Massimo Gaggi, Corriere della Sera 22/11/2013, 22 novembre 2013
LUNGA VITA AL BITCOIN VALUTA VIRTUALE
Una valuta virtuale inventata da una persona che si nasconde dietro uno pseudonimo, generata da un computer anziché essere emessa dalla banca centrale di uno stato sovrano e che viene spesso usata per traffici illeciti, dalla droga alla pedofilia digitale? Per mesi abbiamo letto storie sulle avventure del Bitcoin, come si legge un romanzo giallo: senza mai pensare che un giorno una roba del genere potrebbe entrare davvero nelle nostre vite. D’accordo, la tecnologia sta cambiando tutto: scuola, lavoro, informazione, modi di comprare e viaggiare, anche i sistemi di pagamento. Ma la valuta, quella no: ci deve essere un’entità riconosciuta che la garantisce. Mentre i Bitcoin si conquistano scavando nel proprio computer, affastellando algoritmi e calcoli complessi. L’unica garanzia che non ce ne siano troppi in giro è la capacità del misterioso emittente di rendere i calcoli per conquistare questi dobloni virtuali sempre più complessi man mano che i cercatori di bit si armano di equazioni sempre più acuminate.
Può stare un piedi un sistema simile? Dite di no? Risposta sbagliata. Problemi e pericoli ce ne sono diversi, ma il sistema ha una sua ragion d’essere e può aiutare l’economia a crescere: non è il parere di qualche tecnico informatico interessato ma il verdetto dei rappresentanti dei ministeri del Tesoro e della Giustizia, dei servizi segreti e della Federal Reserve chiamati a riferire davanti al Congresso di Washington. Che voleva sapere non solo se i Bitcoin hanno un futuro, ma anche se i parlamentari Usa possono accettarli legittimamente per il finanziamento della loro attività politica, visto che le donazioni a base di moneta virtuale stanno già affluendo a Capitol Hill dove già opera anche un’agguerrita lobby del Bitcoin.
Questa benedizione indiretta del governo federale (che si è comunque riservato di regolamentare alcuni aspetti del nuovo mezzo di pagamento) ha fatto schizzare il valore della moneta virtuale che in un paio di giorni è passato da 200 a 5-600 dollari, con una puntata oltre quota 800. Ormai sono migliaia gli esercizi commerciali che accettano questa valuta. Negli Usa, ma soprattutto in Asia e in modo particolare in Cina, dove il Bitcoin è diffuso ancor più che negli Stati Uniti. E da ieri si può pagare in Bitcoin anche l’iscrizione all’università di Nicosia, a Cipro. È la prima accademia a farlo: molti analisti giurano che altre seguiranno. Anche se, poi, nessuno sa bene come vada considerato questo Bitcoin che, viste le forti oscillazioni del suo valore, nel mondo della finanza viene spesso equiparato a una «commodity» di valore come l’oro o l’argento, più che a una valuta. E le massicce infiltrazioni criminali? Molti avevano dato il Bitcoin per morto quando, un mese e mezzo fa, l’Fbi chiuse il sito di commercio elettronico «Silk Road» e arrestò per narcotraffico il suo gestore, William Ulbricht. Ma adesso le autorità Usa dicono che bisogna controllare ma non vietare. Altrimenti l’affare, virtuale e quindi molto mobile, vola all’estero. Del resto già oggi i principali mercati dei Bitcoin sono in Cina e Slovenia. Insomma, lunga vita al Bitcoin. E intanto «Silk Road» ha riaperto con un altro, beffardo, nome: «Dread Pirate Roberts».
@massimogaggi