Gianni Riotta, La Stampa 25/11/2013, 25 novembre 2013
UN DUELLO DI 60 ANNI SEGNATO DAL GOLPE CONTRO MOSSADEGH
Nel 1953, a Teheran, l’uomo d’affari americano James Lockridge gioca a tennis su un campo all’interno dell’ambasciata turca, bravo e simpatico a tutti.
Ospiti e connazionali restano però un po’ sorpresi quando Lockridge, frustrato per un errore banale sottorete, grida irritato «Oooh Roosevelt!». Che c’entra mai la dinastia dei due presidente americani, Theodore e F. D. Roosevelt, con un dritto mal giocato? «Nulla - ride Lockridge - sono un repubblicano estremista, quando impreco me la prendo con F.D.R. quattro volte democratico alla Casa Bianca». Sorrisi, la partita continua.
James Lockridge, per la passione del tennis, mette a rischio la sua missione segreta, si chiama in realtà Kermit Roosevelt, è nipote del presidente Theodore e si trova nella capitale iraniana come agente Cia, per orchestrare, su mandato del capo Allen Dulles e del riluttante presidente Eisenhower, il colpo di stato contro il presidente eletto Mohammad Mossadegh.
Ci riesce alla perfezione, in collaborazione con lo spionaggio inglese. Compra i direttori dei giornali, organizza false manifestazioni «comuniste» del Tudeh, «Viva Mossadegh, Viva l’Urss, a Morte l’America» e persuade gli ayatollah a denunciare il laico, nazionalista e democratico presidente come «ateo» nelle moschee. Quando Lockridge-Roosevelt rimette lo Shah Reza Pahlevi sul trono, l’imperatore gli dice «Ho vinto grazie a Dio, al mio popolo, all’esercito e a lei».
Molti osservatori, lo scrittore Stephen Kinzer per esempio nel suo bel saggio «All the Shah men», datano la crisi lunga 60 anni tra Teheran e Washington alla tragedia del colpo di stato contro Mossadegh, sino alla morte nel 1967, poi esiliato nella sua fattoria. Lo Scià reprime ogni dissidenza, sia degli islamisti sciiti che poi porteranno alla Repubblica di Khomeini nel 1979 sia dei laici nazionalisti alla Mossadegh, come il primo presidente Abolhassan Banisadr, e si aliena la popolazione. L’odio contro di lui diventa odio contro il suo sponsor, «Amrika«, dai religiosi visto come «il grande Satana» materialista e antiislamico, dai laici secolari come potenza coloniale, infida e nemica della ricchezza e dello sviluppo dell’Iran, perché legato a filo doppio agli alleati Israele e Arabia Saudita. Contro Israele Teheran ha l’animosità dei musulmani in Medio Oriente, la divide dai sauditi il millenario scisma Sunniti-Sciiti.
Fino all’accordo preliminare raggiunto sabato notte a Ginevra sul nucleare da Iran, Usa, Europa, Russia, Cina, Germania, Francia e Gran Bretagna, niente arricchimento dell’uranio in chiave militare, meno sanzioni contro il regime, le antiche correnti di odio tra Washington e Teheran hanno avvelenato il negoziato, andato avanti in segreto tra Usa e Iran, faccia a faccia, per mesi. Ma, alla fine, proprio le ancestrali trame del Medio Oriente hanno aperto al presidente Obama e al suo collega neoletto Rohani, la strada dell’intesa. Rohani, e l’astuto ministro degli esteri Javad Zarif abile sui social media come @jzafir, sapevano di dover stringere un accordo. Rowhani è stato eletto, dopo gli anni del rancore populista di Ahmadinejad, dal ceto medio impoverito, dai mercanti del bazar, straordinaria classe che prospera in Iran da millenni, ma che il regime rovina.
L’economista Mohammad Jahan Parvar calcola che sotto lo Shah, 1955-1978, l’economia iraniana cresceva del 6,18% l’anno, arrivando a essere quasi tre volte più ricca della Turchia e vicina al sorpasso della Spagna, grazie a riserve di petrolio seconde a quelle dei sauditi. Khomeini, persuaso che «l’economia è materia per gli asini», affossa il paese dietro la Turchia e oggi la ricchezza di Teheran non raggiunge un terzo della Spagna.
Rohani ottiene dal leader supremo Khamenei semaforo verde per il negoziato, presentandogli i dati della realtà, sintetizzati dallo studioso Afshin Molavi. La Turchia, gli Emirati Arabi, i sauditi, vantano aziende globali, l’Iran no. La minuscola Dubai ha fatto precipitare del 15% la valuta iraniana, il rial, annunciando che le sue banche non l’avrebbero più trattato. Nella buona stagione tecnici, intellettuali, professionisti si imbarcano su giunche malridotte e emigrano in Australia, dove li attendono detenzione, interrogatori e poi confino in località remote. «La Cina non è diventata potenza con il nucleare, ma con l’economia» è l’argomento di Rohani per Khamenei che, per ora, funziona.
Anche Barack Obama è stato mosso da ragioni, pressanti, di casa. La débâcle estiva sulla Siria e la riforma sanitaria, la popolarità al 40%, lo smarrimento della sua amministrazione andavano fermati con un successo, e l’accordo con l’Iran lo è. I suoi rivali in Congresso proveranno a umiliarlo con nuove sanzioni contro Teheran, ma già il saggio Leslie Gelb del Council on Foreign Relations li ammonisce «Non scatenate i cani della guerra».
Il sequestro dei diplomatici americani a Teheran, l’umiliazione del blitz fallito di Carter, la guerra sanguinosa Iran-Iraq, il canto perenne in strada «Morte all’America», il sostegno di Teheran a Hezbollah e Assad in Siria, l’illusione Usa che Saddam Hussein in Iraq potesse «contenere» gli ayatollah, degenerato poi nell’attacco a Baghdad, mezzo secolo di rispettivi passi falsi in una coreografia di morte e distruzione, muovono tutti dall’animosità seguita al golpe di Kermit Roosevelt contro Mossadegh. Ora il premier israeliano Netanyahu tuona contro il patto, ma -con maggiore pragmatismo - la Borsa di Israele schizza in alto, prevedendo pace, stabilità e buoni affari. I sauditi rivendicano il proprio programma nucleare, magari comprandolo chiavi in mano dal Pakistan, che si diede la bomba proprio grazie ai finanziamenti segreti sauditi. Teheran rinvia il nucleare militare - vedremo se per sempre - ma ottiene meno sanzione e il ruolo di leader regionale. La strage all’ambasciata iraniana a Beirut segnala che il cammino non sarà incruento.
Se Eisenhower, 60 anni fa, avesse tenuto duro contro Churchill e Dulles e detto no al golpe di Kermit Roosevelt molto sangue, molto odio, molta sofferenza si sarebbero evitati: vedremo ora se Rowhani e Obama hanno solo «legato» o infine «ammansito» i «cani della guerra» Usa Iran.