Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 23 Sabato calendario

HO FATTO FORTUNA CON I CATTIVI DEI MARI


[Clive Cussler]

Un omone alto e grosso, il volto temprato dalle onde e dai venti, a cui piacciono le donne (ma adesso è sposato, non sia mai), le auto d’epoca e i liquori forti. E’ Dirk Pitt, un ingegnere navale che sarebbe piaciuto a Ian Fleming, arrivato a suon di avventure a compiere quarant’anni di vita letteraria. Ma l’identikit funziona anche per il suo creatore, Clive Cussler.
I due si sono trovati quando entrambi avevano 35 anni e non si sono più lasciati. Dirk nel frattempo è diventato il capo della NUMA, un’agenzia governativa Usa che risolve misteri e combatte i “cattivi” soprattutto sugli Oceani, mentre Clive – cresciuto a sole e surf in California, le prime immersioni nei quattro anni di Corea con l’Aviazione, una laurea in Storia navale conseguita nel 1999, la passione per il mare e per l’Italia («Non conosco nessun’altra nazione che sia altrettanto entusiasmante per i luoghi, le persone, l’atmosfera...») – ha scritto una sessantina di libri ed è diventato una macchina di best-seller globali: 125 milioni di copie vendute, sette solo in Italia.
Clive ha anche fondato la NUMA, un ente no-profit con cui scorrazza sui fondali in cerca di relitti e di storie, confondendo così sempre più le acque (ma non era questa la vita di Dirk?). Un gioco di specchi che si ripropone anche nell’ultimo libro, La freccia di Poseidone, in cui addirittura l’autore si ritaglia un cammeo, interpretando il comandante di una chiatta ingaggiato da Dirk per il recupero di uno yacht affondato misteriosamente. Da qui, poi, parte una incredibile corsa contro il tempo, con la Casa Bianca che attraverso la NUMA cerca di impedire a un folle, criminale e anche un po’ nazista ingegnere minerario che specula sulle terre rare di sferrare dalla sua base-lager mimetizzata nella giungla panamense un attacco al sistema difensivo a stelle e strisce, impadronendosi del progetto del Sea Arrow, il più veloce, silenzioso, letale sottomarino mai pensato (ma nella storia entra anche un vecchio sommergibile italiano, diventato «fantasma»).
Cussler, è vero che ha cominciato a scrivere per fare qualcosa la notte mentre sua moglie lavorava e lei restava a casa ad accudire i figli?
«Mia moglie aveva trovato lavoro presso il dipartimento di polizia del quartiere, solo che era di notte. Quindi, quando io tornavo a casa dall’ufficio (ero il direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria), davo da mangiare ai nostri tre bambini, li mettevo a letto e poi mi ritrovavo da solo senza niente da fare fino a che lei non tornava. Così ho cominciato a leggere: Sherlock Holmes, James Bond, Edgar Allan Poe... E ho cercato di capire le ragioni del loro successo. Tre mesi dopo ho deciso di iniziare a scrivere una serie di libri d’avventura. Volevo fare qualcosa di diverso, e come prima cosa ho pensato di creare un eroe le cui avventure fossero incentrate sui mari. Ci ho messo undici anni, ma alla fine ho scritto Recuperate il Titanic! e da quel momento tutto è cominciato…».
Se invece, nell’attesa che sua moglie rincasasse, si fosse più banalmente messo a guardare la tv ,chi sarebbe oggi?
«Probabilmente avrei continuato a lavorare nella pubblicità».
Lei si sarebbe anche auto-raccomandato con una falsa lettera di un agente letterario a un vero agente, che poi l’avrebbe messa sotto contratto. E avrebbe rivelato il misfatto a quest’ultimo solo sei anni più tardi...
«Sì, lo ammetto … Ma ci vorrebbero pagine intere per raccontare tutta la storia».
Be’, le ha andata bene... Quarantaquattro anni di carriera, 125 milioni di copie vendute... 125 milioni! Ma come ci si sente lassù? Dev’essere inebriante...
«Veramente, dopo tutti questi anni l’emozione tende a scemare… E comunque ho smesso di tenere il conto delle copie, lascio che sia l’editore a farlo».
Gli uomini ricchi dicono che i soldi dopo una certa quota non sono più importanti: è accaduto anche a lei?
«Fino ad un certo punto. Comunque, sono contento della mia situazione economica e non ho urgenza di prendere grandi decisioni in merito».
Qual è il segreto per diventare una macchina di best-seller globali? Ce lo può dire?
«Io seguo un principio: devo scrivere qualcosa che valga la pena leggere e che dia ai lettori la giusta soddisfazione per i soldi che hanno speso acquistando un mio romanzo. Cerco dunque di scrivere libri che sappiano soprattutto intrattenere e che magari illuminino i lettori su alcuni episodi storici poco conosciuti».
No, non si fermi. Le dicessimo: vorremmo seguire le sue orme. Che ci consiglierebbe?
«Occorre essere tenaci, imporsi molta disciplina e soprattutto scegliere il proprio genere letterario e studiarne a fondo gli autori che hanno avuto fortuna. Hemingway ha dichiarato di aver studiato Tolstoj, Thomas Wolff ha imparato da Joyce, io ho analizzato a fondo il lavoro di Alistair MacLean.
Lo scopo ovviamente non è copiare o plagiare, ma studiare le caratteristiche dello stile, il modo in cui si costruiscono i personaggi, l’efficacia delle descrizioni ambientali, la struttura della narrazione e l’elaborazione della trama: sono questi gli ingredienti chiave di un romanzo di successo».
Alistair MacLean... E oggi che non ha più bisogno di studiare gli altri, che libri legge?
«Soprattutto libri di non fiction, perché sono sempre alla ricerca di misteri sepolti nelle pieghe della Storia. Un’attività che spesso mi fornisce anche l’ispirazione per le trame dei miei romanzi».
La sua produzione è massiccia: sei serie in contemporanea. Perché non ha continuato solo con Dirk Pitt?
«Sono stati i lettori a chiedermi di scrivere avventure diverse, con protagonisti differenti. E il mio editore mi ha incoraggiato a farlo».
Ogni serie un coautore. Per Pitt, suo figlio: ma non è geloso dei suoi personaggi?
«No, nessun problema: in fondo, sono stato io a crearli».
A proposito: suo figlio si chiama Dirk, il suo eroe pure. Sicuramente non è un caso... Per Al Giordino ha preso spunto da un suo ex commilitone (Giordano; morto nei giorni scorsi). Come sceglie i nomi dei suoi personaggi?
«Salvo eccezioni, li trovo nell’elenco del telefono... O nei cimiteri».
E i luoghi in cui ambienta le sue avventure? Spesso sono sconosciuti: che fa, si affida all’Atlante?
«Mi affido principalmente alla mia immaginazione e chiaramente mi documento a dovere: ma la cosa più importante è che la zona geografica di cui intendo occuparmi abbia qualcosa di interessante da rivelare».
Perché ha scelto di fare invecchiare Dirk Pitt? Non poteva lasciarlo eternamente giovane?
«Tutti i personaggi di altre serie non invecchiano, come James Bond. Il fatto è che a me piace fare cose diverse... Quando ho iniziato, Dirk aveva 35 anni, proprio come me e adesso ne ha quasi 50… Io, invece, poco più di 80. No, non è giusto!».
Nel frattempo, lei ha fondato anche un ente di ricerca sottomarina che si chiama, guarda un po’, NUMA. Come l’agenzia governativa del suo personaggio. Be’, sul fatto che Dirk Pitt sia il suo alter ego non ci sono dubbi. Ma è lei che vuole vivere come lui o, piuttosto, è il contrario?
«Nessuna delle due cose: è che mi appassiona profondamente il senso di sfida insito nel cercare di recuperare relitti dal fondo del mare. È una grande avventura, a volte vinci e altre perdi…».
Ha trovato, tra gli altri, ilMary Celeste, che si diceva veliero fantasma. E ilCarpathia, la prima nave a prestare soccorso alTitanic.Recupererebbe anche quest’ultimo, se potesse, come Dirk Pitt nel suo libro?
«Il Titanic? Impossibile. E comunque, io non ho mai cercato tesori o recuperato reperti. Mio figlio mi ha regalato un salvagente dell’Andrea Doria: è l’unica memorabilia degli abissi che ho».
Cussler, ora può anche dircelo: ma dopo tutti questi anni non è ancora sazio di avventure? Nei primi anni Duemila aveva annunciato di essere stanco e che avrebbe smesso di scrivere... Che cosa le ha fatto cambiare idea?
«Nulla in particolare. E’ che mi sono reso conto, ora che ho al mio attivo sessanta romanzi, che mi piace scrivere e che mi piace molto lavorare con altri autori… E che preferisco scrivere piuttosto che giocare a golf. Sul green mi annoierei a morte».