Aldo Grasso, Corriere della Sera 23/11/2013, 23 novembre 2013
SE LA CULTURA IN TV NON È DI CASA IN RAI
Più che un film è stato un caso internazionale, uno di quei piccoli miracoli che ogni tanto succedono anche nel mondo dei media e introducono a un territorio magico. Sky Arte ha trasmesso Sugar Man (Searching for Sugar Man) un film documentario dello svedese Malik Benjelloul che racconta l’incredibile storia del musicista folk di Detroit Sixto Rodriguez, sconosciuto profeta musicale degli anni Settanta, scomparso dalle scene in misteriose circostanze (venerdì, ore 21.10).
La vicenda sfiora l’assurdo: Rodriguez, cantautore statunitense di origini messicane, incide due dischi che gli esperti musicali giudicano di grande livello («meglio di Bob Dylan») ma il pubblico li ignora; così la sua casa discografica lo abbandona. Il cantante sparisce e continua a fare la vita di prima, il muratore, il manovale. I suoi dischi però hanno un successo incredibile in Sud Africa, nel clima dell’Apartheid. Rodriguez diventa una leggenda, il suo culto è diffuso fra i giovani e le sue canzoni diventano una spinta alla ribellione. Ma lui non ne sa nulla. Solo la pazienza di due ammiratori riporta alla luce questa favola moderna.
Girato con un budget così limitato da costringere il regista a concludere alcune delle riprese utilizzando il suo iPhone, Sugar Man è lo straordinario ritratto di un artista che ha mancato l’appuntamento con la gloria in patria, ma è anche la testimonianza di come il destino di un perdente non abbia però mancato l’appuntamento con il destino vincente di un popolo in rivolta.
Il film è un esempio di come si possa fare cultura anche in tv e Sky, offrendo Sky Arte e Classica (canali 130 e 131), ha cominciato a fare sistema in un settore trascurato dalle altre reti. Ha ancora senso dire che Sugar Man sarebbe stata un’offerta ideale del servizio pubblico? Evidentemente no, anche se è un peccato doverlo ammettere.