Giusi Fasano; Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera 22/11/2013, 22 novembre 2013
RESORT PER GLI SFOLLATI E REGALI NEI NEGOZI ORA OLBIA È INVASA DALLA SOLIDARIET
Sambo non ha chiesto nulla. Ma siccome è finito sott’acqua ed è uno sfollato pure lui, la macchina dei soccorsi l’ha sistemato al Gran Hotel President, il non plus ultra di Olbia. Ricca colazione, pranzo in camera offerto dalla cooperativa, camicie, maglie e scarpe arrivano dalle parrocchie. Servito e riverito come si addice a un quattro stelle superior. «Sto benissimo, tutto bellissimo, sardi bravissimi, però io vorrei tornare nella stanza di via Lazio dove posso aprire i borsoni». Una camera ancora infangata, dove il sessantunenne senegalese Samb Thierno, che qui chiamano Sambo, una moglie e quattro figli all’estero, ha perso tutto quello che aveva. In ordine di importanza: «Le lenzuola da portare a Touba (la sua città, ndr ), il materasso, le valigie, la tv, il frigo e le calze». Quelle che vende regolarmente in giro per Olbia da undici anni. Guadagna 300 euro al mese, ne spende 400 di affitto che però divide con altri cinque. E mentre armeggia inutilmente con la tessera che apre la porta della suite, ringrazia l’Italia: «Avete aiutato anche noi, i senegalesi non lo dimenticheranno mai».
Da Olbia a Bitti, da Torpè alla Costa Smeralda, è tutta una corsa agli aiuti. Ad Arzachena il Billionaire Village di Flavio Briatore ha aperto 14 villette per le famiglie sfollate, in tutto 26 persone. Dieci chilometri più in là l’hotel Cervo degli sceicchi, cinque stelle lusso, offre pasti caldi, coperte, stanze, colazioni a chiunque ne avesse bisogno. Nei vari comuni chiamano ogni giorno decine di proprietari che mettono a disposizione le loro case di vacanza per chi è rimasto senza. A Olbia la situazione è ancora molto complicata. Nella scuola più colpita dalla catastrofe, l’istituto tecnico Amsicora che sforna elettricisti e meccanici, ci sono centinaia di braccia che spalano, puliscono, aggiustano e non sono quelle della Protezione civile, che pure stanno lavorando in altri mille posti. No, sono quelle della bidella Rosetta, dell’ex segretaria Maria Viola, del professore di elettronica Pier Paolo Lovico e dei suoi colleghi docenti Roberto Massimiliano e Giuseppe che vorrebbero recuperare i computer del laboratorio di elettronica. Ci sono poi una cinquantina di studenti. Arrivano da Arzachena, da Baia Sardinia, da Calangianus. Assieme a loro la vicepreside Carmen Marini e il direttore Gianluca Corda che sospira: «Martedì scorso ho pianto quando sono arrivato qui, poi ho visto questa gente dedicare il suo tempo alla nostra scuola pur avendo le case danneggiate e ho detto “possiamo farcela”».
Nella corsa per rimettere in piedi la Sardegna, oltre alle migliaia di militari e volontari, sono coinvolte anche le comunità straniere, con le forme più svariate di solidarietà spontanea. È il caso dei cinesi che ai grandi magazzini della Iper Mek, nella Chinatown di Olbia, hanno venduto tutto a prezzi scontatissimi. Soprattutto stivali di gomma: 9 euro invece di 18, andati esauriti in un paio di giorni; i guanti in lattice a 50 centesimi contro l’euro e 20 di sempre. Finiti anche quelli. L’ultimo fornello elettrico se l’è accaparrato ieri la signora Maria: si è presentata infreddolita alla cassa per pagarlo, insieme a due pentole e una padella, visto che ha perso tutto. Forse li ha inteneriti, di certo ha trovato una gradita sorpresa. «Vada signora, il conto è zero», le ha detto Marco Zang, il giovane figlio del titolare, da trent’anni in Sardegna. E l’avrà fatto anche perché c’eravamo noi con il taccuino aperto ma, insomma, quel fornello la signora Maria l’avrebbe comunque pagato 22 euro. «Questa gente ci ha dato molto, è giunto il momento di ringraziare», sorride Mario Zang, papà di Marco, che gira per il piazzale con un furgone carico di ogni genere di vestiti a prezzi stracciati. «Se qualcuno avesse bisogno di stendere la biancheria qui dietro abbiamo molto spazio», fa sapere con un accento sardo la cassiera, mentre la signora Maria si guarda intorno, incredula: «Brava gente» .
Si cambia scena. Al numero 7 di via Nurra Giampiero Murrei guarda la sedia a rotelle della sua bambina e tira un sospiro di sollievo. «Era nuova, temevamo che si fosse rovinata in modo serio. Per fortuna non è stato così. Ma la macchina... quella non va più, il motore era già da buttare. Come farò a portare fuori casa la mia piccolina?». La figlia di Giampiero si chiama Giovanna, nove anni, da tre in guerra contro una malattia che avanza e limita i movimenti sempre più. Lui è un portuale, stipendio misero, una moglie che passa tutto il giorno accanto alla piccola e da tre anni ogni centesimo che non serve per mangiare si spende in viaggi per gli ospedali di Milano, Genova, Roma, Como... «Non ho più un soldo» si vergogna Giampiero immaginando una macchina nuova «per caricarci la carrozzina di Giò». E intanto il suo cellulare squilla di continuo. Chi ha saputo o letto di lui offre aiuto. Lo chiamano da tutt’Italia, dalla Svizzera, dalla Germania, gli passano contatti raccolti in prefettura, in Comune. Lui spiega che gli servirebbe anche un letto con la spalliera mobile, «così la mia Giò può stare più comoda». Riattacca. Il telefonino tace per un minuto. Giampiero ha gli occhi lucidi: «Sono commosso da tutto questo bene ».
Giusi Fasano
Andrea Pasqualetto