal 1912 ai nostri giorni) le scissioni importanti, nell’ambito della sinistra italiana sono state almeno nove: 1912, 1922, 1947, 1964, 1969, 1991, 1998, 2007. Aggiunga le altre scissioni e giungerà alla conclusione che se facessimo dipendere la durata delle legislature dagli stati d’animo dei partiti, passeremmo il nostro tempo nei seggi elettorali.