Enrico Mannucci, Sette 22/11/2013, 22 novembre 2013
UN SUCCESSO FONDATO SU 10 MILIONI DI BANANE
La famiglia italiana della frutta fa arrivare qui, ogni settimana, dieci milioni di banane, centomila scatole: in Italia, quasi un milione e mezzo di bucce gialle al giorno. Quanto agli ananas, sono un po’ meno, ma, comunque, messi in fila uno dietro all’altro farebbero parecchia impressione: tre milioni che arrivano dentro 50mila scatole.
La famiglia italiana della frutta si chiama Orsero, è ligure da generazioni e nel settore opera dal 1940. La base di partenza (e ancor oggi la sede del quartier generale) è ad Albenga, riviera di Ponente, provincia di Savona. È lì che Antonio Orsero avvia una piccola impresa da grossista di frutta (allora, da quelle parti, le colture di pesche non hanno ancora lasciato il campo al dominio di carciofi e vivai): col suo camioncino la porta ogni giorno sui mercati di Milano. È un grossista come tanti, insomma. Antonio ha tre figli: Raffaello, Gianni e Luciano. E il primo mostra presto la stoffa dell’imprenditore. Il padre gli lascia spazio in ditta. Lui si dà da fare, gli sta stretto il camioncino (in realtà, siamo nei primi anni Sessanta, ormai i mezzi sono una ventina) a fare su e giù dalla Liguria a Milano.
È il tempo in cui l’Italia sta cominciando a conoscere il benessere. Cambiano i consumi delle famiglie. E, nel campo dove opera Raffaello, le direttrici del mutamento importanti sono due: la prima risponde alla voglia di emanciparsi dal ciclo delle stagioni, diciamo insomma che, nel gennaio del 1961, un osservatore attento nota una richiesta di pere e di mele che fino a qualche anno prima non c’era in quel periodo, quando in Trentino e in Romagna la stagione di quei tipi di frutta è ormai passata da un pezzo. Intendiamoci, mele e pere ci sono nel mondo anche in gennaio, bisogna però andarle a prendere in Sud America, in Cile o in Argentina. È quella che si chiama tendenza alla “controstagionalità”. L’altra esigenza che comincia a farsi notare è quella di portare in tavola della frutta un po’ strana, magari si esita ancora a dire “esotica”, però c’è chi chiede al fruttivendolo (ortolano, in altre regioni italiane) anche manghi e papaie, non più solo arance e uva. Sono due “tendenze”. E Raffaello le capta. Prima, andando a cercare mele o ciliegie in Sud America, agli antipodi o giù di lì, dove insomma le stagioni sono all’opposto rispetto al nostro emisfero e quindi la frutta estiva si può cogliere, e importare, quando da noi è ancora inverno pieno.
Intanto vara un piano di espansione nelle piazze italiane, proponendosi come fornitore diretto ai dettaglianti con l’apertura di stand (tecnicamente si chiamano posteggi) in tutti gli ortomercati delle principali città: roba da stare in movimento dalle tre di mattina (ma a Roma è anche prima, perché il Lazio è grande da coprire…). L’idea è in embrione, ma è chiara: controllare sempre di più i vari passaggi del ciclo che arriva dalle piantagioni al consumatore. Poi, tornando alle svolte fondamentali, dalla metà degli Anni Settanta si avvia l’esplorazione del mercato dei frutti tropicali, innanzi tutto ananas e banane (forse non ce lo ricordiamo, ma ci siamo abituati a queste ultime con gli anni Cinquanta, fino ad allora non erano un frutto consueto). Il mercato delle seconde è rimasto a lungo contingentato, in Italia: è un modo di proteggere i commerci con la Somalia. Oltre ai prodotti della nostra ex colonia, da noi arrivano solo banane targate Chiquita uno dei tre grandi dominus mondiali del settore, gli altri sono Dole e Del Monte. Il terzo non è presente sul mercato mediterraneo.
L’ananas incalza. Il colpo di Orsero è proporglisi come concessionario per tutta l’area e spuntare l’accordo. Ora la famiglia rappresenta Del Monte da Gibilterra al Cairo, si batte direttamente con due multinazionali potenti e aggressive (sono gli anni in cui i nomi di tutte queste società compaiono spesso nei retroscena dei golpe che devastano la democrazia in America Latina). All’inizio, il traffico è soprattutto di banane: 90% contro il resto di ananas (ora sono cresciuti questi, toccano il 30%). È allora, a dieci anni, che la figlia Raffaella fa il primo viaggio su una nave frigorifero diretta in Israele. Perché, intanto, alla metà degli anni Ottanta, gli Orsero hanno mosso un altro passo sulla scacchiera che porta a controllare l’intera filiera. Hanno armato da Fincantieri quattro navi frigorifero. Una decisione rapida di Raffaello. Che decide anche i nomi: Cala Pevero, Cala Portese, Cala Piccola, Cala Piana. Spiega Raffaella, terza generazione, oggi presidente e amministratore delegato: «Scaramanzia. Nel passato, altre navi il cui nome cominciava con Cala gli avevano portato bene». Non è caratteristico solo il nome. Dalla Orsero arrivano richieste precise sulla tipologia che devono avere le navi. Un cambio di filosofia. Le merci non vanno imbarcate come al solito dai boccaporti sul ponte, ma da un portellone sulle fiancate da cui passano negli ascensori per essere stivate: è un modo per velocizzare le manovre di sbarco e garantirsi flessibilità rispetto a eventuali variazioni sull’itinerario. Così la ditta riuscirà a toccare molti più porti rispetto ai concorrenti in un solo viaggio.
Il tassello successivo è a terra, vicino a casa. La ditta crea a Vado un terminale Orsero. Lì può “autoprodurre” (ovvero scaricare in proprio la frutta importata), sgabbiandosi dai vincoli e dalle vertenze, all’epoca consistenti assai, dei portuali liguri.
Nel 2003, arriva il penultimo passo verso la copertura dell’intera filiera. La Orsero comincia anche a comprare delle piantagioni. È un modo per coprirsi le spalle davanti a eventuali turbolenze nel rapporto con Del Monte (che, infatti, la controparte disdetterà nel 2010) andando sul campo a studiare il funzionamento della produzione e le dinamiche che definiscono i prezzi. Sono 4mila ettari in Costarica tutti coltivati ad ananas e banane.
Negli ultimi tre anni, infine, si creano le condizioni per completare il lungo viaggio iniziato tanti anni fa, ovvero la distribuzione dei prodotti con un proprio marchio, il “bollino” che si trova sui frutti e che richiama le origini: la scritta “F.lli Orsero” con la precisazione “Qualità” sta su un furgoncino tipo quelli che andavano verso Milano tanti anni fa, in verde scontornato d’oro. L’operazione ha preso il via col 2012. «Il bollino col nostro nome ci permette una maggiore penetrazione sul mercato», precisa Raffaella che, intanto, ha velocemente allargato la gamma di prodotti offerti: dopo banane e ananas, è toccato a mele e kiwi e ora, targata Orsero, si trova anche una linea tutta dedicata alla frutta esotica, addirittura sedici tipi diversi, dalla papaya al mango, dai lime ai litchi ma anche i meno conosciuti carambola, granadilla, mangoustan, phisalis, pitaya e ramboutan.
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