Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 22/11/2013, 22 novembre 2013
IL TEOREMA DI ESCHER
Maurits Cornelis Escher (1898–1972) occupa un ruolo speciale nella storia dell’arte contemporanea per la sua produzione posteriore al 1935, anno in cui lasciò l’Italia fascista dopo una permanenza di dodici anni a Roma per tornare, dopo due ulteriori anni in Svizzera e cinque in Belgio, definitivamente in Olanda.
Fino ad allora egli si era dedicato a litografie e silografie, principalmente di paesaggi e architetture. Dopo di allora, pur mantenendo lo stesso mezzo espressivo, il contenuto delle sue opere divenne sempre meno raffigurativo e sempre più intellettuale, ed egli si ritrovò ad usare in maniera crescente, dapprima inconsciamente e poi volutamente, motivi matematici.
La sua originale ed inusuale estetica gli procurò sì notorietà nel campo scientifico, a partire dalla mostra dei suoi lavori organizzata in occasione del Congresso Internazionale di Matematica del 1954 ad Amsterdam, ma gli alienò anche le simpatie del campo artistico, con accuse di eccessive freddezza, astrazione e convenzionalità stilistica.
Oggi le cose sono cambiate, e la situazione si è ribaltata: caratteristiche più appariscenti dell’opera di Escher hanno preso il sopravvento sugli aspetti matematici, trasformando l’artista (suo malgrado) in un illustratore di copertine, magliette e poster.
Poiché però proprio nell’aspetto intellettuale risiede il duraturo valore della produzione di Escher, non è forse inappropriato riflettere su di esso, cercando di sottolineare sia le fonti che le novità dei motivi più strettamente matematici. Senza esagerare, però, visto che Escher si lamentò spesso di non capire appieno né il linguaggio dei matematici, né la sostanza delle loro osservazioni, pur convenendo che senza spiegazioni le sue immagini possono risultare troppo ermetiche.
Naturalmente, la geometria si è intromessa nelle arti figurative ogni volta che, da Leonardo ai cubisti, si sono rappresentate figure geometriche, in particolare poligoni (piani) e poliedri (spaziali) di varia forma.
Escher è stato particolarmente attratto dai solidi regolari, detti anche solidi platonici, perché, come egli stesso disse, «simboleggiano in maniera impareggiabile l’umana ricerca di armonia e ordine, ma allo stesso tempo la loro perfezione ci incute un senso di impotenza ». Parte della magia dei solidi regolari deriva dal loro esiguo numero: come dimostrò Teeteto nel secolo VI a.C., essi sono soltanto cinque (cubo, tetraedro, ottaedro, dodecaedro e icosaedro).
Aggiungendo delle piramidi sulle facce dei solidi regolari si ottengono i cosiddetti solidi stellati. In particolare, Escher amò moltissimo il dodecaedro stellato, ritenendolo dotato di “perfettamente ordinata bellezza”, e lo rappresentò più volte. Esso si può considerare come l’intersezione di dodici facce a stella regolare: la figura resa tristemente famosa dalle Brigate Rosse, e che è a sua volta una stellazione piana del pentagono regolare.
Per sua stessa ammissione, il soggetto che più interessò Escher fu però la divisione regolare del piano. Il problema in questione viene chiamato tassellazione del piano, e consiste nel ricoprire l’intero piano mediante tasselli tutti dello stesso tipo, o al massimo di un numero finito di tipi, come in un gigantesco puzzle.
Escher non è comunque stato il primo artista ad usare le tassellazioni del piano. L’esempio delle decorazioni moresche dell’Alhambra di Granada è ben noto, e fu da lui stesso studiato in maniera approfondita, durante due viaggi nel 1922 e 1936. A causa della proibizione religiosa di rappresentare esseri viventi, i Mori non poterono però usare altro che motivi geometrici astratti, mentre Escher trovò più attraenti rappresentazioni di figure animate, specialmente pesci e uccelli.
Sia i Mori che Escher furono interessati ad una esplorazione sistematica delle tassellazioni regolari, ed usarono quasi tutti i 17 possibili tipi caratterizzati dal cristallografo russo Fedorov nel 1891. Mentre i Mori dovettero ovviamente scoprire da soli le varie possibilità, Escher le conosceva grazie al fratello, che era professore di geologia.
Ciò che invece Escher riscoprì autonomamente furono le tassellazioni cromatiche, che sono di grande interesse non soltanto per gli artisti, ma anche per i cristallografi. In particolare, egli ritrovò 14 delle 46 possibili tassellazioni del piano a due colori, classificate dal matematico Woods nel 1936.
I cristallografi riconobbero ripetutamente l’aspetto pionieristico del lavoro di Escher nel loro campo, tanto che l’Unione Internazionale di Cristallografia lo invitò a tenere una conferenza al congresso del 1960, e gli commissionò l’illustrazione di un testo con 42 dei suoi disegni, pubblicato nel 1965.
Il problema della tassellazione si può estendere dal piano euclideo a superfici più complicate. Gli esempi più semplici di tali superfici sono la sfera e il cilindro. La sfera è interessante perché è limitata nello spazio, e può dunque essere interamente tassellata con un numero finito di tasselli. Questo fatto è, secondo Escher, «un meraviglioso simbolo dell’infinito in forma chiusa», ed egli l’ha illustrato intagliando varie sfere di legno. Quanto al cilindro, Escher ne ha illustrato la tassellazione piastrellando varie colonne.
Nel 1958 Escher venne a conoscenza, tramite il matematico Coxeter, di una superficie meno ovvia: il piano iperbolico, la cui proprietà caratteristica è che, data una retta ed un punto fuori di essa, ci sono infinite parallele alla retta data passanti per il punto (nel piano euclideo solito, ce n’è invece soltanto una).
Ciò che affascinò Escher fu che il piano iperbolico si può rappresentare mediante una porzione limitata del piano euclideo, ad esempio un cerchio. Mentre le tassellazioni del piano euclideo sono sempre incomplete, quelle del piano iperbolico possono dunque essere complete. Escher produsse così quattro famosi esempi, i Limite del cerchio I-IV, che costituiscono forse i capolavori della sua singolare arte di ispirazione matematica.