Alessandro Barbano, Il Mattino 23/11/2013, 23 novembre 2013
«Non mi dimetto prima, non ci penso nemmeno. Aspetterò che votino. Che si assumano la responsabilità di una cosa di cui si dovranno vergognare per sempre»: parla Silvio Berlusconi a pochi, forse a quattro giorni dal verdetto sulla decadenza in Senato
«Non mi dimetto prima, non ci penso nemmeno. Aspetterò che votino. Che si assumano la responsabilità di una cosa di cui si dovranno vergognare per sempre»: parla Silvio Berlusconi a pochi, forse a quattro giorni dal verdetto sulla decadenza in Senato. Non sembra che ci siano dubbi sulla strada che ha scelto. È una sfida? «È l’occasione che nella mia buona fede darò a chi voterà. Un’occasione per mettere il filtro della dignità politica a una sentenza irrealistica e condizionata dal desiderio di eliminare Silvio Berlusconi come ostacolo alla presa del potere da parte della sinistra». Non le pare che l’orologio della storia sia andato un po’ troppo avanti per tornare a discutere della sentenza? «Tutt’altro. Sono stato giudicato da un collegio politico. Una sentenza politica ha capovolto due precedenti verdetti della Cassazione, emessi nel 2012 e nel marzo del 2013, i quali avevano giudicato in modo diverso sullo stesso fatto, accertando la mia innocenza. Quello che mi ha condannato è un processo viziato da un chiaro intento politico e lo dimostrerò». In che modo? «Presto arriveranno dagli Usa testimonianze decisive. Prove del fatto che il fisco americano ha acclarato la configurazione veritiera delle compagnie off-shore che, secondo i giudici della sezione feriale della Cassazione, mi vedrebbero socio occulto del finanziere Agrama. E che invece appartengono a lui o ad altre personalità». Di chi sta parlando? «In questo momento di nessuno. Dico solo che ci sono conclusioni investigative che accertano in modo incontrovertibile che io non c’entro niente. E che saranno oggetto del processo di revisione». Dunque la sua certezza è fondata sull’America e non sulla Corte europea? «La Corte, a cui abbiamo inoltrato ricorso, sentenzierà da parte sua che l’intera procedura che conduce alla decadenza è viziata da atti contrari alla legge. A parte l’infondatezza della condanna, si è data alla giunta per le elezioni una velocità incompatibile con la prassi seguita per altri casi simili. Di più, è stato calpestato il principio in base al quale, quando c’è un contrasto tra una legge nazionale e una norma sovraordinata europea, è fatto obbligo di un vaglio interpretativo della Corte». A che cosa riferisce il contrasto? «E me lo chiede pure? All’irretroattività. Quale normativa che produce effetti limitativi della libertà può essere retroattiva? Questo è un principio che in sede europea è un pilastro insormontabile di qualunque democrazia. Di più, di qualunque civiltà. Qui è stato calpestato. Calpestato insieme con l’articolo 25 della Costituzione che lo afferma come inviolabile e prescrittivo. Ma qui si capovolgono perfino i regolamenti delle Camere, che fin dallo Statuto Albertino pretendono il voto segreto sui procedimenti che riguardano le persone». Ma se la decadenza passa, che accade? Puff? Le larghe intese vanno in pezzi? O lo sono già? «Come posso valutare un’esperienza in cui abbiamo dato molto e non abbiamo ricevuto in cambio nulla? A posteriori, questo sono state le larghe intese. Quando si è trattato di mettere su il governo, abbiamo accettato condizioni onerose, e solo nell’interesse del Paese. Abbiamo atteso gli inutili valzer di Bersani, che hanno fatto perdere tempo prezioso. Poi, quando si è trattato di stringere su un’alleanza che dall’inizio ci aveva visto disponibili, abbiamo pensato finalmente di sederci al tavolo per stendere un programma interamente condiviso, che rappresentasse il nostro spirito riformatore e liberale. Invece abbiamo trovato un muro». Ma non era un governo di necessità? «Appunto, così hanno detto, dimostrando di non saper stare al tavolo con la nostra stessa apertura. E lo si è visto da subito. Da subito è stata una partita della buona fede contro il tatticismo più spietato. Ma noi abbiamo continuato ad usare la nostra buona fede. Certo, abbiamo difeso i nostri valori e i nostri elettori. Con tre condizioni fondamentali: fermare la rapacità di Equitalia, abolire l’Imu e impedire l’aumento dell’Iva. Minimo sindacale, le pare? Poi si è passati a trattare dei componenti del Consiglio dei ministri e anche lì abbiamo accettato che scegliessero loro e ci siamo accontentati di 5 uomini su 23. Sfido chiunque a dire che in questi mesi di coabitazione non abbiamo dimostrato un atteggiamento di sincera apertura e prudenza. Che cosa ce n’è venuto? La decadenza». Che cosa si sarebbe aspettato? «Un riconoscimento del mio ruolo e un’agibilità politica che ogni cittadino di buon senso e di buona fede concederebbe a un alleato». E adesso che si fa? Si stacca la spina subito dopo? «Non posso certo stare lì a lavorare con chi vuole uccidermi. Si metta nei panni dei nostri elettori, un politico vero deve dimostare sempre di saperlo fare. Si può chiedere secondo lei a uno di quei milioni di italiani che credono in Forza Italia di stare insieme con coloro che vogliono ucciderne il leader? Che manifestano un’avversione e quasi un odio nei confronti di chi si è offerto per una trattativa con grande senso di responsabilità»? Ha visto che Alfano l’ha difesa? Ha detto che venderà cara la pelle prima di accettare la sua decadenza. Tanto che già qualcuno dice che si tratta di una scissione finta. «Nessuna persona seria lo può pensare. Tutto si è svolto alla luce del sole. E inaspettatamente, almeno da parte mia. È stata una divisione vissuta, ne sono certo, con sofferenza da tutti. Certo, si fa fatica a capire quali siano le loro motivazioni reali, questo sì. Non c’è una differenza sui programmi. Meno che mai sul posizionamento politico nel centrodestra europeo e in quella famiglia del partito popolare di cui noi condividiamo la carta dei valori, carta che io di mio pugno ho modificato nel trentesimo anniversario della fondazione del partito, proprio qui, a Roma». Però, il richiamo a Forza Italia non le pare che stoni un po’ con questa scissione? Il centrodestra del ’94 nacque includendo liberali, cattolici e democristiani a vario titolo, socialisti e perfino due destre, una di tradizione missina e l’altra nascente e populista, la Lega. Quello di oggi nasce all’insegna di una cacciata. «Non è vero, non ho cacciato nessuno, io. Ci domandiamo tutti come sia potuto avvenire quello che è avvenuto». E allora dica almeno che idea si è fatto dei motivi reali di questa scissione. «Preferisco non dire quello che penso. Mi è successo altre volte di incontrare persone che avrebbero potuto aspirare a essere i miei successori. Non ci sarebbe voluto molto ad aspettare, eppure non hanno aspettato. Le ricordo che dopo le dimissioni forzate del 2011 avevo fatto una scelta: essere il padre fondatore dell’università della libertà e realizzare ospedali nel mondo per aiutare i bambini disagiati. Quando il Popolo della Libertà mi ha richiamato, nei sondaggi era sceso all’11,7 per cento. Per senso di responsabilità ho accettato di gettarmi in una campagna elettorale che, nonostante i limiti della par condicio, mi ha visto raddoppiare i voti». Eppure più di qualcuno legge la frattura come un suo cedimento alle ragioni degli estremisti. Che, non negherà, non mancano nel suo partito. «Questa è una narrazione mediatica, anzi da pessimo romanzo d’appendice, mi lasci dire. Dicono che io avrei subito pressioni di questo o di quell’altro. Ma le pare che alla mia età, con la mia esperienza imprenditoriale, sportiva, politica e istituzionale come uomo di Stato, io mi possa lasciar convincere da chiunque»? Dalla Santanché neanche? «Da nessuno. Senta, voglio fare davvero autocritica. Forse, come diceva Cossiga, non ho la cattiveria senza la quale non si può fare politica. Riconosco oggi che un po’ aveva ragione lui. È l’unica mancanza che mi posso attribuire. Poi, per tutto il resto, so di aver ragionato con molta prudenza e ancoraggio alla realtà. E la realtà è quella che ho raccontato e che è sotto gli occhi di tutti». Non negherà però che un certo ruolo i falchi, i lealisti, o come li si vuole definire, lo hanno avuto nell’allargare i margini di questa frattura. «Può essere che ci siano state antipatie personali». E se qualcuno di costoro avesse agito per mettere fuorigioco proprio lei? Ha valutato questa possibilità? «Lei non tiene conto che io sono in gioco per senso di responsabilità. Io sono qui perché amo il mio Paese e sono preoccupato della direzione che possa prendere». Ma se Alfano tornasse all’ovile, ci sarebbero secondo lei le condizioni per un ripristino dell’antico equilibrio politico? «Nessuna frattura è insuperabile. Se dovessero capire di aver commesso un errore, noi saremmo tutti lieti di un ritorno all’unità». I sondaggi hanno bocciato la scissione? «Gli ultimi sono di due giorni fa, e dimostrano che anche il nostro elettorato fa fatica a comprenderne le ragioni, se è vero - e non ho motivo di dubitare di Euromedia - che Forza Italia è al 20,1 per cento e la nuova formazione al 3,6». Il voto contro la Finanziaria servirà a rimpinguare i consensi? «Adesso ci presentano una finanziaria che non hanno condiviso con noi e chiedono la fiducia su una legge che neanche conosciamo, pur essendo formalmente partners». Partners? «Noi a questo governo la fiducia l’abbiamo votata. Dentro ci sono cinque persone elette con il simbolo nostro e con il mio nome. Ad oggi noi siamo formalmente parte di questa maggioranza». Ma se ha appena finito di dire che non si può stare con chi vuole ucciderti? «Appunto, l’ho detto e lo confermo. Il voto di decadenza è il punto di non ritorno». Oltre il quale? «Oltre il quale ci regoleremo soltanto in base all’esame dei contenuti della finanziaria». Vuol dire che non la voterete? «Vuol dire che non la conosco. E come me neanche gli italiani. Spero che almeno nelle prossime ore i nostri senatori possano studiarla». Dica chiaramente: sta già pensando a come tornare al voto? «Perché mai si dovrebbe tornare al voto? Il governo non ha forse raggiunto una maggioranza in grado di reggere, anche se noi passeremo all’opposizione? A meno che non prevalgano nel Pd volontà di fa cadere il governo...». Sinceramente, le pare che manchino? Dica la verità, lei spera davvero di poter avere l’agibilità per sfidare Renzi? «Questo dipenderà dalla decadenza. O forse dalla revisione». E se non sarà possibile? «Abbiamo un colpo segreto». Come giudica Renzi? «Un comunicatore eccezionale». Finora, a parte lei non se n’è visto un altro altrettanto bravo nel centrodestra. Toccherà alla fine convincere sua figlia? «Non voglio assolutamente che mia figlia entri in politica. Non voglio che, in un Paese in cui la magistratura è diventata un contropotere dello Stato, lei subisca ciò che ho subito io». Tra Letta e Napolitano, da chi si sente più deluso? «Passiamo alla prossima domanda». Non c’è, l’intervista è finita.