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 2013  novembre 25 Lunedì calendario

COSÌ VA A FONDO IL SUD


Ditelo: ci avete rinunciato, al Sud? Avete deciso che non vale la pena salvarlo? Avete immaginato che tanto vale lasciarlo andare alla deriva verso un futuro sempre più violento, marginale, miserabile? Vi siete rassegnati all’impossibilità di strapparlo alle mafie, alle clientele, alla malapolitica? Ditelo, almeno. Abbiate il fegato di ammetterlo. Perché il Mezzogiorno sta andando al disastro. E non serve a niente, giorno dopo giorno, voltarsi dall’altra parte.
Vale per la destra, vale per la sinistra. Che troppo spesso hanno guardato alle lontane lande meridionali soltanto come serbatoio di voti. Vale per i politici e i professionisti e i rettori universitari settentrionali, che per decenni non si sono fatti scrupolo, per vincere a Roma, di stringere alleanze inconfessabili con il peggio del peggio del ceto dirigente meridionale. Vale per gli imprenditori, che nelle terre bagnate dalle generose provvidenze della Cassa del Mezzogiorno hanno visto mille volte solo l’occasione di un saccheggio. Ma vale soprattutto per i meridionali.
Perché in troppi sospirano sui torti subiti «dai tempi più antichi» e sembrano ormai avere accantonato ogni volontà di riscatto. Ogni spirito di rivolta contro il destino cinico e baro. Ogni speranza di rinascita culturale, economica, civile. Pare quasi che un popolo intero, un popolo formidabile che ha dato al mondo scienziati e scrittori e artisti e ricercatori e inventori e geni straordinari, avverta l’angoscia del naufragio e senta la tentazione infida di salire sulla prima scialuppa, ognuno per proprio conto: «Si salvi chi può». E allora via dalle università, via dagli ospedali, via dai laboratori, via dalle imprese, via dalle città meridionali...
Ma se è napoletano Francesco Schettino, che dopo aver portato la Costa Concordia a schiantarsi sull’isola del Giglio si precipitò sulla prima lancia di salvataggio riaccendendo nel mondo i peggiori pregiudizi sugli italiani fanfaroni, donnaioli, superficiali e irresponsabili, è napoletano anche Gregorio De Falco. Cioè l’ufficiale che sa cos’è la missione, sa cos’è il dovere, sa cos’è la responsabilità, e al telefono ordina urlando al capitano di tornare immediatamente a bordo a fare quel che va fatto. Questo è il Mezzogiorno, questa è l’Italia. Che possono affondare insieme o insieme riscattarsi. (...)
Che razza di paese è quello che si rassegna al degrado di un terzo abbondante del suo territorio, un terzo della sua popolazione, un terzo delle sue ricchezze culturali e paesaggistiche? Da quanto tempo, dopo le illusioni, gli incantesimi, le truffe e le sconfitte di tanti progetti pompati dalla Cassa del Mezzogiorno, l’Italia non si pone nemmeno più il Grande Disegno di aiutare davvero il Sud a riscattarsi?
Giorgio Napolitano sì, l’anziano presidente si è scagliato più volte contro la rassegnazione, spronando a credere davvero nel Sud, nel futuro del Sud, nelle persone del Sud. Merce rara, però. Troppi altri, salvo eccezioni, hanno mostrato di essersi rassegnati all’ineluttabilità di un certo destino. Accontentandosi, come dicevamo, di venire a patti con la peggior politica clientelare del Mezzogiorno. Un baratto sciagurato: voi portate i voti indispensabili a vincere a Roma e noi chiudiamo un occhio. (...)
È passato quasi un secolo da quando Gaetano Salvemini, un meridionalista che non faceva sconti al Meridione, denunciò quel patto: «I governi italiani per avere i voti del Sud concessero i pieni poteri alla piccola borghesia, delinquente e putrefatta, spiantata, imbestialita, cacciatrice d’impieghi e di favori personali, ostile a qualunque iniziativa potesse condurre a una vita meno ignobile e più umana»...
Questo è il tema. Al di là del fiorire di lagne neoborboniche che raccontano in libri come Il Sud e l’Unità d’Italia di Giuseppe Ressa che ai tempi favolosi di Francesco II «l’emigrazione era sconosciuta, le tasse molto basse, come pure il costo della vita, il tesoro era floridissimo, l’economia in crescita, la percentuale dei poveri pari all’1,34%», lagne che fanno il paio con tante volgarità nordiste, l’Italia deve assolutamente riaprire la questione del Mezzogiorno. Ma rompendo quel patto empio che alimenta un ceto dirigente di mestieranti incapaci, spregiudicati e insaziabili. (...)
È una coltellata quotidiana, per gli italiani che amano il Mezzogiorno, vedere certe cose. Una coltellata sapere che l’abbandono scolastico, sceso in Germania al 10,5%, è del 20% in Puglia, del 22% in Campania, del 25% in Sicilia, del 26% in Sardegna. Una coltellata scoprire che ben 365 dei 580 dipendenti della Regione siciliana andati in pensione nel 2012 hanno lasciato il lavoro in anticipo dicendo di avere un parente disabile da accudire e approfittando di una leggina troppo tardi abolita che consentiva loro (diciassette anni dopo la riforma Dini che cambiò la vita di tutti gli altri italiani!) di calcolare buona parte del vitalizio sull’ultima busta paga. Una coltellata conoscere la voragine del buco pensionistico della Regione isolana dove i contributi di chi lavora non coprono neppure un terzo (32,3%) dei vitalizi a chi è a riposo. Per non dire di mille altre follie. Che danno l’idea di come la burocrazia, il privilegio, la sopraffazione abbiano divorato il buonsenso...
L’abisso della povertà
Niente più della povertà descrive con crudele precisione il solco che divide le due Italie. (...) In quel girone infernale, dove è in gioco la stessa sopravvivenza, al Sud si trova il 9,8% delle famiglie: nel 2007, prima che la Grande Crisi iniziasse, erano il 5,8%. Significa che in pochi anni il loro numero è cresciuto del 70%. Trecentocinquantamila famiglie che non erano del tutto schiacciate dalla miseria sono state sommerse dall’onda della crisi. (...)
Nei sei decenni fra il 1951 e il 2012 il Pil pro capite medio delle regioni meridionali ha superato solo in due occasioni il 60% di quello del Centro-Nord: nel 1971 e nel 1973, quando raggiunse il 60,3%. Ma nel 2012 la ricchezza prodotta da ogni residente del Sud è addirittura scesa di nuovo fino al 57,4% (...) Sei decenni buttati via. E come dimostra la poesia dei polli di Trilussa, le medie spiegano fino a un certo punto. I numeri assoluti fanno rabbrividire. Dice il centro studi Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, che nel 2012 il Pil pro capite annuo è stato di 34.415 euro in Valle d’Aosta e di 16.460 in Calabria. Meno della metà. (...)
Dice tutto il confronto fra la Corsica e la Sardegna, due isole separate non solo dalle 6 miglia marine delle bocche di Bonifacio ma da un abisso nei sistemi di regole. All’arrivo del millennio, partivano nel Pil pro capite esattamente alla pari: 86% rispetto alla media Ue. Nel decennio, però, i corsi, che pure godono di una autonomia più ridotta, sono andati avanti salendo al 90%, i sardi indietro scendendo al 68%. Con il risultato che, secondo i dati Eurostat, nell’arco di soli dieci anni la nostra regione ha perso nel confronto 22 punti percentuali. Un disastro. (...)
Per non parlare delle donne. Nei 27 paesi della Ue, dice l’ Eurostat, il tasso di occupazione femminile si colloca in media al 64%. L’Italia è 7 punti sotto: al 57%. Ma se già questa classifica è pessima, al Sud è terrificante: risultano inattive due donne su tre. Peggio: delle 271 regioni dell’Ue, 7 su 10 delle più chiuse all’apporto femminile sono italiane. E italiane sono tutte e cinque le ultime della lista nera. (...)
Nel 2012, spiega lo Svimez, il numero dei morti ha superato quello dei nati vivi. Nella storia del Mezzogiorno dopo l’Unità era accaduto solo due volte: nel 1867 e nel 1918. La prima per una spaventosa epidemia di colera che, come ricostruisce la storica della medicina Eugenia Tognotti, si portò via oltre centomila persone. La seconda a causa della Grande guerra e della «spagnola», che oltre al Lazio colpì soprattutto la Basilicata, la Calabria e la Sardegna. E dicono i demografi, anzi, che andrà sempre peggio...
Una pioggia di contributi
Tremilacinquecentoquarantuno euro alla trattoria «Don Ciccio» di Bagheria, specialità «pasta cu finocchiu e i sardi» e «pisci spata agghiotta». E poi 12.075 all’impresa edile Pippo Pizzo di Montagnareale e 12.367 alla «macelleria Ileana» di Tortorici e 2.271 alla profumeria «Profumo di Lavanda» di Siracusa e 5.163 alla «gelateria Mozart» di Castelvetrano...
Basta scorrere l’elenco dei contributi distribuiti a pioggia in Sicilia per capire come ha fatto l’Italia a ridurre i fondi strutturali europei in oltre 75.000 coriandoli. Gli altri, con quei soldi, costruiscono aeroporti e stendono binari dell’alta velocità e dotano città e campagne di reti internet a banda larga e raddoppiano le corsie autostradali. Noi mandiamo per le strade banditori della politica clientelare che urlano come i mercanti in fiera: «Currìti! Currìti! Piccioli europei pi ttutti!». Correte, correte! Soldi europei per tutti! Per i bar e le calzolerie, le locande e i piastrellisti, le focaccerie e i carrozzieri. Non è mancato un obolo, 3.264 euro, all’agenzia funebre «Al giardino dei fiori» di Centineo Carmelo a Gangi. Se è in crisi anche l’economia sommersa, perché negare un aiutino all’economia sepolta?
È così diffusa l’abitudine di succhiare dalla grassa mammella di Bruxelles che quando il direttore di 180 «Marsala.it», Giacomo Di Girolamo, ha ripreso da «opencoesione.it» l’elenco di chi aveva incassato i contributi europei nella città che vide lo sbarco dei Mille di Garibaldi, è stato sommerso dalle proteste. «Chi vi ha autorizzato a fare il nome mio?» «E la privacy?» «Lei mi ha rovinato! Ma si rende conto!? Adesso mi tocca pagare i fornitori!!!» .
Eppure c’è chi non si arrende
«Cosa cosa? Vorreste soldi per costruire aerei? I più tecnologici del mondo? A Monopoli? Ma ragazzi!» Si morderebbero la lingua, oggi, quei direttori di banca che liquidarono così Luciano Belviso e Angelo Petrosillo. Anzi, i responsabili delle filiali delegavano spesso il fastidio ai sottoposti: «Vogliono fare aerei? Sbrigatela tu, non ho tempo». La sera era un argomento di conversazione a cena: «Oggi sono venuti due ragazzi che vorrebbero costruire aerei. Cose da pazzi...».
«Ne girammo quarantadue, di banche. Ascoltavano. Sorridevano...» Tre anni dopo, nel maggio 2013, la giunta pugliese emetteva un comunicato trionfante: «È una grande soddisfazione per la Regione Puglia che la Blackshape abbia ricevuto il Flieger Magazine Award per il miglior aereo del mondo 2013 nella categoria ultralight. È una bella storia dell’eccellenza pugliese che, nata dall’esperienza di “Bollenti spiriti”, vola alla conquista dei mercati internazionali di riferimento». (...) Fatto sta che nell’estate 2013 gli aerei costruiti sulla strada che da Monopoli porta verso Bari e venduti a circa 250.000 euro l’uno in 24 paesi diversi erano già 53, lo stabilimento aveva già triplicato gli spazi e i dipendenti da 2 erano saliti a 70, per metà donne che godono di orari flessibili. Tutti molto preparati, molto giovani, molto motivati. (...)
A Grottaglie, a una cinquantina di chilometri da Monopoli dove nascono gli aerei ultraleggeri ipertecnologici di Luciano Belviso e Angelo Petrosillo, per esempio, un colosso come la Boeing costruisce accanto ai laboratori della celebre ceramica col galletto lo stabilizzatore orizzontale, la sezione centrale e la centro-posteriore della fusoliera, cioè quasi un sesto dell’intera struttura del 787 Dreamliner, indicato dalla Ue come «il più innovativo velivolo passeggeri della storia dell’aviazione civile». (...) Pochi numeri dicono tutto. Nuovi investimenti per 509 milioni a partire dal 2014, aumento da 7 a 10 «coppie» di fusoliere al mese, nuove assunzioni col risultato che i dipendenti iniziali (607 compreso lo stabilimento di Foggia) sono triplicati arrivando nel 2013 a 1700. Con l’obiettivo ambizioso, su tempi più lunghi, di andare a costruire con Airbus anche varie componenti di un nuovo modello di «Atr regionale» da 90 posti, un progetto da un miliardo e duecento milioni. A dispetto della Grande Crisi. (...)
Ed è quello il bivio davanti al quale è il Mezzogiorno. Da una parte c’è l’antico andazzo della sopravvivenza ricattata, delle clientele, dei favori pietiti in cambio di voti, dei cantieri che non chiudono mai perché «i soldi girano finché un cantiere è aperto», dei rapporti ambigui con le mafie, dei rancori per la «conquista piemontese» e di rimpianti per l’inesistente età dell’oro borbonica: «Ah, quanto eravamo ricchi!». Una realtà sempre più insopportabile per milioni di meridionali in gamba, preparati, puliti, perbene, frustrati dal senso di stagnazione, di declino, di immobilismo. Dall’altra l’alternativa: ricominciare. Scommettere su se stessi. Sui propri figli. Sulle proprie figlie soprattutto. Tornare a sognare.