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 2013  novembre 23 Sabato calendario

ANTONIO RICCI: «IL MIO AMICO BEPPE? VINCERÀ QUANDO TORNERÀ A FARE IL COMICO»


Ha visto riconosciuto dalla Corte europea il proprio diritto alla libertà di informare, a conclusione della causa «Antonio Ricci contro Italia», nata dalla trasmissione su «Striscia» di un fuorionda per cui era stato condannato dai nostri giudici. Ora un documentario (in onda su Canale 5 il prossimo 4 dicembre) e una collezione di dvd consacrano, trent’anni dopo, «Drive In». A torto da alcuni confusa con «Colpo grosso», la trasmissione di Ricci creava un linguaggio grazie a talenti come Giorgio Faletti e faceva il verso agli anni Ottanta: il paninaro, la modella che straparlava in pugliese stretto, il bocconiano dall’accento calabrese. «Leggo che ora Berlusconi vuol sacrificare la figlia Marina alla politica. Ma se all’epoca avesse sacrificato una delle sue tre reti alla cosca rivale, si sarebbe evitato vent’anni di guerra, anche giudiziaria — dice Ricci —. A sua insaputa, Italia Uno era già la prima rete di sinistra (a RaiTre non c’era ancora Guglielmi): gli autori di sinistra lavoravano tutti lì insieme ai vignettisti di riferimento Staino, Ellekappa, Disegni e Caviglia. Col senno di poi, un grave errore strategico. Berlusconi pensò invece di eternarsi come Trino, accettando l’abbraccio mortale (ieri come oggi) di Formigoni. Infatti tutto andò in malora nel 1988 quando il coro di Comunione e liberazione minacciò un provvedimento all’Autorità giudiziaria, bloccando la trasmissione “Matrioska”...».
La storia di Ricci parte dalla Liguria degli ultimi anni 60. «Ad Albenga ci eravamo specializzati nel salvare i Fiàt, come chiamavano i piemontesi che scendevano in spiaggia senza saper nuotare. Quando arrivava l’aereo che sganciava i paracadutini con gli omaggi tipo lo shampoo Dop, i Fiàt si gettavano in acqua per recuperarli, spingendosi dove non toccavano. Pur di non abbandonare le ambite prede, andavano a fondo. Noi stavamo al largo con il nostro gozzo, e ne salvammo a decine. Una sera raccontai questa storia a Cuneo. In fondo alla sala si alzò una mano: “Allora è lei che quella domenica mi salvò la vita…”».
«Giravo sempre con la chitarra, suonavo anche in treno, per i pendolari ero una star. A Genova avevo conosciuto De André, stupito di ricevere diritti d’autore da posti per lui esotici come Stellanello o Diano Borello: il mio gruppo era rock ma, per i patiti del liscio, come valzer suonavamo la sua “Ballata del Miché”. Un giorno la cameriera del bar dell’università di via Balbi mi propose di suonare anche nel locale dove arrotondava nei weekend, il Jolly Danze. Era una baleraccia enorme, che occupava i sotterranei di due teatri. Lì conobbi Beppe Grillo, che chiamavamo Giuse. Era il 1970. Io ero impegnato a sinistra, cantavo nelle manifestazioni contro la guerra in Vietnam. Lui faceva spettacolo per la campagna elettorale di Alfredo Biondi, l’avvocato liberale. Lo slogan era: “Né rossi, né neri; Biondi”. La politica non gli interessava, però era già un tipo tosto, coraggioso. Crozza è bravissimo, ma a Sanremo si è bloccato perché non è un cabarettista, è un attore. Non ha la corazza di bestiacce tipo Benigni, Fiorello, Bisio. Gente da battaglia. Pensi che una volta con Grillo ci esibimmo in una bocciofila di Savignone, nell’entroterra ligure. Ci misero nell’unico angolo illuminato: in fondo alla pista, al posto del boccino».
Poi Ricci si spostò a Milano, al Derby. «Comandava Bongiovanni, lo zio di Abatantuono. Un uomo dolce e spietato. Ti faceva i provini di pomeriggio, se gli piacevi ti lasciava andare in scena, a una condizione: “Se non va, io spengo la luce e tu fuori”. Non so a quale stadio fu eliminato Grillo. Fatto sta che si vendicò atrocemente. Fece credere che sarebbe arrivato al Derby Woody Allen, gratis, per una campagna in favore dei pellerossa, a patto che all’ingresso, Bongiovanni montasse tre tende indiane... A scoprire Giuse fu Baudo. Arrivò in un altro cabaret di Milano, la Bullona, in cerca di talenti. Era l’unico spettatore. Grillo fece lo spettacolo solo per lui. Baudo ne fu folgorato, lo ribattezzò Beppe e lo chiamò in Rai. Ma lui aveva un repertorio limitato: canzoni di Del Prete, Brel, Pippo Franco, brani di Walter Chiari, gli serviva un autore. Così venne al Derby, io ero sul palco, incurante del pubblico con ampi gesti mi fece capire che doveva parlarmi con urgenza: “Aiutami, se no mi scoprono e sono rovinato”».
«Andammo ad abitare insieme a Roma. Prima in un residence, dove però si era rotto il riscaldamento. Faceva un freddo cane, ci scaldavamo col phon e facendo bollire pentole piene d’acqua. Baudo ci invitò a casa sua. Come usciva indossavamo i suoi vestiti, gli spettinavamo i parrucchini e io prendevo ispirazione per i futuri sketch del “Drive In”».
«Vennero le elezioni del 1983. Vespa conduceva la diretta, Grillo faceva gli intermezzi satirici e io gli scrivevo i testi. Ne approfittammo per attaccare Craxi che al comizio di Milano si era presentato con Armaduk, “cane socialista”. “Al Polo Armaduk si è mangiato l’antenna della radio di Fogar. I socialisti si stanno mangiando le antenne delle tv di tutta Italia...”. Quando arrivò la notizia del crollo della Dc, Giuse rubò dal fondale la gigantografia di De Mita. Vespa ci guardava con odio. Alla fine Mario Maffucci, il capostruttura, ci intimò: “Voi due non muovetevi, che Emmanuele Milano, il direttore di RaiUno, vi deve parlare”. Fummo salvi perché dai piani alti arrivò la notizia che aveva telefonato Pertini, dicendo che non si era mai divertito tanto in vita sua».
«Pertini conosceva bene mio nonno, un vecchio socialista con il papillon, la cui sorella Paquita aveva fondato la sezione del Pci di Albenga e un’altra sorella era stata arrestata durante una sommossa di donne che protestavano contro la Grande guerra. Noi ragazzi di Albenga, anche se non eravamo socialisti, andavamo sempre ai comizi di Pertini: erano cabaret puro. Leggenda narra che a Savona, finita la guerra, lasciò la fidanzata dal palco, annunciandole che tra “le coppie travolte dalla violenza nazifascista” c’erano anche loro. Un’altra volta, a Borghetto Santo Spirito, fu interrotto da un fischio. Gridò: “Ecco i soliti provocatori fascisti…”. Era stato un bambino: “Sandru, u l’è un fieu…”. E lui, indignato: “Non è un fascista, ma lo diventerà!”. Sapeva parlare alla pancia della gente. Anche Natta, durante i suoi comizi, per essere più vicino al popolo, si toglieva la giacca e si rimboccava le maniche. Ma sulla sua mancanza di carisma il “Drive In” pullula di battute. C’è una puntata esemplare dove alle considerazioni di Beruschi Greggio risponde “Lei è di un qualunquismo aberrante, potrebbe fondare un partito” e gli rifila il kit del candidato. Io nutro un sano ribrezzo per i partiti carismatici, ma dobbiamo prendere atto che siamo un Paese ipocrita, mafioso e cattolico che per pigrizia attende il Pupazzo della Provvidenza per risolvere i problemi. Oggi come ieri chi si butta in politica, e basa sul carisma il suo successo, non può fare a meno dell’“aberrante qualunquismo”».
Vale anche per Grillo? «Grillo è un provocatore e sono anni che fa politica, che si occupa di ecologia, di spreco del denaro pubblico, di pubblicità travestita da informazione. La domenica delle elezioni lo chiamai, a urne ancora aperte, e lui mi disse alla virgola i voti che avrebbe preso: 25,5 %. Ma la vera vittoria di Grillo sarà quando il movimento camminerà con le proprie gambe e lui tornerà a fare il comico. Se ci riuscirà lo scopriremo solo vivendo». Renzi come le sembra? «Del leader carismatico ha tutte le caratteristiche. È un venditore straordinario, al livello di Berlusconi giovane. Ma molto dipende dalla qualità del suo prodotto. E del suo aspirapolvere non sappiamo ancora nulla. Sappiamo che troppi sono saliti sul suo carro, appesantendolo. Nei prossimi dieci anni il mondo correrà come un fulmine, non possiamo inseguire con la cyclette» .
Aldo Cazzullo