Paola Piacenza, Io Donna 23/11/2013, 23 novembre 2013
CARLO VERDONE: “ROMA È SENZA RIMEDIO. MA A CINECITTÀ CI PENSO IO”
Oltre il cancello dei Cinecittà studios, il cartello improvvisato indica Servizio pubblico. La trasmissione di Michele Santoro si gira qui, nel teatro 3. Poco distante, il mitico studio 5, quello dei record, per dimensioni e per i celebri locatari. Qui Federico Fellini faceva transitare il transatlantico Rex di Amarcord. Dal cinema d’autore al talk show. Dagli oltre 3000 film che fanno la sua storia, alla dismissione annunciata, minacciata, sempre scongiurata della mecca romana del cinema. I viali alberati che percorrono i 40 ettari della città nella città sono deserti. Il fervore si concentra nello studio 15: qui si allestisce il set di Sotto una buona stella, il film che Carlo Verdone manderà in sala per san Valentino e che, sin dal titolo, invita all’ottimismo. Oltre a lui, in questi giorni, solo Alessandro Genovesi ha preferito gli studios che hanno ospitato Gangs of New York e Ben Hur, alle lusinghe dei set rumeni e boemi, dei crediti d’imposta e delle maestranze a basso costo.
Il set di Sotto una buona stella, progettato dallo scenografo Tonino Zera, è per gli standard italiani «di solito, due camere e cucina», un palazzo di Versailles di 600 metri quadrati, «lussuoso, al limite del kitsch». Due case contigue: quella di Carlo Verdone tutta cuscini tigrati, colonne e capitelli e, più modestamente, quella di Paola Cortellesi, con le cassette della frutta a fare da scaffali e il libro di Fausto Bertinotti in bella vista. C’è un pianerottolo dove avvengono incontri e due terrazze galeotte affacciate sulle architetture razionaliste dell’Eur, da ricreare poi digitalmente in post-produzione.
Sul set si avvicendano macchinisti e attrezzisti di consumata esperienza. Igino Fabrizi, elettricista, una vita passata a Cinecittà, esordio nel 1967 «ma da comparsa, facevo il figlio di Giuliano Gemma» ricorda i fasti e le grandeur: «Ho lavorato a C’era una volta in America e a Il nome della rosa. Quando Verdone ci ha chiamati siamo corsi: è stato come, da bambini, mettere le dita nella nutella».
Carlo Verdone, vuole salvare Cinecittà?
Mi sono sempre battuto per questo posto. Conosco gente che sbandiera le raccolte di firme, ma che a Cinecittà non c’è mai stata, o magari una volta sola in trent’anni di lavoro. E poi guardi, a De Laurentiis (Aurelio, il produttore del film, alla seconda esperienza con Verdone, ndr) forse poteva convenire affittare una casa invece di costruirla dal nulla, o prendersi i finanziamenti delle film commission. Ma sa che qui ci sono lavoratori straordinari che tutto il mondo ci invidia. Sono molto più grato io a loro che loro a me.
Eppure diceva di non poterne più di Roma, «rimasta la città di Fellini e Pasolini ma senza la loro poesia». Era tentato di andare a girare altrove. Un film di Verdone in Friuli o in Piemonte? Lo pensava davvero?
Confermo tutto. E la tentazione è stata forte. Roma è una città unica, bellissima, ma stuprata dalla maleducazione di chi la abita, dall’assenza di regole, dal caos.
Quando la incontrai alla vigilia delle elezioni, si augurava per Roma «un sindaco con gli attributi». Alla fine com’è andata?
Roma è ancora una gabbia di matti. La chiusura dei Fori è stata un disastro. Gli autisti del film per arrivare al quartiere Monti, nonostante la mappa, si sono persi. Dopo questa bella trovata, voglio vedere dove la nuova amministrazione andrà a parare.
Si indigna?
In realtà no, non ho più nemmeno voglia di parlare di politica, a che serve? Leggevo i quotidiani stamattina: “Allarme italia, la Spagna esce dalla crisi e noi no”. Eravamo un grande paese e stiamo insieme alla Grecia. Un cittadino intelligente dovrebbe insorgere. Un governo come questo, che pensa solo a salvarsi, non può fare le cose giuste.
Beppe Grillo, il collega convertito alla politica, anche lui vorrebbe l’insurrezione.
Guardi, io a Grillo voglio bene, ma faccio molta fatica a capirlo.
Lei a scendere in campo non pensa?
Mi sento più imprenditore: so come far marciare quella micro-economia che dipende da me. Oggi se fai 6-7 milioni di euro è un trionfo. Dieci anni fa De Laurentiis mi avrebbe cacciato a calci nel sedere.
È cambiato tutto. Quella di Checco Zalone, con 1200 copie, è quasi un’occupazione militare.
Lo so, non si dovrebbe fare così, ma io Checco lo capisco. Certo, è un’anomalia che un film da solo debba salvare tutto. E poi, diciamolo, un ricambio generazionale ci vuole.
Il suo film parla anche di questo: lei è un padre un po’ degenere di due figli trascurati, tutto il contrario della realtà...
Il personaggio non assomiglia per niente a me. Un padre che i figli non se li è mai filati, divorziato e con una compagna più giovane. Perché quelli coi soldi hanno sempre le fidanzate giovani. Ma questa dopo 48 ore scappa a gambe levate.
Per fortuna sul pianerottolo arriva Paola Cortellesi. Happy end?
Questo film l’ho preso seriamente. Che cosa si aspetta il pubblico da me? Buonumore, certo. Ma non solo. Per questo ho voluto fare una commedia di una qualità mai vista in italia. Il montatore, quando ha visto il girato, mi ha detto: «Carlo, è pure troppo».