Andrea Managò, l’Espresso 22/11/2013, 22 novembre 2013
A luglio dello scorso anno il governo Berlusconi ha staccato un gigantesco assegno da 45 milioni di euro in favore del Comune di Palermo per salvare dal fallimento Gesip, la multi-servizi comunale
A luglio dello scorso anno il governo Berlusconi ha staccato un gigantesco assegno da 45 milioni di euro in favore del Comune di Palermo per salvare dal fallimento Gesip, la multi-servizi comunale. Una boccata d’ossigeno costata cara alle casse statali e durata ben poco, visto che l’azienda rischia nuovamente di trovarsi a secco di liquidi. A marzo potrebbe non avere più soldi in cassa per pagare gli stipendi. Dove sono finiti tanti milioni in così poco tempo? Il segretario della Cgil Palermo, Maurizio Calà, un’idea ce l’ha: sostiene che la Gesip sia «di fatto un luogo dove si erogano stipendi, senza che esista una vera azienda». Un assumificio, in parole povere, creato nel 2001 per sistemare circa 1.500 persone e arrivato in pochi anni a toccare quota 2.000. Dopo l’ultima infornata (nel 2005) di 450, tra lavoratori socialmente utili, giardinieri e ausiliari, i suoi conti non si sono più ripresi. Eppure la Gesip, come tante altre municipalizzate italiane, era nata con nobili intenti: specializzarsi nella fornitura di servizi per poi confrontarsi col mercato. Non è andata come previsto, la specializzazione più originale è stata quella di un giardiniere che, in orario di ufficio, faceva lo skipper dell’ex sindaco Diego Cammarata (rinviato a giudizio per la vicenda). Nel 2007 la società ha perso uno degli azionisti di riferimento del Governo (Italia Lavoro), è diventata completamente comunale ed ha iniziato la sua parabola discendente. Oggi perde in media 800 mila euro al mese, mentre l’elenco delle sue prestazioni rimane indefinito e costellato di duplicati di altre partecipate: dal decoro urbano alla riscossione crediti, dalle derattizzazioni ai servizi cimiteriali per gli animali. Attualmente Gesip costa ai contribuenti 70 milioni di euro l’anno, a fronte di un contratto di servizio col Comune che ne copre solo 53. E pensare che, tra le sue mille funzioni, c’era anche quella di tenere in ordine contabilità e libri paga. Un caso isolato? Niente affatto: da Nord a Sud dello stivale il "capitalismo municipale" ha spesso i conti in rosso. Secondo gli ultimi dati Unioncamere il 36% delle oltre 5 mila imprese partecipate, o interamente di proprietà degli enti locali, è in perdita. Società create per erogare servizi pubblici che finiscono per gravare sui bilanci comunali senza garantire prestazioni adeguate. Nel portafoglio titoli c’è di tutto: trasporto pubblico, rifiuti, acqua, luce, gas, sanità. L’ultimo fallimento in ordine di tempo è quello dell’Amica, municipalizzata della nettezza urbana di Foggia, portata a picco da un passivo di circa 60 milioni di euro. Il tribunale fallimentare ha appena respinto la richiesta di amministrazione controllata avanzata dal Comune a causa di un piano industriale ritenuto «assolutamente non idoneo a giustificarla». Un tempo gioiello di famiglia in Capitanata, dal 2004 Amica ha iniziato ad accumulare debiti e, negli ultimi anni, sacchetti di immondizia lungo le strade. Il dissesto economico è coinciso con l’esternalizzazione di alcuni servizi, unita a decine di assunzioni senza concorso in odore di clientela. Il giudice fallimentare ha indicato chiaramente le responsabilità: l’amministrazione comunale «ha lasciato che Amica defluisse lentamente in uno stato di decozione irreversibile, senza mai intervenire per ripianare le perdite». Guarda caso, anche questa volta l’unica preoccupazione era «garantire la continuità dei posti di lavoro». Lo smaltimento dei rifiuti genera debiti anche a Palermo. Qui l’Amia, azienda cittadina, è commissariata da oltre due anni, dopo essere andata vicino al fallimento nel 2009 con un passivo record di 180 milioni di euro. Una voragine che ha risucchiato anche l’ex presidente, il senatore Udc Enzo Galioto, condannato in primo grado a 2 anni e 6 mesi per falso in bilancio. Avrebbe gonfiato i bilanci per ottenere finte plusvalenze e far lievitare il suo stipendio, legato ai risultati conseguiti. Secondo uno dei tre commissari Amia, Paolo Lupi, «chi ha guidato l’azienda non aveva le capacità imprenditoriali per poterla gestire». Risultato: oggi la società è in rosso di 18 milioni, la raccolta differenziata langue al 10% e negli ultimi mesi in città sono ricomparsi i roghi di immondizia. A Roma, invece, chi ha rischiato di portare i libri in tribunale è Atac, municipalizzata dei trasporti: 120 milioni di euro la stima più recente del debito accumulato in anni di "spese facili". Dall’esplosione dello scandalo parentopoli la Procura di Roma ha passato al setaccio ben 850 assunzioni a chiamata diretta avvenute negli ultimi tre anni, scovando parenti, amici, fedelissimi e luogotenenti del centro destra romano. Tra loro il figlio dell’ex caposcorta del sindaco Alemanno e la fidanzata dell’ex assessore alla Mobilità, solo per citare due dei casi più eclatanti. Ma rimane il sospetto che la prassi clientelare non sia nata con la giunta Alemanno. In ogni caso, complici i mancati trasferimenti da parte della Regione Lazio, nei prossimi mesi l’azienda potrebbe trovarsi a corto di liquidità. I dati parlano chiaro, il trasporto pubblico non brilla per i conti in ordine. Lo scorso anno la società di trasporti del Comune di Catania, l’Amt, è stata rifondata convertendola in Spa: aveva un passivo di 70 milioni. Anche in questo caso, l’iniezione di denaro fatta dal Governo Berlusconi alle casse comunali (140 milioni nel 2008) ha avuto un effetto di breve durata. La nuova Spa stenta a decollare e i sindacati denunciano: «E’ già a corto di liquidità». Carta canta anche nella vicina Messina, dove il bilancio della Atm (municipalizzata dei trasporti con 640 dipendenti) perde circa 50 milioni di euro. Un dissesto originato da una «conduzione finanziaria di tipo familiare», come scritto nella relazione dei consulenti contabili dell’ex commissario dell’azienda, Cristofaro La Corte. Secondo i periti, Atm «per anni si è avvalsa di due sistemi contabili», di cui uno «improntato su principi di contabilità privatistica», un’operazione «che negli enti pubblici è severamente vietata». Vista la situazione non c’è da stupirsi che il Comune voglia liquidare l’azienda per creare una new company. Non va meglio sull’altra sponda dello Stretto. Una recente relazione della Corte dei Conti ha stimato un’esposizione del Comune di Reggio Calabria per 25 milioni di euro nei confronti delle controllate Acque Reggine, Multiservizi e Leonia. Qui, oltre ai debiti, le municipalizzate devono guardarsi anche dalle infiltrazioni della ‘Ndrangheta. A novembre 11 persone sono finite in manette, secondo la Guardia di Finanza «le cosche, attraverso passaggi societari predisposti da professionisti e avvalendosi di prestanome, sono riuscite a controllare parte del capitale privato della Multiservizi spa».Per loro l’accusa è di associazione a delinquere si stampo mafioso. Ma chi pensa che il "capitalismo municipale" sia in perdita solo nel Mezzogiorno si sbaglia. A Parma i debiti delle aziende in house sono parte integrante del colossale buco di cassa del Comune, stimato attorno ai 600 milioni di euro. A novembre Andrea Costa, indagato per abuso d’ufficio, si è dimesso dalla guida della Stt, holding delle società comunali. Per gli inquirenti mentre il manager presiedeva la Tep, società di trasporto pubblico, l’azienda ha investito 8 milioni di euro (uno solo è tornato in cassa) nella Banca Mb, nel cui Cda sedeva lo stesso Costa. Pochi mesi prima la controllata Spip, nata per acquisire aree industriali, aveva gettato la spugna, messa in liquidazione dopo aver raggiunto un passivo di 86 milioni di euro. Nel suo portafogli migliaia di metri quadri di terreni acquisiti a caro prezzo e rimasti invenduti. Nei prossimi mesi il Governo Monti si cimenterà nella riorganizzazione delle municipalizzate. Il decreto sulle liberalizzazioni appena varato punta ad aggregarle. La road-map tracciata dal ministro Corrado Passera è chiara: «liberalizzare e privatizzare ovunque possibile». Visti i conti in rosso, ci riuscirà? 06 febbraio 2012 © Riproduzione riservata