Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 22/11/2013, 22 novembre 2013
NAPO ORSO CAPO
Ogni tanto qualche lettore ci scrive: “Quando la smetterete di criticare Napolitano?”. Risposta ovvia: quando la smetterà di meritarselo. Purtroppo non si riesce più a stargli dietro: ne combina una al giorno. Non bastandogli il superlavoro con straordinari forfettizzati di capo dello Stato, del Csm, del governo, del Parlamento, del Pd, del Nuovo Centrodestra e a tempo perso di molte altre cose, Napo Orso Capo ha deciso di subentrare anche al presidente della Corte d’assise di Palermo, Alfredo Montalto, nel processo sulla trattativa Stato-mafia. I giudici togati e popolari, com’è noto, avevano accolto la richiesta della Procura di ascoltarlo come testimone a domicilio, nel suo ufficio al Quirinale, come prevede il Codice. E lui, dopo vari tentennamenti e avvertimenti ai giudici tramite l’Avvocatura dello Stato e i soliti corazzieri sparsi nei palazzi e nei giornali, si era rassegnato a compiere il suo dovere. Cioè ad abbassarsi, bontà sua, almeno per qualche ora, al rango di un cittadino come gli altri. Ma l’illusione è durata poco. Ieri il presidente Montalto ha annunciato il deposito di una lettera del presidente Napolitano, spedita dal Quirinale il 31 ottobre, poi persa per strada dalle efficientissime Poste Italiane e giunta a destinazione il 7 novembre. Una lettera già di per sé piuttosto bizzarra: non s’è mai visto un testimone che scrive al giudice per comunicargli che ha poco da testimoniare. Da un apposito comunicato del Colle, infatti, si era appreso che il capo dello Stato era “ben lieto di dare, ove ne fosse in grado, un utile contributo all’accertamento della verità processuale”, ma precisava “alla Corte i limiti delle sue reali conoscenze in relazione al capitolo di prova”. Cioè a un’altra lettera: quella che gli scrisse il 18 giugno 2012 il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, poco prima di morire, per ricordargli di avergli confidato (“lei sa”) i suoi “timori” di essere stato usato come “ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi” fra Stato e mafia nel 1992-’93, quando prestava servizio all’Alto commissariato antimafia e poi al ministero della Giustizia. Ora però, dal presidente Montalto, si apprende che il presidente Napolitano non s’è ancora rassegnato all’idea di compiere il suo dovere di teste. È, sì, “disponibile” a farlo. Ma “chiede che si valuti ulteriormente, anche in applicazione della previsione di cui all’art. 495 comma 4 del Codice di procedura penale, l’utilità del reale contributo che tale testimonianza potrebbe dare, tenuto conto delle limitate conoscenze sui fatti di cui al capitolato di prova, che nella medesima lettera vengono dettagliatamente riferite”. Il 495 comma 4 dice che “il giudice, sentite le parti, può revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue”. Cioè Napolitano ritiene, motu proprio, che la sua testimonianza è superflua perché non sa nulla (D’Ambrosio diceva le bugie?). E chiede alla Corte di rimangiarsi l’ordinanza in cui lo citava come teste e di allontanare da lui l’amaro calice. Una cosa mai vista in un processo, tant’è che il giudice ha depositato la lettera alle parti, cioè ai pm e agli avvocati dei 10 imputati e delle parti civili, “perché possano pronunciarsi sulla sua acquisizione ed utilizzabilità”. E così una decisione assunta dalla Corte dopo settimane di polemiche torna in dubbio perché il capo dello Stato, che dovrebbe dare il buon esempio a tutti i cittadini, anche a quelli che testimoniano nei processi di mafia rischiando la pelle, fa i capricci e non ne vuol sapere. Tra l’altro, siccome durante il mandato non può essere processato nemmeno per i reati commessi al di fuori dalle sue funzioni, se rifiutasse di ricevere i giudici al Quirinale, questi non potrebbero mandarlo a prendere dai carabinieri per l’accompagnamento coatto, come fanno con gli altri testimoni reticenti. A questo punto il diavoletto che è in noi ripete ossessivamente un ritornello: “Ecco perché s’è fatto rieleggere”. Ed è sempre più arduo scacciarlo e metterlo a tacere.