Paolo Ziliani, Il Fatto Quotidiano 22/11/2013, 22 novembre 2013
COSTRUISCI LO STADIO IL CALCIO È UN OPTIONAL
Che gli stadi italiani facciano pena se non addirittura schifo, eccezion fatta per lo Juventus Stadium, è noto a tutti. Ma che nell’anno di (dis)grazia 2013 una delle urgenze del governo fosse mettere mano alla legge sugli stadi, da ristrutturare o costruire ex novo, mentre la Sardegna piange 16 morti dopo una giornata di pioggia e i malati di Sla, davanti a Montecitorio, devono staccare il respiratore solo per essere ascoltati, lascia perplessi. Il dissesto idrogeologico semina morte e distruzione in mezza Italia? I disabili gravi non hanno i soldi per curarsi? È un problema: ma prima di tutto, cercate di capirlo, vengono gli stadi da costruire (o ricostruire).
COSÌ È: a distanza di un anno e mezzo dal no di Mario Monti alla candidatura di Roma per le Olimpiadi 2020 (“Nell’attuale situazione di crisi – disse – non si possono sottoscrivere garanzie che metterebbero a rischio i soldi dei contribuenti”) e a 23 anni dallo scandalo dei costosi e mostruosi stadi di Italia 90, ecco l’Italia tornare a essere, di colpo, il Paese del Bengodi dei tempi belli: e anche se qui non si parla di soldi pubblici, il governo, con un emendamento, offre la possibilità di progettare complessi con “uno o più impianti sportivi nonché insediamenti edilizi o interventi urbanistici di qualunque ambito o destinazione, anche non contigui agli impianti sportivi”. Tradotto in slogan: “Costruisci uno stadio! Potrai rientrare dell’investimento edificando un intero quartiere dove ti pare e piace, con negozi, appartamenti, ristoranti, cinema, supermercati e palazzi di ogni genere. E non dovrai perdere tempo: se il Comune o lo Soprintendenza faranno i difficili, bussa alle porte di Palazzo Chigi e in 90 giorni otterrai i provvedimenti necessari per costruire il tuo stadio e il tuo quartiere!”.
Mica male no? Peccato che ci sia una colata di cemento in arrivo che nemmeno ai tempi di Italia 90, e una puzza di speculazione da far mancare il respiro. Al punto che persino il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, è costretto a dare ragione ai deputati del Movimento 5 Stelle che parlano di “accelerazione al consumo di suolo e alla speculazione edilizia” e denunciano l’apertura data “a chi vuole continuare a cementificare il nostro Paese”. “La norma sugli stadi com’è formulata ora non va”, taglia corto Fassina, mentre il senatore Cervellini, vicepresidente della commissione Lavori pubblici, chiede al governo “nel rispetto della tragedia che ha messo in ginocchio la Sardegna, di ritirare questo emendamento e di ripensare alle vere priorità in termini di tutela dei beni comuni”. “Il mio parere è profondamente negativo”, chiosa il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando.
Già, perché nessuno discute che avere stadi nuovi, piccoli, ospitali e funzionali non pagati col denaro pubblico sarebbe un bel passo avanti per il Belpaese; ma la domanda che sorge spontanea è: chi si fida delle truppe d’assalto dei furbetti del quartierino, che già spuntano da ogni dove come gli zombi in “Thriller”? “Per costruire uno stadio oggi ci vogliono almeno 7-8 anni – eccepisce il governo –: noi abbiamo solo creato una via agevolata”. Già, ma agevolata a cosa? A trasformare l’Italia in una bara di cemento? I precedenti non sono granché in quanto a onestà e perizia. Quando nel 1986 Carraro e Montezemolo misero in moto la macchina organizzativa di Italia 90 (i Mondiali di calcio vinti dalla Germania), le frasi storiche si sprecarono: “Realizzeremo il sogno di fare del Mondiale ‘90 una vetrina del-l’Italia tecnologica e industriale proiettata verso il Duemila”, proclamò Montezemolo, allora 39enne. Ebbene, la verità è che l’Italia tecnologica proiettata verso il Duemila si è ritrovata subito con le pezze al culo: e lo scandalo degli stadi e dei lavori inutili compiuti per quell’evento, che gravarono sul bilancio pubblico per 1.248 miliardi di lire (il doppio dei preventivi), resta ancora oggi un monumento alla vergogna e alle ruberie.
STADI elefantiaci rivelatisi inservibili e demoliti (come il Delle Alpi di Torino) o pressoché inagibili (come il San Paolo di Napoli e il Sant’Elia di Cagliari), stadi inadatti al calcio come il San Nicola di Bari (progetto Renzo Piano: architettura ad astronave, costo di 300 miliardi, più che un astronave un aborto), per non parlare dell’Air Terminal di Roma Ostiense abbattuto nel 2007 dopo essere diventato una tendopoli per immigrati (costo 10 miliardi); della stazione ferroviaria romana di Farneto utilizzata solo 4 giorni, per le 4 partite giocate a Roma dall’Italia, caduta in rovina e demolita (costo 15 miliardi); dell’albergo costruito a Milano per i Mondiali, e mai più utilizzato, una cattedrale nel deserto oggi abbattuta (costo 10 miliardi); e venendo a tempi più recenti, lo stadio Comunale di Torino ristrutturato a suon di milioni di euro solo per ospitare le cerimonie di apertura e di chiusura dei Giochi Invernali del 2006. E pazienza se la partita si vede tale e quale agli anni 30
Come cantavano le Orme: “Cemento armato, la grande città, senti la vita che se ne va”. Succede quando si arriva all’ultimo stadio.