Giuseppe Pollicelli, Libero 22/11/2013, 22 novembre 2013
LA FAIDA DI GUBBIO – [NEL 2011 IN CENTO VINCONO 35 MILIONI AL SUPERENALOTTO MA LE QUOTE DIFFERISCONO E SCOPPIANO LITI E VENDETTE]
Ci sono delle storie che per un cronista è entusiasmante raccontare. Spesso, come nel nostro caso, si tratta di storie che arrivano da quella miniera di aneddoti e personaggi che è la provincia italiana. Storie da cui c’è molto da imparare e dalle quali è possibile, anche nei nostri tempi cinici, ricavare una morale. Come succede con le favole. E ha in effetti i tratti di una favola la vicenda che stiamo per riferire, il cui scenario è una cittadina che ha da sempre una notevole familiarità sia con apologhi dai risvolti edificanti sia con accadimenti straordinari: Gubbio, 33.000 anime in provincia di Perugia, il luogo in cui, secondo una tradizione orale messa per iscritto nel XV secolo, San Francesco d’Assisi compì il suo prodigioso incontro con il lupo. La stessa cittadina che per dodici anni, prima di passare il testimone a Spoleto, è stata il set di una delle serie televisive più amate dal pubblico, quella Don Matteo che di storie educative ne ha regalate in gran quantità. Che poi, a pensarci bene, anche la storia che ci accingiamo a ricostruire noi sarebbe potuta andare bene per un episodio di Don Matteo.
Una storia i cui protagonisti sono cento abitanti di Gubbio i quali, messisi in società, a partire dal 1998 hanno giocato tutte le settimane il medesimo sistema al SuperEnalotto. Gioca che ti rigioca, un bel giorno (precisamente il 22 settembre 2011) i fatidici sei numeri vengono estratti e i cento assidui giocatori si aggiudicano la bellezza di 65 milioni di euro(il che significa, fatti due conti, la signora cifra di 650.000 euro a testa). Roba da impazzire di felicità, specie se si pensa che la quota di partecipazione di ciascun giocatore ammontava ad appena quattro euro alla settimana. È vero che quattro moltiplicato cento fa quattrocento, e dunque ogni sette giorni il titolare della ricevitoria presso cui si effettuavano le giocate poteva dirsi felice anche in mancanza di vincite, visto che comunque quattrocento euro fissi di giocata non glieli levava nessuno, ma in tutte le storie c’è qualcuno che se la passa un po’ meglio degli altri. E poi in un paese come Gubbio tutti si conoscono, la gente si vuol bene e ci si fida reciprocamente. Ci si fida, già. Forse persino troppo.
Questo, almeno, è quanto si ha il diritto di sospettare da quando, in mancanza di lupi, un nuovo animale ha fatto la propria comparsa a Gubbio. L’animale si chiama Mauro Casciari, è una Iena, e, per conto dell’omonimo programma di Italia Uno, ha pensato bene di riscrivere, con un servizio tuttora recuperabile sul sito della trasmissione, il finale della nostra favola. In questo nuovo epilogo non tutti i vincitori sono egualmente felici, perché molti di loro hanno incassato una percentuale del montepremi ben più bassa di quella che, sulla carta, gli sarebbe spettata. Mentre altri, per esempio il gestore della ricevitoria, ne hanno incamerata una notevolmente più alta.
Non solo: sembra proprio che il pluricitato titolare della ricevitoria, vero mattatore della storia, ogni settimana consentisse di prendere parte alla giocata a ben più di cento persone, aumentando così i suoi introiti ma creando i presupposti affinché i giocatori meno fedeli, e soprattutto quelli che avevano accumulato i maggiori ritardi nel versare la loro quota di partecipazione, rimanessero tagliati fuori - come pare sia davvero successo - da un’eventuale vincita. Secondo alcune voci, da quel giorno di settembre del 2011 a Gubbio non ci si fida più come un tempo, le persone si salutano un po’ meno cordialmente e in tanti hanno perduto quella disponibilità a chiacchierare coi forestieri che una volta li contraddistingueva. Specie se i forestieri si mettono a far domande sulla contestata divisione di un milionario montepremi del Superenalotto. Ma non dobbiamo restarci troppo male: la nostra rimane pur sempre una favola. Lo sanno tutti, d’altra parte, che non sempre le favole terminano con il lieto fine, e che talvolta la morale che consegnano ha un sapore amaro.