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 2013  novembre 23 Sabato calendario

WOODY ALLEN – "RACCONTO L’AMERICA DELLA CRISI"


Nella maschera triste che è il viso di Woody Allen, l’euforia s’intuisce dallo scintillio degli occhi rimpiccioliti da lenti ogni anno più spesse. Ti accoglie in un salottino del glorioso hotel Le Bristol. Un paio di ritrovati successi hanno sollevato dalle sue spalle gracili il peso di un decennio opaco, prolifico quanto alterno nei risultati. Midnight in Paris ha scalato vette d’introiti sconosciute al cineasta newyorkese (56 milioni di dollari in Usa, 151 nel mondo) e in Blue Jasmine (in sala il 5 dicembre per Warner) l’Allen migliore, quello di Match Point per intenderci, mette in scena la crudele parabola di Jasmine, signora altoborghese in miseria dopo l’arresto del marito truffatore (alla Madoff), costretta a lasciare il lusso di Manhattan per una nuova vita nella periferia di San Francisco. «L’idea del film è venuta mentre pranzavo con mia moglie. Soonyi mi ha raccontato dell’amica di un’amica, donna colta e ricchissima, yacht, ville, aerei privati, il cui stile di vita è collassato all’improvviso. Mi è sembrata una storia tragica e perfetta».
Il film fotografa lo stato d’animo di un’America ancora provata dalla crisi.
«Per pura coincidenza, la crisi ha regalato maggiore risonanza alla vicenda di Jasmine. Negli ultimi dieci anni in America tutti hanno perso: ricchi, classe media e poveri hanno fatto un passo indietro. Ma io sono partito dal dramma personale, storia vera e tragedia greca insieme. Una creatura dell’alta società precipita in una realtà insostenibile e matura l’orribile consapevolezza di essere stata strumento della propria distruzione».
L’interpretazione di Cate Blanchett è da Oscar.
«Il suo talento, la sua profondità hanno dato a Jasmine un’umanità che sulla carta non aveva, costringendo il pubblico a preoccuparsi per questa donna piena di difetti, pillole, alcol. Cate è la migliore della sua generazione. Ho sempre lavorato con le attrici migliori, Meryl Streep, Gena Rowland, Diane Keaton, Dianne Wiest. Tutte erano già magnifiche prima di conoscermi e lo sono state anche dopo».
Le protagoniste femminili sono una costante del suo cinema.
«Gli uomini sono chiusi, al massimo s’arrabbiano. Le donne sono più libere nelle loro emozioni, più drammatiche, complicate, interessanti. Almeno per me».
Quanto ha contato l’incontro con Diane Keaton?
«Convivere con lei mi ha cambiato profondamente. Ha personalità, è intelligente, percettiva, artistica. Mi ha insegnato a vedere il mondo con i suoi occhi. Per lei ho scritto il ruolo di Io e Annie. È venuto bene, così ho continuato a lavorare su ruoli femminili sempre più felice e a mio agio».
Quale dei personaggi di Blue Jasmine le somiglia di più?
«Jasmine, anch’io tendo colpevolmente a negare la realtà».
Racconta ancora di un matrimonio in crisi.
«Negli anni ho capito che è solo una questione di fortuna. Tu pensi di poter controllare la cosa, fai quel che è giusto, consulti amici e avvocati. Due persone che s’incontrano sono come stazioni radio: raramente le frequenze sono in sintonia. Quando succede è fantastico».
La crisi economica ha toccato anche lei?
«Ho avuto meno interessi dai soldi in banca, ma non ho perso il lavoro, come è successo a insegnanti e impiegati. Non ho mai voluto speculare in borsa, anche quanto avrei potuto. Tanti anni fa diedi istruzioni precise al mio consulente: non voglio diventare ricco, solo avere quel che mi basta per continuare a lavorare. Non ho mai pensato ai soldi, né accettato un lavoro per soldi. Faccio l’artista e ho guadagnato. Ho una casa, una macchina, poche cose. E faccio film che costano poco».
Le sue sono spesso storie di ricchi.
«Mi interessa il denaro come fenomeno, ho anche pensato a un documentario. E mi affascinano i ricchi. Sono istruiti e potenti, ma commettono le stesse sciocchezze dei poveri. E sono ugualmente infelici. Mi piace osservarli, le loro barche e gli aerei, le tresche amorose e i matrimoni insoddisfatti, i figli problematici. A New York sono l’unico artista in un quartiere di banchieri, avvocati, manager. So come parlano, come fanno shopping, quali ristoranti scelgono. Mangio negli stessi posti e cammino nelle stesse strade. Sono cresciuto povero, a Brooklyn, ma ho raccontato il mio passato poche volte, Broadway Danny Rose, Radio Days. Più spesso mi colpiscono le storie di ricchi che dovrebbero essere felici e non lo sono».
Lei recita un povero in Gigolò per caso di John Turturro.
«Esperienza rilassante, tutte le seccature del set erano del regista. Interpreto un tizio che s’inventa l’idea di procacciare a Turturro donne ricche per appuntamenti a pagamento. Recitare il “pappone” mi è venuto naturale, mi sono sentito credibile».
Lavora poco, come attore.
«Difficile trovare ruoli. A settantasette anni mi toccano i padri, gli zii, i nonni. E i registi non mi chiamano. Ogni cinque anni mi offrono un ruolo, a volte così piccolo, stupido o volgare che devo rifiutare. Sarei felice di lavorare per Martin Scorsese, Oliver Stone, Alexander Payne».
Forse pensano che lei sia troppo impegnato nei suoi progetti.
«No. Quando vuoi davvero qualcuno tenti anche se sai che è indaffarato o scontroso. Io chiesi a Greta Garbo per Zelig, lei neppure mi rispose».
In Blue Jasmine ha voluto i comici Louis C. K. e Andrew Dice Clay in ruoli drammatici.
«Negli anni ho capito che i comici sanno recitare ruoli drammatici, mentre gli attori seri fanno ridere di rado. Perfino Marlon Brando quando cercava di essere divertente era un disastro».
A settantasette anni è dura fare il cinema?
«Nell’ultimo giorno di riprese del nuovo film, nel sud della Francia, ho lavorato diciotto ore consecutive. Ho patito il caldo, il freddo, la pioggia. Il cinema funziona così, ma non è come fare il muratore. Non si lavora mica per davvero».