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 2013  novembre 22 Venerdì calendario

LEONARDO: «MAI PIU’ AL MILAN»

Leonardo è un uomo libero. Il tribunale amministrativo francese ha sospeso la maxisqualifica che lo ha bloccato negli ultimi mesi. C’è ancora un processo in corso, ma adesso Leo può lavorare. E anche se l’idea di entrare in un club a stagione in corso non gli piace molto, la voglia di tornare in campo è forte. Leo, uomo abituato a cogliere le occasioni, aspetta gli eventi.
L’altra sera, al Gala di Fondazione Milan, è stato evocato come motore iniziale dell’iniziativa. Era il 2003... E’ da lì che è partita la sua seconda storia…
«E’ difficile smettere di giocare e ricominciare così, e io mi sento fortunato per tutto quello che mi è successo. Una storia bellissima quella della Fondazione Milan. Sono molto legato alla Fondazione. Ho condiviso la nascita e lo sviluppo di tantissimi progetti. Ho sempre pensato che con la visibilità, la forza di comunicazione, di sensibilizzazione e con la forza economica di una società così importante nel mondo si potesse fare qualcosa di concreto nell’ambito sociale».
E in quell’anno arriva anche l’affare Kakà...
«Il primo concluso da dirigente del Milan. Lo considero l’affare perfetto, sia a livello calcistico che a livello umano. Con Kakà si è creato un legame che non si è mai spezzato. Kakà è un amico».
Si discute molto della sua posizione in campo. Lei dove lo vede meglio?
«Credo debba ancora giocare da trequartista. Ha entusiasmo, è un giocatore intelligente e sta prendendo per mano il Milan ora che la squadra ha molto bisogno di una guida. Ma non è facile cambiare adesso. Per cambiare ruolo, devi cambiare la testa: Kakà è ancora molto nella fase-gol. Gli piace giocare bene, ma anche segnare. Ci vuole tempo a adattarsi a altri compiti».
Parla da allenatore. Eppure lei è sempre rimasto nel limbo, un po’ in panchina e un po’ dietro la scrivania. Ed è stato criticato per questo.
«E’ vero, ma io mi sono limitato a cogliere le opportunità. Galliani mi ha dato quella più grande, senza di lui nulla sarebbe successo. Poi mi è stato chiesto di fare l’allenatore, poi di allenare l’altra squadra di Milano, infine mi è stato offerto il ruolo al Psg, con carta bianca per creare un progetto. Ora ho accumulato esperienza e vedremo cosa succederà, ma un ruolo dirigenziale implica un lavoro politico e il lato politico della questione non mi piace. Voglio vivere lo sport, quindi tornare a fare l’allenatore, perché no? Io mi sento legato alla costruzione di una squadra. Al risultato».
Doppia ipotesi: la chiamano Thohir e Barbara Berlusconi. Dove va?
«Non credo che il Milan mi vorrebbe. Dopo quello che è successo, tornare sarebbe impossibile».
Si riferisce al rapporto rotto con Berlusconi?
«Sì. Dopo di allora non è successo più nulla, non ho avuto contatti. Niente che possa farmi cambiare idea. Quindi non vedo come sarebbe possibile un mio ritorno. Chi dà il pugno si dimentica, ma chi lo prende no».
Quindi nulla a che vedere con l’attuale duello Barbara-Galliani, e con la sua fedeltà all’a.d….
«Non conosco Barbara e non saprei giudicare le sue idee. Quello che ha fatto Galliani è nella storia e resta straordinario».
Dice che passare da calciatore a un’altra vita è difficile. Che consigli darebbe a Maldini?
Il suo nome è stato fatto spesso con quello di Albertini per un ruolo nel Milan.
«Prepararsi, questo serve, ma non è che Paolo finora non abbia fatto nulla. Demetrio invece sta seguendo un percorso diverso, a livello federale. Non facile, ma diverso. In ogni caso, nei club si devono inserire le persone dove servono, in base alle loro qualità e a quello che manca al club. A volte si dà la priorità alla squadra, come ho fatto io a Parigi, e alla parte tecnica, altre volte alla parte amministrativa e aziendale. Bisogna scegliere, poi inserire le figure giuste».
Non ha detto che cosa risponderebbe alla chiamata di Thohir.
«Io non so se Thohir mi voglia, in ogni caso ho un rapporto stretto con il presidente Moratti, costruito in tanti anni di vita a Milano. Moratti sa tutto di me, conosce le mie idee. Se Thohir chiamasse, lo farebbe in base alle informazioni che Moratti può dargli. E ricoprire un ruolo qualsiasi a stagione in corso non è il massimo. Questa pausa mi serve per riflettere, godermi la famiglia e tutto quello che ho vissuto in questi anni frenetici. Ma non voglio stare molto fuori dai giochi. La squalifica è stata molto dolorosa, ma per fortuna, strascichi legali a parte, è finita».
A cose avvenute, che cosa può dire di quell’episodio?
«Primo, che la presunta spallata non è stata volontaria. E che è stata una reazione esagerata da parte della Lega e della Federazione, fatta ad hoc, e con un effetto politico troppo forte».
La politica non le va proprio giù.
«Non mi piacciono certi rapporti e non mi è piaciuto neppure come si è comportato Platini nei miei confronti. E’ andato in giro a dire cose inaccettabili e infondate su di me. Lui è un politico e un invidioso. Come le ho detto, vorrei tornare al campo, alla costruzione del risultato. C’è quello alla base del calcio, ed è quello che voglio fare».
Ma lei ha sempre lavorato in società ricche...
«Capisco che, dopo aver vissuto tutta la vita in società ricche, il mio nome sia legato ai soldi e alla possibilità di spendere. Ma non c’è solo questo nella mia visione di calcio. Non vorrei lodare troppo il mio lavoro, ma faccio presente che il Psg ha speso meno di Madrid, Barcellona, Manchester City, Chelsea. E non penso che Kakà, Thiago Silva e Verrati siano stati pagati così tanto quando sono stati presi».
Se il Psg vincesse la Champions sarebbe un po’ merito suo?
«Se vincesse la Champions sarebbe un exploit pazzesco».
Il personaggio del calcio più nuovo ed eminente di questo periodo?
«Non un personaggio ma un progetto: quello del Psg».
Ibra non è un po’ esagerato quando dice che il Mondiale senza di lui non ha senso?
«Ibra è un guerriero. Ogni messaggio è una sfida con se stesso».
Facciamo un gioco: Mourinho o Guardiola?
«Mourinho».
Perché?
«Perché è più facile trovare uno come Guardiola piuttosto che uno come Mourinho, che muove tutto da solo».
Cristiano o Messi?
«Come dire Pelé o Maradona. Oggi dico Cristiano. La sua personalità si è evoluta, mentre la crescita umana e del personaggio Messi un po’ manca. Non si nota, e anche il campo alla fine ne risente».
Ancelotti a Madrid?
«Non ha una missione facile. Deve aggiornarsi, adeguarsi alla situazione. A Madrid servono cose diverse rispetto a quello che serve in altri club».
L’Inter ha imboccato la strada giusta?
«Manca ancora qualcosa, ma sta facendo il meglio che si può fare nella situazione che sta vivendo. I giovani crescono, Mazzarri è bravissimo, Palacio straordinario. E poi ci sono giocatori come Zanetti, Cambiasso, Milito, Samuel che rappresentano il cuore che batte dentro la squadra. E’ la cosa più importante».
Il Milan è in decadenza?
«E’ indietro rispetto all’Inter. Manca la chiarezza degli obiettivi, che è sempre stata la caratteristica alla base del successo del Milan».
Leonardo, le dà fastidio se le danno del camaleonte?
«Lo prendo come un complimento. Sapersi adattare alle cose che capitano è una qualità importante. In questo senso sarò camaleonte per tutta la vita».