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 2013  novembre 22 Venerdì calendario

IL FUTURO? NON È PIÙ QUELLO DI UNA VOLTA


Come sarà il 2014? A poche settimane dal suo inizio pochi si azzarderebbero a esprimersi con certezza. Ma c’è chi descrisse il 2014 già cinquant’anni fa: Isaac Asimov, lo scrittore di fantascienza, autore fra l’altro di Io, robot e della Trilogia della Fondazione, in cui, guarda caso, si parla di psicostoria, una scienza immaginaria capace di prevedere il futuro.
Asimov provò a fare lo psicostoriografo per il New York Times, nel 1963, scrivendo un articolo in cui immaginava il mondo del 2014. Alcune delle sue previsioni fanno sorridere, a cominciare dalle città sotterranee e subacquee «libere dai fastidi del meteo», in cui dovremmo oggi vivere, rinunciando alla luce del sole, e dove ci nutriremmo solo di cibi liofilizzati. Previsione un tantino fuori centro per l’era dei trionfi degli chef televisivi. E che dire degli elettrodomestici alimentati con isotopi radioattivi? Nel post Fukushima non andrebbero esattamente a ruba. Poi ci sarebbero le auto a cuscino d’aria, le colonie lunari, le merci spedite in tubi pneumatici...
Lo scrittore vede invece giusto sui robot, di cui, nel 2014, prevede un uso ancora molto limitato, e sull’esistenza di minicomputer, di auto che si guidano da sole e di comunicazione a fibra ottica. Parla poi della possibilità di un globale scambio di informazioni audio e video, che tanto somiglia a internet. Stima che la popolazione arriverà a 6,5 miliardi di persone (ottimista, siamo oltre sette miliardi) e che queste saranno sfamate a stento dalla coltivazione di alghe (ma negli anni Sessanta era già in corso la Rivoluzione verde, che avrebbe aumentato di molto le rese agricole), con energia proveniente da centrali solari (che stanno arrivando) e a fusione nucleare (ancora futuribili). L’articolo si conclude sostenendo che, a causa dell’automazione che ridurrà la necessità di lavorare, il problema più grave del 2014 sarà come vincere la noia. Magari (anche se la disoccupazione, in effetti, imperversa).
Ingenuità a parte, l’Asimov-futurologo non fa una brutta figura. Sicuramente migliore di quella dei suoi colleghi Arthur Clarke, che in 2001 Odissea nello Spazio, del 1968, immaginava la colonizzazione del sistema solare, e Philip Dick/Ridley Scott, che in Blade Runner prefigurano un 2019 con auto volanti, colonie spaziali e replicanti, nel quale, però, i personaggi chiamano da grossi telefoni pubblici.
«Attenzione, però» dice il sociologo Riccardo Campa, dell’Institute for Ethics and Emerging Technologies, «gli scrittori di fantascienza lavorano per intrattenere, immaginano quindi futuri possibili utili alla storia, ma non necessariamente realistici». Vero, però nel 1967 lo stratega militare Herman Kahn (cui Stanley Kubrick si ispirò per Il dottor Stranamore) al posto dell’immaginazione usò metodi scientifici, fondando la moderna futurologia: tentò di prevedere il mondo del 2000, ma ottenne, di nuovo, un mix con molti insuccessi e pochi centri. Fra i primi, auto volanti, droghe innocue, esplosivi nucleari per lavori civili, specchi in orbita per illuminare la notte, ibernazione, sogni programmati. Fra i secondi, di nuovo, un’anticipazione di internet e di «dispositivi personali di comunicazione audio-video». Un po’ poco.
Ma perché è così complicato azzeccare le previsioni? «Oggi la futurologia, più che previsioni, produce in realtà “scenari” con minore o maggiore probabilità di verificarsi » dice Campa. «Comunque il problema principale è che quelli che tentano di immaginare il futuro sono spesso degli ingegneri che ragionano in termini di tecnologie possibili, ma senza la visione dei mutamenti sociali. Già ai tempi di Kahn, per esempio, si sarebbe potuta intuire l’ondata ambientalista che stava montando e che influenzò fortemente sia lo sviluppo delle tecnologie, sia la stessa futurologia, passata dal tecno-ottimismo al pessimismo legato all’alterazione degli ecosistemi e all’esaurimento delle risorse».
Un altro clamoroso errore dei futurologi di cinquant’anni fa fu il non accorgersi di come stesse cambiando il ruolo delle donne nella società. «Prendiamo il cartone animato The Jetson (I pronipoti, ndr)» ricorda Stian Westlake, futurologo della società di consulenza economica inglese Nesta: «è ambientato in un XXI secolo pieno di gadget tecnologici, ma con le donne relegate in cucina». E non è stato previsto neppure che l’amore per il piacere, la natura, il bello, ci avrebbero reso indigeribile vivere sottoterra, nutrirci di pillole o vestirci tutti con tute inguardabili.
«Spesso non si è considerato che il destino delle tecnologie è determinato dalle decisioni politiche sugli investimenti» aggiunge il fisico Giuseppe Vatinno, dell’Associazione italiana transumanisti, un gruppo di appassionati di scienza che vorrebbe creare società basate sullo sfruttamento (anche estremo) delle tecnologie. «Esempio classico, la corsa allo spazio: negli anni Sessanta sembrava dovesse continuare per sempre, però, finita la competizione fra Usa e Urss, tanti saluti alle colonie sulla Luna e su Marte». Ma allora, se gli esercizi di futurologia sono così incerti, a che serve questa disciplina? «La futurologia, come la fantascienza, apre la mente a nuove possibilità, stimola la fantasia dei creativi e il dibattito fra inventori, industria e finanza» dice Westlake. «In definitiva spinge a inoltrarsi in terreni inesplorati e fecondi. E, in certi casi, crea profezie che si autorealizzano: si dice che Steve Job si sia ispirato, per l’iPad, a un marchingegno simile immaginato nel 1978 da Douglas Adams in Guida galattica per gli autostoppisti ».
E per il 2064, cosa prevedono i nostri futurologi? «Non so quali tecnologie si affermeranno allora» dice Vatinno «ma sono certo di chi le svilupperà: società come Google, che usano le loro enormi risorse finanziarie per fare ricerca in campi come il biomedicale, l’energia o le nanotecnologie». Campa è più specifico: «Punterei sull’ulteriore sviluppo delle tecnologie mediche, genetiche e di integrazione fra parti artificiali e biologiche, che potrebbero condurci fra cinquant’anni a riparare, e forse persino a “migliorare”, il nostro corpo, rallentando l’invecchiamento e portandoci a vivere anche per secoli». Westlake, invece, è meno tecno-ottimista: «A caratterizzare il mondo del 2064 saranno il riscaldamento globale e i danni agli ecosistemi. Credo allora che lo sforzo si concentrerà sulle tecnologie per l’energia pulita, e sul passaggio da un’economia delle cose a una delle esperienze. Si venderanno, per esempio, “viaggi virtuali”, creati con stimolazioni neuronali, al posto dei viaggi veri, per risparmiare energia e risorse. Ma c’è anche il rischio che per quell’epoca robot e computer ci abbiano sottratto gran parte del lavoro. Non resterà allora che introdurre un reddito di cittadinanza per tutti, o affrontare rivolte di massa». Un bel futuro, non c’è che dire…