Giovanna Zincone, La Stampa 25/11/2013, 25 novembre 2013
IMMIGRATI, UN EGOISMO RAZIONALE
Molti degli italiani che guardano all’immigrazione con ostilità sono mossi da sentimenti egoistici, dal timore di essere privati di qualcosa. Si tratta tuttavia di un egoismo incapace di valutare razionalmente cosa giovi ai propri interessi, al benessere del sistema economico italiano. Cito tre dati elementari, riportati nel Dossier Statistico Immigrazione 2013 a cura dell’Unar (Ufficio Nazionale contro le Discriminazioni Razziali): gli immigrati rappresentano il 7,4% dei residenti in Italia, il 10% degli occupati, il 7,8% delle imprese.
Significano quindi consumi, realtà produttive, servizi, in particolare servizi alle famiglie. Va ricordato però a tutti noi che gli immigrati non sono un fattore qualunque, sono persone. Possono evolvere, stare meglio, far stare meglio il paese in cui tutti viviamo. O, al contrario, possono precipitare in gravi difficoltà, non aiutarci a contrastare il declino, costituire anzi un problema in più.
Se adottiamo un’attitudine egoistica nei confronti della immigrazione, facciamo almeno in modo che si tratti di un egoismo razionale. Ci occuperemo così con discernimento del futuro italiano in genere. Faccio qualche esempio. Siamo un popolo di vecchi e gli immigrati stanno dando una mano a ringiovanire la nostra popolazione: i figli di stranieri rappresentano nel 2012 quasi il 15% dei nuovi nati. Tuttavia, l’esperienza dei paesi di antica immigrazione insegna che le famiglie di origine immigrata, con il tempo, si assimilano a quelle autoctone. E fare figli in Italia non conviene. Nel nostro Paese, infatti, sono proprio le famiglie numerose che corrono maggiori rischi di povertà, e tra gli immigrati le famiglie povere sono più del doppio di quelle italiane. Sono quindi scarse le speranze che gli immigrati ci aiutino in futuro a essere meno senili, se non cambiamo rotta. L’Italia usa solo l’1,1% della proprio bilancio per le famiglie e i minori: in Europa solo Grecia e Lettonia fanno peggio. Parlamento e Governo si sono impegnati a fare di più, vedremo.
Un altro aspetto sul quale l’immigrazione può incidere in positivo o in negativo a seconda delle politiche adottate è il capitale umano, le competenze di cui l’Italia può disporre. Non basta che ci siano più bambini, occorre che siano meglio istruiti che proseguano negli studi, acquisendo da adulti gli strumenti necessari a interagire con le complessità del presente e del prossimo futuro. Secondo l’ ultima classifica dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), gli studenti del nostro Paese non ottengono buoni risultati neppure nella scuola primaria, in un punteggio che va da 0 a 500 raggiungiamo 235 punti nelle competenze linguistiche (11 in meno della media dei paesi avanzati) e 229 in quelle numeriche (8 in meno). Sulle capacità reali è un disastro: siamo ultimi per comprensione dei testi, penultimi sia in matematica, sia per capacità di cavarsela con le nuove tecnologie. Non solo non impariamo abbastanza, ma restiamo pure indietro per livelli di istruzione raggiunti. Nel 2011 l’Italia si colloca all’ultima posizione nella graduatoria dell’Unione Europea, per numero di giovani tra i 30 e i 34 anni che hanno una laurea o un titolo equivalente. Il nostro 20,1% è un valore inferiore di oltre 14 punti rispetto alla media Ue a 27 e ben lontano dall’obiettivo del 40% indicato da «Europa 2020». La Spagna, ad esempio, l’ha già raggiunto. Come se non bastasse esportiamo capitale umano: tra coloro che hanno lasciato l’Italia nel 2011, il 22% ha una laurea, il 24% è iscritto all’università.
Può aiutarci l’immigrazione a fare meglio? Per ora no. Nel 2011 tra i residenti di età compresa tra i 15 i 64 anni i laureati sono il 9% degli immigrati e il 13% degli italiani. Per i paesi da cui provengono quei laureati rappresentano una risorsa preziosa, che da noi però va sprecata. Il 61% dei lavoratori stranieri svolge un lavoro inferiore alla sua qualifica, La scarsa capacità di attrarre immigrati molto istruiti, la sotto utilizzazione dei qualificati si deve al fatto che il nostro sistema economico è a sua volta arretrato, prevede cioè una notevole quantità di mansioni per le quali non chiediamo alti livelli di istruzione:pensiamo all’esercito delle badanti e delle colf straniere. Attrarre immigrati molto qualificati in Italia quindi è difficile. Se vogliamo che arrivi un maggior numero di bravi, serve un sistema economico più ambizioso. Ma il circolo virtuoso si può avviare anche all’incontrario: quelle stesse desiderabili produzioni sofisticate che attraggono i bravi lavoratori sono a loro volta attratte da bacini dove si concentra forza lavoro molto qualificata. Quindi produrre bravi lavoratori in Italia può aiutare a spezzare il cerchio. Già oggi alcune Università e politecnici italiani producono e attraggono ottimi studenti. Bisogna agire in modo che il fenomeno si espanda e si consolidi. Bisogna fare sì che quegli studenti stranieri si fermino. È stato utile aver semplificato i rinnovi dei permessi di soggiorno per motivi di studio, aver prolungato di un anno il permesso per trovare lavoro a studi conclusi, è bene incoraggiare le Università a togliere il requisito della cittadinanza per le borse di studio, è bene aver semplificato la procedura di riconoscimento dei titoli di studio ottenuti all’estero. Ma è tutto il nostro sistema di istruzione che ha bisogno di profonde riforme, ce lo hanno ricordato in tempi recenti i Ministri Giovannini e Carrozza, il Governatore Visco. La strada da seguire è nota: cominciare ai insegnare ai molto piccoli, quando si costruiscono le basi logiche e linguistiche, investire sulla qualità degli insegnanti. La ricetta va adottata a maggior ragione per gli studenti di origine immigrata.
Quelli nati in Italia se la cavano più o meno come gli italiani, lo scarto è piccolo. Questo non significa che su di loro, come su tutti i piccoli studenti in difficoltà a causa del contesto, non si debba intervenire tempestivamente. Una strategia intelligente è quella già adottata: investire nei nidi e nelle materne dove sia il disagio economico, sia gli insuccessi e gli abbandoni scolastici sono più frequenti, utilizzando allo scopo anche i fondi europei disponibili. Se vogliamo contrastare lo svantaggio culturale, non basta includere però le quattro regioni meridionali incluse nell’obiettivo convergenza dell’Unione Europea, non dobbiamo dimenticare le zone degradate di tante città del Nord, dove risiedono pure famiglie immigrate. Non dobbiamo trascurare questo aspetto cruciale nella ricostruzione della massacrata Sardegna, che soffre da tempo di un svantaggio educativo.
Per gli studenti di famiglie immigrate lo svantaggio rispetto ai nazionali aumenta se non sono nati in Italia: crescono i ritardi e gli abbandoni scolastici, peggiorano i voti. Volendo affrontare questo problema ci si scontra però con un’altra categoria di persone: gli altruisti irrazionali. Lo abbiamo visto anche di recente quando in una scuola media di Bologna si è riproposta la soluzione di una classe riservata a studenti stranieri che non conoscono ancora abbastanza l’italiano. Le classi di inserimento ci sono in tutta Europa e nessuno si lamenta. Anzi, se vogliamo aiutare i ragazzi a integrarsi, possiamo cominciare a farlo nei paesi di origine, con quelli in attesa di ricongiungimento familiare. Dovremmo investire nell’insegnamento a distanza, con strumenti telematici. Questo abbasserebbe i costi e consentirebbe di utilizzare su bacini di utenti più ampi insegnanti specializzati per varie fasce di età nell’ italiano come seconda lingua. Un po’ più di altruismo razionale, meno ideologico gioverebbe in generale al nostro Paese.