Luca Rossi, Libero 23/11/2013, 23 novembre 2013
I PRIMI 80 ANNI DELLA MOKA
La moka compie ottant’anni. Col suo disegno classico, la caldaia annerita, ilmanico di plastica che si è sciolto fino ad assumere le sembianze di una stalattite, il gorgoglio del caffè che sale senza schiuma, nero e lento. Lo schifoso caffè della nonnache non ha mai imparato a usare la moka secondo le regole dell’Omino coi baffi: «Sembra facile! Sisisi.Cosa ci vuole? Un po’ di attenzione, tanta pazienza e un po’ di pratica». Oggi, se le chiedi un caffè, la nonna ti porta un espositore con tutti i cru Nespresso: «Cosa ti faccio? Vuoi un Fortissio, un Còsi, un Linizio lungo o un Fortissio?» Tu, nel panico da scelta, senti una voce che non può essere la tua chiedere: «Non hai più la moka?».
Per amanti e denigratori del mito inossidabile, si terrà dal 27 novembre all’8 dicembre presso il palazzo della Permanente di Milano l’esposizione La moka si mette in mostra, ottant’anni di un’intuizione geniale diventata mito.
Ma George Clooney saprà poi cos’è una moka? Cosa penserà quando vede la sua domestica di Lallio mettere quello strano oggetto metallico sul fornello? Perché la Moka è affare italiano, è patrimonio nazionale. Gli americani pensano che noi italiani beviamo solo caffè espresso e che abbiamo avuto sempre a casa le macchine automatiche che George pubblicizza.
Rivoluzionaria ma borghese, Moka Bialetti è una distinta signora con il gusto per l’Art Decò, nome esotico e cognome importante, nata ottant’anni fa in provincia di Verbania.
Il padre della Moka, l’ingegnere esperto fonditore Alfonso Bialetti, era solito addormentarsi con un sigaro tra le labbra e stringendo al petto il pezzo più difficile realizzato quella giornata. Una sera di ottant’anni fa Alfonso Bialetti andò a letto con la Moka.
Rifinita in ogni parte, con un’attenzione ai dettagli che oggi riconosciamo nei prodotti di Apple. Oggetti belli nella loro sintesi tra funzionalità ed essenzialità per cui siamo disposti a pagare cifre esorbitanti. Nella mente di Bialetti quello strano oggetto a pianta ottagonale che cullava nel sonno doveva invece essere economico, bello e alla portata di tutti. Chiunque avrebbe potuto prepararsi un caffè buono come al bar senza macchine costose e ingombranti e senza la macchinosità della cuccuma napoletana. La democrazia del caffè. Alfonso Bialetti aveva a lungo osservato la moglie fare il bucato con la lisciveuse una pentola riempita con acqua, bucato e lasciva. Sulla base della struttura la moglie di Alfonso avvitava un coperchio forato e dotato di camino. L’ebollizione dell’acqua faceva salire il detersivo e l’ac - qua nel camino e lo faceva tornare ai panni attraverso i fori nel coperchio. Una pentola a pressione per il bucato. L’intuizione di Bialetti fu di applicare questo principio a un oggetto semplice, in alluminio e bachelite. Con queste idee Bialetti s’addormentava e sognava di mettersi sulle orme del Candido di Voltaire e di bere la bevanda scura della città di Mokha.
La storia della Moka e con lei della Bialetti da piccola fonderia a colosso industriale è fatta di sogni, audaci piani industriali e fortunate campagne pubblicitarie. Protagonista assieme alla Moka è il flemmatico omino Bialetti, star dei jingle di Carosello ideati da Paul Campani nel 1954 e ispirato alla figura di Renato Bialetti. Nel 1956 il pubblicitario Aldo Beldì, che già aveva partecipato alla realizzazione dell’omino baffuto, realizza una moka gigante da cui esce acqua scura profumata al caffè ed esposta alla fiera campionaria di Milano.
Oggi quel pressofuso di alluminio che Alfonso Bialetti si portava a letto è esposto nel Design Museum della Triennale di Milano e al Moma di New York, dove è guardato come fosse un frammento dell’ufo di Roswell.
Ottant’anni di onorata carriera e la moka è ancora la regina del piano cucina e come Madonna non ha nessuna intenzione di cedere lo scettro alla reginetta del pop di turno, finché tengono le autoreggenti. Se vincere la battaglia contro la cuccumella, la caffettiera a stantuffo o il bollitore americano è stato facile, la guerra termonucleare contro la Nespresso si annuncia durissima. Ma la signora Moka, diventata maggiorenne in piena Guerra Fredda, conosce la sottile arte della diplomazia. Così ecco che accanto all’inossidabile Moka Express, troviamo la Moka Cream che fa il cappuccino e la Orzo Express che fa il caffè d’orzo. C’è poi la Mokona Bialetti, macchina a cialde travestita da moka. Se poi non bastassero i prezzi bassi perché non dare la possibilità di personalizzare la moka come ha fatto Coca Cola e Nutella? Chi di noi non vorrebbe vedere il proprio nome inciso su un’opera d’arte? E l’omino Bialetti se la ride sotto i baffi.