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 2013  novembre 23 Sabato calendario

FASSINO: TEMPI CAMBIATI MERCATO E PRIVATI SONO INDISPENSABILI


Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’associazione dei Comuni, che cosa sta succedendo a Genova?
«Genova si confronta con le stesse dinamiche che coinvolgono le altre città italiane: anche il mondo delle società ex municipalizzate, o partecipate dagli enti locali, deve fare i conti con la riduzione delle risorse a disposizione e le trasformazioni avvenute nel mercato. C’è sempre più bisogno di garantire che i servizi pubblici siano di qualità e al tempo stesso sostenibili dal punto di vista finanziario».
In passato non sempre accadeva?
«Sono finiti i tempi in cui si poteva pensare che un’azienda pubblica, solo perché erogava un servizio per i cittadini, potesse vivere sempre in perdita, accumulando passivi. Oggi quest’idea cozza con le disponibilità finanziare. Che non sono più le stesse».
L’unica soluzione è vendere tutto?
«No, è trovare il giusto equilibrio per garantire servizi efficienti dentro equilibri di bilancio oggi indispensabili. In questo senso, aprire le aziende alla partecipazione dei privati, applicare le regole di mercato e abbandonare l’idea che in nome dell’erogazione di un servizio pubblico qualunque costo sia accettabile, è l’unica strada percorribile».
Come si è arrivati al punto di dover vendere a tutti i costi o quasi?
«Il sistema delle aziende partecipate va riorganizzato per rimediare a certi limiti. Il primo è la sua estrema polverizzazione: in Italia ogni Comune ha le sue aziende; ce ne sono troppe. All’estero, invece, società nate a livello territoriale si sono aggregate e oggi sono efficienti, hanno una massa finanziaria adeguata per fare investimenti e anche per fare operazioni di acquisizione fuori dai loro territori d’origine».
In Italia, invece, rischiamo di essere cannibalizzati dai gruppi stranieri?
«Abbiamo quattro realtà medio-grandi (Iren, A2a, Hera e Acea), ma anche queste rischiano di essere troppo grandi per essere piccole e troppo piccole per essere grandi. Avrebbero bisogno di espandersi o aggregarsi. A maggior ragione le altre, che sono medio-piccole e, dal punto di vista degli equilibri bilancio e dell’efficienza, spesso deficitarie. Come Anci abbiamo proposto al ministero dello Sviluppo un tavolo che porti alla riorganizzazione delle società partecipate creando gruppi di dimensioni più ampie».
L’obiezione viene da sé: se gli enti locali si privano delle proprie aziende, chi tutela l’interesse del cittadino?
«Non è la natura della proprietà a tutelarlo, ma il contratto di servizio tra il Comune e l’azienda. A Torino abbiamo ceduto l’80% dell’inceneritore, il 49 dell’azienda che gestisce i rifiuti e il 20 dell’aeroporto e venderemo il 49% dell’azienda dei trasporti. Di alcune abbiamo ancora la maggioranza, di altre no; eppure non ci sono state ripercussioni sui cittadini, perché il proprietario, chiunque sia, deve garantire gli standard previsti dal contratto di servizio».
E i lavoratori? Come li si tutela da possibili riduzioni di personale?
«Io capisco che ogni lavoratore sia molto attento al suo posto. E perciò capisco i tranvieri di Genova. Però devono sapere che o una società è in grado di stare in piedi oppure fallisce, e a quel punto il loro posto di lavoro è perso. In ogni caso lo strumento per tutelare i lavoratori c’è: la cosiddetta “clausola sociale” che vincola il privato che entra in una società pubblica a garantire i livelli occupazionali».